L’alfabeto della corretta gestione

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Impegnata nel tentativo di fissare alcuni dei principi per la corretta gestione dei beni culturali finirò per scomodare l’intero alfabeto. Le 4 “P” hanno descritto il metodo. Ricorro alla lettera “I” per indicare le caratteristiche di un corretto intervento di gestione: istruzione, innovazione, interpretazione, introiti. L’istruzione circa l’uso del metodo è fondamentale al fine di evitare i discutibili risultati che ci offrono le correnti politiche di gestione. Troppa superficialità e improvvisazione inquinano un campo davvero delicato: non basta essere esperti di storia dell’arte o dell’architettura, questo è lo standard minimo da cui partire per conoscere la storia più profonda di un luogo, di un bene culturale, poi c’è tanto altro ancora. I come innovazione cioè la capacità di avere una gestione laica del bene culturale. Con questo termine, più che abusato, vorrei sottolineare che l’approccio al bene culturale deve essere liberato da un inutile e controproducente sacralità che lo vede intoccabile ma trascurato e bisognoso di sostegno economico, perché le limitazioni al suo uso gli impediscono di automantenersi e produrre reddito, Probabilmente in Italia l’innovazione, quella vera e non quella dei proclami, trova il suo sinonimo più adatto nella parola “coraggio”. Il coraggio di rompere schemi gestionali triti e ritriti, rimpastati e messi a cuocere in nuovi stampi, ma sostanzialmente sempre uguali a se stessi. Il coraggio di lasciare con indifferenza che le sopracciglia degli esperti benpensanti s’inarchino in curve da ottovolante, e di camminare “col sole in fronte”, su nuovi sentieri privi di sovrastrutture e retro pensieri. Il coraggio, insomma. Quello che in Italia non si vede spesso. I come interpretazione: esporre interpretando, sfruttare la conoscenza profonda per un racconto appassionante. Deve per essere di buona qualità, deve soddisfare alcuni standard:

 

1- Attrarre e mantenere l’attenzione dei visitatori. Deve evitare cioè quell’inutile passeggiata intorno, dentro o vicino a un bene culturale che non lascerà ricordo nel visitatore.

2- Comunicare l’importanza della risorsa. un faro, una luce speciale, una musica , un odore, o anche una semplice strategia di approccio al bene servono per porre l’accento sul valore che esso ha. Per vedere i Bronzi di Riace bisogna trascorrere qualche minuto in una camera che non solo regola la temperatura, evitando sbalzi che potrebbero nuocere alle statue, non solo “disinfetta” il visitatore, e tutto con ampie ragioni scientifiche, ma effetto certo anche se forse non voluto, pone accenti, punti esclamativi e sottolineature a un momento fondamentale della visita al Museo di Reggio Calabria.

3- Soddisfare le esigenze di diversi segmenti di pubblico: residenti, intenditori, persone che non parlano la lingua locale. Ad esempio al Museo Archeologico di Napoli tutte le spiegazioni sono in italiano e in inglese. Basta. Non una scritta in russo, cinese o altro. Si presuppone che tutti possano comprendere l’inglese ma non è così tanto che le guide turistiche parlano ben più di una lingua.

4- Tenere in considerazione le problematiche legate alla sicurezza. Sicurezza del bene culturale come del visitatore.

5- Nel limitare l’accesso ad alcuni spazi è necessario illustrare anche le motivazioni.

6- Usare un linguaggio familiare ai visitatori

 

Ultima ma non meno importante la I di introiti: rappresentano la capacità che il bene nasconde in se di generarne e che bisogna imparare a far emergere. In Campania nel 2014 su circa 6 600 000 visitatori gli introiti sono stati circa 31 364 258,37. Sembra abbastanza? Non è vero. Si può dare di più gorgheggiava il cantante, e questo bisogna fare: impegnarsi su nuovi fronti per migliorare il risultato. Contro i 16 milioni e 800 mila turisti giunti sulle rive del Tamigi nel 2013 a Napoli nello stesso anno si sono registrati “ solo” 3,5 milioni di presenze. Si tratta di valutare onestamente la potenzialità dei nostri luoghi, capire che l’intorno è importante, studiare i collegamenti, e garantire la sicurezza. Fortunatamente non tutti i turisti vengono a Napoli per provare il “brivido” dello scippo. In America nei parchi nazionali hanno preso piede le ricostruzioni dei luoghi delle battaglie e sono state favorite narrative atte a esporre la storia alle nuove classi sociali che avevano bisogno di comprendere il senso della “storia” anche in quotidianità: l’interpretazione però non poteva essere solo una sterile esperienza non diretta e quindi non coinvolgente. L’interpretazione doveva provocare emozioni. Quando lo Science Museum di Saint Paul in Minnesota sperimentò la rappresentazione per comunicare la scienza, ebbe una tale impennata del numero di visitatori che in seguito organizzò dei veri e propri Workshop sul tema. Concludendo: non dobbiamo dimostrare che le tecniche dell’interpretazione siano valide e non offensive per il bene culturale, dobbiamo solo impararle e metterle in pratica. Ne va della salvezza del nostro patrimonio.