Jago a Sant’Aspreno: l’interpretazione è rock

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Tardo pomeriggio di un sabato di giugno che poco ricorda l’incombere del solstizio d’estate. Una lunga fila di turisti, ordinatissima e silenziosa costeggia la cortina edilizia di piazza Cavour, e s’infila in quella parte della Sanità, chiamata Borgo dei Vergini. Curiosità. Dai concerti, ai murales, alle pizzerie che aprono e chiudono a velocità vorticosa, nel Centro Storico di Napoli succede di tutto. Da sabato c’è anche il museo dello scultore rock da 140.000 visitatori (Palazzo Bonaparte a Roma), the social artist (il video).  Bisogno di porre etichette di quest’epoca d’incerte vicende. L’aspettativa è altissima e la pazienza con cui un pubblico eterogeneo affronta l’interminabile fila ne è la prova. ”Le emozioni prendono forma” annuncia la brochure. Infatti. La Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi, riapre al pubblico dopo molti anni di chiusura lasciando scoperte le profonde ferite di anni d’incuria. L’atmosfera è perfetta. Tra volte recuperate e tabernacoli semidistrutti, le opere di Jago.  Titoli suggestivi che incuriosiscono ed introducono.  Il figlio velato. E la mente vola ad un ad un altro, e più noto figlio, quello di Dio, avvolto dal suo velo di marmo sotto il quale ognuno può ritrovare il volto del Cristo che ha nella propria mente. Qui “Il figlio velato” è in gesso, l’opera in marmo è  in una chiesa  a poche centinaia di metri da questa, dedicata a San Severo.  Simbolo di un quartiere e della sua gente che riprendono a vivere.  La mano che sporge da sotto il panneggio è il Figlio che vincerà la morte che ora lo avvolge. Obbiettivo centrato, il quartiere benedice e ringrazia, il popolo napoletano pure. Processo interpretativo concluso, eppure sempre aperto. La storia continua.
La roca voce del cantante, un epoca fa, modulava: l’emozione non ha voce. La vista dell’opera “Pietà” colpisce e ferma il cuore. Lo spettatore è di fronte all’espressione disperata di chi sa di avere perso tutto e non riesce ad emettere un suono, un lamento. Il corpo inanimato tra le braccia dell’uomo è un macigno che piomba sull’anima di chi guarda. Lo spettatore può avvertirlo e fare proprio quel grido muto, quella disperazione.  La perdita, quella ineluttabile, prima o poi la provano tutti. Ed ogni visitatore è quell’uomo che urla e piange senza voce. La scultura il cui titolo rimanda a quella straconosciuta della Madre che ha in braccio il corpo del Figlio ucciso sulla Croce, è la seconda parte dell’umano racconto che l’artista, al momento, conclude con Aiace e Cassandra. Opera originale anche perché ritrae i protagonisti in un preciso momento del loro rapportarsi, raccontando tensioni ed emozioni diverse da quelle canonicamente rintracciabili in altre rappresentazioni. Il momento fermato dall’artista è quello cruciale e lo spettatore percepisce completamente quell’attimo. Tre momenti di una storia in cui ognuno può inserire i riferimenti che crede. Sollecitazione, emozione, autoidentificazione. Sono i tre perni del processo interpretativo seguito dall’artista. Si aggiunga, al suo modo di fare arte, la relazione con tutto ciò che può essere correlato produttivamente, dallo spettacolo all’economia. Comunicazione vendita: in linea con i tempi. Il gioco è fatto. Non è necessario conoscere approfonditamente la storia dell’arte per essere travolti dal gorgo emotivo in cui le sue opere proiettano. L’animo resta colpito e desideroso del sequel.