“Un’azione non è un pezzo di carta, ma una quota parte di un business di un’azienda; un’obbligazione non è un pezzo di carta, ma rappresenta una quota parte del debito di un’azienda”. In poche e semplici parole Warren Buffett, probabilmente il più grande investitore di tutti i tempi, riassume il concetto fondamentale secondo cui chiunque dovrebbe occuparsi dei propri investimenti con la stessa serietà e attenzione con cui svolge la propria professione, come nel caso del commerciante che non tratta mai articoli che non conosce e non chiude mai affari senza aver prima verificato la profittabilità degli stessi. Il 2015 borsistico italiano è iniziato sotto ottimi auspici, con l’indice FTSEMIB che ha chiuso il primo semestre realizzando una performance del 18,1 per cento, miglior risultato all’interno del panorama europeo, grazie a una congiuntura economica caratterizzata da un insieme di fattori favorevoli (tassi di interesse ai minimi storici, “quantitative easing” della BCE, crollo dei costi energetici e svalutazione dell’euro) che si sono riflessi anche sull’economia reale. Tuttavia, dallo scorso 29 giugno, in seguito alla brusca interruzione dei negoziati sul programma di salvataggio della Grecia, abbiamo assistito a una fuga disordinata dagli investimenti con il nostro indice borsistico che, in sole sette sedute, ha ceduto circa il 12 per cento. Ancora una volta i timori dell’uscita della Grecia dall’eurozona hanno scatenato una violenta reazione emotiva da parte degli investitori che, distogliendo completamente l’attenzione dai risultati operativi delle aziende quotate, hanno venduto azioni a mani basse. La borsa italiana si è di fatto sostituita alla borsa greca, l’attuale favorevole scenario congiunturale è parso lontano anni luce e sono riemerse, in modo del tutto ingiustificato, le paure e i timori che hanno caratterizzato le ultime due crisi finanziarie del 2008 e del 2011; le banche italiane sono dunque diventate improvvisamente “banche greche”, cedendo oltre il 20 per cento delle rispettive capitalizzazioni nell’arco di poche sedute, e la Grecia è d’un colpo parsa diventare il principale partner commerciale delle altre aziende quotate, altrettanto colpite nelle quotazioni borsistiche. Il mercato italiano dei titoli di Stato, al contrario, non ha subito contraccolpi, probabilmente anche grazie all’ombrello protettivo rappresentato dal “quantitative easing”, il massiccio programma di acquisti di obbligazioni governative da parte della BCE (60 miliardi di euro al mese fino a settembre 2016), che ha spento sul nascere qualsiasi tentativo di speculazione; a differenza di quanto accaduto nel corso del 2011, anno in cui è esplosa la crisi dei debiti sovrani, abbiamo avuto la prova evidente dell’incapacità di colpire il nostro debito pubblico in una situazione di emotività generata da tensioni sul debito di un altro Stato europeo. A ll’interno dello scenario sopra descritto, People’s Bank of China, la banca centrale della Repubblica Popolare Cinese, ha annunciato di avere acquistato nelle sedute del 29 e 30 giugno una partecipazione del 2 per cento nel capitale delle banche italiane Unicredit e Monte dei Paschi di Siena, sfruttando probabilmente le turbolenze di mercato generate in quei giorni dal clima di “panic selling”; non è da escludere che l’istituto centrale cinese abbia ulteriormente arrotondato la propria quota nei giorni successivi, non avendo ulteriori obblighi di comunicazione fino al raggiungimento della soglia del 5 per cento del capitale. Un investitore professionale si è dunque concentrato sui risultati operativi profittando del comportamento irrazionale della massa. In sintesi, in presenza di una situazione politico-economica del nostro Paese diametralmente opposta rispetto al 2011, nell’anno che segna il ritorno massiccio degli investitori esteri sul mercato borsistico italiano e in una fase di inversione del ciclo economico europeo, la Grecia, che rappresenta lo 0,2 per cento del PIL mondiale, ha per l’ennesima volta alimentato comportamenti irrazionali e di natura emotiva rendendo di fatto la nostra borsa una succursale di quella ellenica. Tali comportamenti non hanno nulla a che fare con il valore intrinseco delle aziende quotate che, a differenza dei prezzi di borsa, è direttamente correlato ai risultati operativi delle stesse, all’esecuzione dei rispettivi piani industriali e alla congiuntura economica dei mercati di riferimento. È dunque evidente che, seguendo la lezione di Buffett, oggi l’unico comportamento razionale da tenere sul mercato azionario italiano è “non vendere” o possibilmente “comprare”, evitando di subire la beffa del probabile violento recupero dei prezzi in caso di accordo tardivo tra i colpevoli e incoscienti politici europei che, loro sì, meriterebbero di essere metaforicamente “venduti” per sempre.