Italia-Ucraina, la voglia di intraprendere molla del progresso

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Giovedì, ancora una volta, l’ Italia ha dato dimostrazione inequivocabile di essere attrice e non comparsa sul palcoscenico mondiale. Il ministro per il Made in Italy Urso si è recato a Kyev accompagnato dal Presidente di Confindustria Bonomi. Scopo della visita colloqui di lavoro con i suoi interlocutori locali per dare conferma che l’ Italia è vicina all’ Ucraina non solo in termini di pur importante solidarietà. La visita ha avuto lo scopo di confermare ufficialmente che il Paese non limiterá la collaborazione al solo periodo di guerra, ma che a Roma è già in fase di preparazione una strategia di come mettere la spalla sotto al carro del programma di ricostruzione da avviare appena le ostilità saranno cessate. Urso e i suoi corrispondenti locali hanno sottoscritto un documento di intesa, dopo aver messo nero su bianco le intenzioni dell’una e dell’altra parte di come procedere in tandem a guerra finita. È evidente che la collaborazione non sarà né di tipo assistenziale, né con intenti grassatori. Urso ha confermato che a marzo ci sará un incontro a Roma centrato appunto sul proposito di lavorare di concerto. Il particolare saliente della giornata ucraina del Ministro per il Made in Italy è che ha avuto al suo fianco il Presidente di Confindustria Bonomi. Insieme hanno inaugurato la sede di quella associazione presso l’ Ambasciata d’ Italia. Potrebbe sembrare un comportamento né tempestivo né adeguato, ma non lo è che, quello che, nello stesso giorno in cui è stata rasa al suolo nel senso più autentico della parola la cittá di Soledar, si discuta già concretamente di programmi di ricostruzione. Soccorre al riguardo e può essere illuminante per la sua semplicità e il vasto campo di applicazione l’ affermazione: ” chi fa provviste per tempo, cena all’ ora stabilita”. Tale comportamento ben si confà all’apertura di quella rappresentanza: se non la prima, certamente sará al momento opportuno tra quelle gia pronte  a operare per il ripristino del funzionamento dell’attivitá produttiva di quel paese. A tal riguardo esiste un precedente databile nell’ ultimo decennio del secolo scorso. Dopo la caduta del muro di Berlino nel “90, gli uomini del governo del Cancelliere Kohl che fu il regista di quella operazione geopolitica di portata storica, ritennero a giusta ragione che la Germania Est aveva la necessità di essere aiutata a risalire la china lungo la quale era caduta disastrosamente sotto il governo di Mosca. Berlino ancora oggi ne é un museo a cielo aperto. Il primo atto di gran coraggio lo fece lo stesso Kohl contestualmente all’ abbattimento di quel mostro che era stato il muro: equiparò il valore del Marco occidente all’ Ostmark, la  valuta corrente al di là del muro. Solo per avere un’ idea del sacrificio che quel Cancelliere fece fare alle casse del Tesoro della “sua” Germania, all’epoca della ricongiunzione erano necessari 9 Ostmark per comprare un Marco in circolazione nel settore al di qua di Check Point Charlie. Quell’ opera di ammodernamento e di ampliamento di quanto esisteva nel settore est, fu per buona parte eseguita da aziende non tedesche, interpellate dal cancellierato all’epoca di stanza a Bonn, attraverso bandi internazionali. In Italia l’ interfaccia operativa fu proprio Confindustria, più specificamente ANCE, la sezione costruttori.
L’ esperienza ebbe esito positivo: diverse aziende, non tutte di grandi dimensioni, giocarono in trasferta con buoni risultati.
Si aggiunga che già da tempo il Paese, la cui connotazione agricola non è mai venuta meno, continua a produrre macchine agricole dotate di corredi tecnologici avanzati, attestati a un livello qualitativo decisamente alto. È proprio quanto occorrerà a quella nazione, al più presto possibile, per riprendere a produrre reddito, stante la sua connotazione produttiva principale concentrata appunto nel settore primario. Non a caso uno dei 10 settori di intervento individuati da chi di competenza a Roma e a Kyev è la meccanica agricola con tutto l’ indotto a essa collegato, come attrezzature speciali e altri complementi dello stesso genere. Al punto in cui la famigerata “operazione militare speciale” si trova oggi, si potrebbe trarre l’affrettata conclusione che i due commensali, Roma e Kyev, stiano cercando di fare i conti senza l’oste, Mosca. Non è così per una serie di motivi. La premessa è che ogni guerra è destinata a giungere a conclusione, se è vero che ogni fiume in piena dopo un pò ritorna nei suoi argini. Nel caso dell’ Ucraina c’è un qualcosa in più che, se ben valutato dal Cremlino, farebbe sparire dal viso dello Zar a scartamento ridotto e di chi gli sta tenendo il sacco. Se non interverranno impedimenti non ipotizzabili al momento, l’ Ucraina al più presto entrerá a pieno titolo nella EU. La sua nuova condizione legittimerà Bruxelles e le altre capitali occidentali a fare “massa critica”, sia inteso senza sminuizioni tale termine preso in prestito dagli aziendalisti, verso chi volesse rifiutare di accettare il nuovo assetto dell’ Europa. La vera tragedia è un’altra, iniziando con il confermare che non può esserci cifra bastevole a indennizzare chi sarà destinatario per le vittime di quell’ eccidio.  Quello stesso, peraltro odiosamente gratuito, resterá sulla coscienza di chi lo ha perpetrato e di chi ha permesso che ciò accadesse. Ciò chiarito, chi pagherà i cosiddetti “danni di guerra”?. Sarà questa patata bollente uno degli aspetti più delicati del problema del dopoguerra. Al momento, continuando a far riferimento alla saggezza di chi lavora nei campi, si deve evitare con cura di mettere il carro davanti ai buoi.