Israele, l’ambasciatore in Italia risponde alle polemiche degli intellettuali di sinistra

414
In foto Dror Eydar

Dror Eydar, 54 anni, ambasciatore israeliano a Roma dal settembre 2019, è innanzitutto un umanista. Cita Dante a memoria e nella sua residenza capitolina abbondano i libri sulla storia romana, scritti in ebraico, in inglese e in italiano. «Storicamente», dice mostrando alcuni di quei volumi antichi, «i rapporti tra Italia e Israele sono molto forti. Gli intellettuali ebrei si ispirarono al meraviglioso Risorgimento italiano. Nel 1861 Moses Hess, un ebreo tedesco, pubblicò Roma e Gerusalemme: 9 anni prima della presa di Roma, scrisse che con la liberazione della Città eterna sul fiume Tevere sarebbe iniziata la liberazione della Città eterna sul monte Moriah. Un profezia che si è realizzata».

Nella lunga intervista su Llbero appaiono distanze incolmabili tra Israele e la Palestina ma un netto spiraglio costituito proprio dal contributo imprenditoriale di Paesi Esteri come l’Italia che aiutano a comprendere che non è più tempo di farsi la guerra, ma quello di cavalcare assieme un mondo che cambia.
E oggi, ambasciatore? Come sono i rapporti tra i nostri popoli? 

«Italia e Israele collaborano in molti settori. Le aziende hanno interessi economici comuni, ma la componente fondamentale resta l’amicizia. Un mese fa, al termine dell’esercitazione congiunta, i piloti militari israeliani mi hanno detto cose meravigliose sui loro colleghi italiani. È così anche nell’agricoltura, nella sanità, nella cybersecurity, nella ricerca. La prima visita ufficiale del nostro ministro degli Esteri, Yair Lapid, è stata qui. Abbiamo tante cose in comune».

C’è dell’altro, mi pare di capire.
«C’è una domanda che mi faccio. Perché noto una discrepanza tra questi rapporti così stretti e l’attitudine dell’Italia verso Israele nell’arena internazionale, a cominciare dall’Onu. Io non capisco, noi non capiamo. Ogni anno sono adottate oltre venti risoluzioni contro Israele, non c’è altra nazione che riceva un simile trattamento. Tutti sanno che le decisioni dell’Onu contro Israele sono un teatro dell’assurdo, eppure tutti, Italia inclusa, partecipano alla scena»

È accaduto anche di recente, dopo l’operazione a Gaza. 
«È stata l’operazione di uno Stato democratico contro Hamas, organizzazione terroristica di stampo nazista. Eppure il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha varato una risoluzione per investigare su Israele, accusandolo di avere commesso “crimini di guerra”. Senza dedicare una parola ai quattromila razzi lanciati contro Israele. E l’Italia si è astenuta, mettendo così Israele e Hamas sullo stesso piano».

Ne ha parlato con i nostri politici, presumo.
«Il capo della commissione Esteri al Senato, Vito Petrocelli (esponente del M5S, ndr), mi ha detto: “Non ho sostenuto né Israele né Hamas, io sono controla violenza”».

E lei? 
«Gli ho risposto che il popolo ebraico, quando finisce Shabbat, prega Dio di dargli l’abilità di distinguere tra la luce e il buio. Perché se una persona non sa distinguere tra uno Stato democratico che non vuole combattere ed è costretto a farlo, e un’organizzazione la cui ragion d’essere consiste nel distruggere Israele e gli ebrei, il problema non è nostro: è questa persona ad avere un grosso problema morale. Appartiene a quelli di cui scrive Dante nel Terzo Canto».

Gli ignavi. 
«”Coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”. Quelli che non meritano nemmeno di entrare all’Inferno, perché non hanno mai preso posizione».

Per l’Italia è una tradizione. Nel 2016 si astenne sulla risoluzione Unesco che negava il legame tra gli ebrei e i luoghi sacri di Gerusalemme. 
«Tutto il mondo occidentale vuole intervenire nel rapporto storico, religioso e sentimentale che lega gli ebrei a Gerusalemme. Ma Gerusalemme non è una capitale come le altre: è la ragion d’essere degli ebrei. Durante l’esilio la ricordavamo ogni volta che mangiavamo e ancora oggi, dopo aver ringraziato Dio per il cibo, aggiungiamo: “E non dimenticare di costruire Gerusalemme”».

Gerusalemme è sacra anche per musulmani e cristiani, ambasciatore.
«Ma questo riguarda la religione, non la politica. Gerusalemme è stata una capitale politica solo per il nostro popolo. E solo la sovranità di Israele ha garantito che vi fosse libertà di religione e movimento per tutti».

Donald Trump ha spostato l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme. È stato il primo, ma anche l’unico.
«Trump ha fatto un grande gesto. È entrato nella Storia come il nuovo Assuero, il re persiano che dopo l’esilio babilonese permise agli ebrei di tornare a Gerusalemme. Riconoscerla come capitale politica eterna del popolo ebraico è la ricompensa per tutti i disastri che abbiamo sofferto».

Matteo Salvini ha promesso di fare lo stesso. È questo che vi attendete dall’Italia?
«So che l’Italia non è l’impero romano, ma da Roma fu mandato Tito a distruggere Gerusalemme. Dopo quasi duemila anni il popolo ebraico è tornato a casa e ha ricostruito Gerusalemme. Cosa manca? Che anche Roma e l’Italia partecipino a questo miracolo. È il mio sogno».

In Italia, comunque, chi prende posizione c’è. Una scrittrice di sinistra, Michela Murgia, nei giorni scorsi ha scritto: «La penso come Hamas».
«È sorprendente, da parte di una scrittrice di origine cristiana. Se fosse stata nella striscia di Gaza sarebbe stata discriminata sia in quanto donna, che per Hamas non deve avere diritti, sia in quanto cristiana, perché Hamas ha perseguitato tutti i cristiani di Gaza».

La Murgia non è certo l’unica a pensarla così. Come se lo spiega?
«Ci sono intellettuali, o persone che vorrebbero esserlo, che fanno della loro ignoranza un’ideologia. Basterebbe che leggessero lo statuto di Hamas, scritto nel 1988. In quella carta ci sono due principi. Il primo è un impegno totale per la completa distruzione dello Stato ebraico, il secondo la promessa di uccidere ogni ebreo, ovunque si trovi. Negli ultimi cento anni conosco un solo documento in cui appaiano simili idee».

Il Mein Kampf.
«Appunto. A chi crede che sia possibile trattare con Hamas, consiglio di leggere questi articoli: “Le iniziative di pace, le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono tutte le credenze del Movimento di resistenza islamico”, cioè Hamas. “Non c’è soluzione per il problema palestinese se non il jihad”».

Magari certi personaggi trasferiscono su Hamas la loro simpatia per la causa palestinese e i poveri di Gaza. 
«Ma Hamas non è “i palestinesi”. È un’entità distinta che nemmeno riconosce l’Autorità palestinese. Certo, a Gaza ci sono poveri, ma quegli intellettuali ingenui non sanno che, anche mentre Hamas lanciava migliaia di razzi contro di noi, contro i nostri bambini, Israele non ha mai smesso di fornire a Gaza elettricità, acqua, benzina e cibo».

La Banca mondiale e altre organizzazioni stanno raccogliendo soldi da donare a Gaza, come riparazione per i danni subiti. 
«È un’altra cosa che gli occidentali non capiscono: la maggior parte di quei soldi è usata per scopi terroristici, per mantenere la striscia di Gaza perennemente militarizzata. Il resto va direttamente ai capi di Hamas: la ricchezza di Ismail Haniyeh è valutata in 4 miliardi di dollari, quella di Musa Abu Marzook in 3 miliardi».

Un’altra accusa frequente a Israele è quella di condurre una politica di «apartheid» nei confronti dei palestinesi. La ripete anche Alessandro Di Battista, altro personaggio con un certo seguito.
«Lo so, ci sono persone che ripetono in continuazione simili bugie. In Israele un giudice arabo ha mandato in prigione il presidente dello Stato di Israele. Questa sarebbe apartheid? Da noi i cittadini arabi hanno gli stessi diritti di tutti gli altri. Anzi, ne hanno più degli ebrei, visto che non debbono fare il servizio militare».

E lei come spiega che così tanti, in Occidente, spargano bugie su Israele? 
«È il nuovo antisemitismo. Dicono di essere non contro gli ebrei, ma contro lo Stato ebraico, eppure lo scopo è sempre quello. Contestano il diritto di Israele a difendersi dai suoi nemici, quindi il diritto degli ebrei ad esistere e ad avere una nazione come gli altri popoli. E difendendoci non difendiamo solo noi stessi: Israele è l’avamposto contro il terrorismo e l’estremismo che minacciano il mondo libero».

A proposito: come sono i vostri rapporti con la Ue? A Bruxelles intendono rilanciare l’accordo sul nucleare siglato con l’Iran nel 2015. 
«Conosco gli iraniani. Sono i numeri uno nel commercio, abilissimi nelle trattative e capaci di far cambiare opinione agli europei ingenui. Anche nel 2015 il mondo disse che Israele sbagliava ad opporsi. Due anni dopo, il Mossad si procurò l’archivio del progetto nucleare iraniano. Elì c’erano le prove che durante i negoziati l’Iran aveva mentito, le sue intenzioni erano militari. Adesso arriva Mohammad Zarif, il loro ministro degli Esteri, con completo inglese e cravatta, e tanto basta a convincere gli europei».

La guerra tra Israele ed Iran è una delle grandi paure dell’Occidente. Fino a che punto siete disposti ad arrivare per difendervi?
«L’Iran dichiara ogni giorno che intende sterminare il popolo ebraico, e la Storia ci ha insegnato che dobbiamo credere ai dittatori quando dicono una cosa. Noi implorammo gli Alleati affinché bombardassero la linea ferroviaria di Auschwitz. Avrebbero potuto salvare mezzo milione di ebrei ungheresi, però non lo fecero. Ma abbiamo finito di implorare gli altri. Grazie a Dio, ora abbiamo la tecnologia per difenderci da soli e la saggezza per usarla. A nessuno sarà più permesso di sterminare gli ebrei. Se ci sarà la necessità, sapremo cosa fare».