In occasione del 27 gennaio, Giornata della Memoria: Napoli 1943. Quando gli Ebrei tornarono a casa sani e salvi

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di Piero Antonio Toma

Quando cominciò a parlarmene, sarà stato un paio d’anni prima dell’uscita del mio libro “Il silenzio dei giusti. 1943 – Il ritorno degli Ebrei” (Grimaldi editore), non ci volevo credere. Un racconto che mi sembrava inverosimile. E soprattutto perché sarebbe stato, pensai subito, l’unico l’episodio, il suo, con un lieto fine, tutti salvi a tornare nella propria casa. Ci pensate? Lui rievocava avvenimenti incentrati fra Napoli e Tora e Piccilli, un paesino nell’alto Casertano, fra il 1942 e il 1943, con la guerra in corso e con i tedeschi in casa a incrudelire sempre di più. Poi lui cominciò a farmi vedere documenti, foto sbiadite, lettere ingiallite. E a quel punto la mia diffidenza si dileguò. Mi ci sono voluti un paio d’anni fra ricerche storiche e interviste ai sopravvissuti di Napoli e di Tora e Piccilli.
La storia inizia nel 1938, anno in cui il governo fascista, con l’avallo del re Vittorio Emanuele III, emana le leggi che di fatto declassano gli ebrei italiani a cittadini di serie b, privandoli di quasi tutti i loro diritti, dal lavoro alla scuola pubblica. Racconto la storia di una famiglia di ebrei che abitavano in via Piedigrotta 23. Nel palazzo ci sono altre cinque famiglie ebree. Enumero i disagi e le sofferenze di questa discriminazione, anche se molto attenuate dal vivere a Napoli, e poi via via della guerra e dei bombardamenti fino a quando nell’aprile 1943, per sfuggire alla prima e ai secondi, i Gallichi si rifugiano a Tora e Piccilli, dove dal settembre 1942 sono stati confinati dal regime per impiegarli nei lavori agricoli una trentina di giovani ebrei, peraltro del tutto sprovveduti per la vita rurale, e ai quali via via si erano aggiunti i loro familiari ed altri correligionari anche per sfuggire all’imperversare dei bombardamenti sulla città.
Fino all’8 settembre 1943 la vita scorre abbastanza pacificamente fra le due comunità. Ma la musica cambia con l’arrivo dei tedeschi i quali, in una quarantina di giorni, mettono a ferro e a fuoco Tora e Piccilli e i suoi abitanti; tutti, dal podestà fino all’ultimo fascista, tennero la bocca chiusa sulla presenza degli ebrei, e allo stesso modo si comportarono gli abitanti più giovani e più in forze e che vennero trascinati per i lavori forzati in Germania. Durante quest’ultimo periodo, e fino all’arrivo degli Alleati, si verificarono gli episodi più drammatici e più incredibili e i cui colpi di scena lasciano il lettore col fiato sospeso. Attraverso tanti piccoli particolari, tutti veri, questo libro non vuole dimenticare nemmeno il comportamento di quei napoletani che hanno dato una mano agli ebrei impedendo alle leggi razziali di fare il loro corso e di rappresentare una soluzione di continuità nei rapporti di amicizia, di buon vicinato, di solidarietà.
Vorrei infine raccontarvi due cose che riguardano il protagonista del mio libro, e che purtroppo è scomparso da qualche anno, Ai tempi della vicenda, cioè nel 42-43 egli aveva una quindicina d’anni. Un giorno, mentre incredulo e sospettoso ascoltavo da lui la sua storia gli chiesi perché mai avesse atteso tanti anni prima di confessarla a qualcuno. Mi rispose che la paura è un cibo assai indigesto e che gli aveva richiesto decenni prima di neutralizzarsi. Dopo qualche tempo, mi annunciò che avrebbe scritto una lettera al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, per informarlo di quelle vicende e per pregarlo di assegnare un riconoscimento al Comune di Tora e Piccilli la cui popolazione, tacendo, aveva salvato la comunità ebraica. L’intento, come sappiamo, venne raggiunto. Poi, grazie al nostro Istituto di cultura, io l’ho anche presentato con grande successo in tre città di Israele, Haifa, Tel Aviv e Gerusalemme. Lo stesso Comune di Tora e Piccilli mi ha conferito la cittadinanza onoraria per il mio volume. Il grande protagonista di questa storia, più unica che rara, si chiama Vittorio Gallichi.