“Impressioni vesuviane” nelle Scuderie di Villa Favorita

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Più volte nelle mie ricerche ho provato a sostare sulla soglia immaginaria tracciata temporaneamente da una tela dipinta da Carlo Montarsolo, sulla quale figure, oggetti ed eventi della quotidianità scambiano la loro presenza con macchie di colore, con astratte impronte del pensiero, che si organizzano nella trama di un disegno rapido che sfugge anche alla superficie.

Il movimento della pittura del maestro di Portici non ha nulla di casuale, anzi persino il caos di un’eruzione vesuviana ritrova sempre una sua ragione di realtà nel perimetro squadrato della tela, nello spazio metastorico che un cavalletto di legno, venerato a mo’ di ara sacrale, evidenzia. Per l’artista avrebbe detto Pessoa “non c’è altro problema se non quello della realtà e questo è insolubile e vivo”.

La mostra organizzata dalla Friarte di Roma ricostruisce, attraverso opere rappresentative provenienti da collezioni pubbliche e private, i vari momenti dell’esperienza creativa dell’artista di Montarsolo: essa propone cioè, quel processo di lenta e silenziosa crescita, partendo dalle opere realizzate in quell’aria di novità che si inspirava nel triangolo Miglio D’Oro/Vesuvio/Napoli negli anni Cinquanta, vivificata dalle tensioni sobillate dalle attività e dalle aperture internazionali, avviate qualche secolo prima dal Vedutismo e poi dalle figure che disegneranno la silhouette delle Avanguardie Storiche. Un momento ricco di personalità e di situazioni che proiettano Napoli nel circuito delle esperienze europee, allertando una tensione che ritrova, negli anni Settanta in quel breve periodo di ritorno alla pittura, il suo maggiore sviluppo in senso di apertura dialettica verso la sfera della sperimentazione, proiezione di quel progetto di avanzamento, di sentita ed effettiva connessione del pittore con gli sperimentalismi e l’ambiente avvertito quale spazio della propria identità esistenziale. Un’opera segna sempre un nuovo confine, una finestra che si apre al mondo, una soglia oltre la quale andare con l’emozionato respiro che accompagna la scoperta. Carlo Montarsolo lavora su questo confine, regalandoci pagine di pittura, di quella alta che non perde lo spirito e la volontà di dialogare con la quotidianità del mondo, cioè di dichiarare la sua necessità del presente: una pittura che non è solo la celebrazione dell’enigma della visibilità, bensì partecipata testimonianza, ossia azione diretta orientata a smuovere le nostre coscienze.

Ragiona sulla pittura come idea di materia che costruisce uno spazio così come, in senso inverso, ripropone l’oggetto quale evocazione: cerca cioè di rendere lo spazio pittorico come un campo ove accade un evento, ove è possibile sentire contemporaneamente il tempo passato e quello del presente. La sua tavolozza è piena di colori sempre tonali e bilanciati, Montarsolo ama la pittura senza giochi e senza ironia, predilige la robustezza, il rigore e la poesia.