Vivere in condominio. Troppo spesso si trasforma in un’impresa, divenendo in alcuni casi fonte di disagi, dissidi e malesseri.
Con particolare riferimento al fenomeno delle immissioni siano esse rumori, fumi, odori o esalazioni la giurisprudenza della Suprema Corte ne ha più volte riconosciuto l’illiceità anche nei casi in cui non fosse stato superato il limite di accettabilità stabilito dalla legge.
L’articolo 844 c.c., infatti, nel prevedere la facoltà in capo al proprietario di un fondo di esercitare un’azione negatoria, volta ad inibire il perpetuarsi delle immissioni, pone quale presupposto necessario il superamento della normale tollerabilità, in correlazione dei luoghi in cui le stesse avvengono.
La norma, pertanto, richiede l’intervento valutativo da parte del giudice relativamente alla “tollerabilità” delle immissioni che arrecano molestie e turbative, giudizio che non è mai assoluto, ma discrezionale e “relativo alla situazione ambientale, quindi, variabile da luogo a luogo” (Cass. Civ. 939/2011 – 3438/2010 – 1151/2003). Di conseguenza il mero rispetto dei limiti di accettabilità fissati dalle leggi speciali che, disciplinano determinate attività produttive, non comporta l’effettiva liceità delle immissioni operate.
Sulla scorta dei predetti elementi molte sentenze di merito hanno riconosciuto l’illegittimità di immissioni rumorose derivanti ad esempio da impianti di condizionamento, di immissioni di fumo (passivo) prodotte da avventori di un locale aperto al pubblico posto al di sotto di un’abitazione, nonché di fumi ed odori emanati dal barbecue accesso nel terrazzo e/o giardino di proprietà all’interno di uno stabile condominiale.
Le menzionate decisioni, oltre a tutelare il diritto di proprietà nella sua pienezza, con rifermento all’effettiva fruibilità del bene, hanno riconosciuto un diritto alla qualità della vita, spingendosi i giudici ad elaborare una vera e propria lettura costituzionalmente orientata della norma di cui all’art. 844 c.c., volta a riconoscere una connessione tra immissioni e diritto alla salute (art. 32 Cost.).
Da non sottovalutare inoltre sono le previsioni espresse contenute nei regolamenti di condominio.
Le norme regolamentari di natura contrattuale – efficaci e vincolanti per tutti i condomini, siano essi proprietari o conduttori – infatti, possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della proprietà esclusiva. Limiti che possono essere più stringenti rispetto a quelli previsti dal codice civile e che pongono divieti particolareggiati, impedendo in modo espresso condotte ed attività allo specifico fine di non provocare la lesione dei diritti dei vicini.
In questi casi la giurisprudenza (Cass. Civ. 23/2004) ha affermato che “la liceità o meno dell’immissione deve essere determinata non sulla base della norma civilistica generale ma alla stregua del criterio di valutazione fissato dal regolamento”.
Di conseguenza in caso di immissioni vietate per regolamento o che superino i normali limiti di tollerabilità, tali da rendere impossibile o fortemente limitato il normale uso del proprio bene casa, sono previsti rimedi specifici cui ricorrere.
Se il comportamento che arreca molestie è vietato da norma espressa del regolamento condominiale, il soggetto leso può richiedere l’intervento dell’amministratore al fine di far terminare le condotte lesive.
In ogni caso qualora le immissioni superino la normale tollerabilità, può essere richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria con possibilità di ottenere, oltre all’inibizione delle immissioni, la liquidazione del danno, che si presume sussistente in re ipsa, con possibilità ulteriore di vedersi riconoscere, in alcuni casi, anche il risarcimento del danno non patrimoniale per lesione del diritto alla salute.