Il Sud e il paradosso dell’Italia differenziata

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di Antonio Prigiobbo

Il dibattito sull’autonomia differenziata infiamma il panorama politico italiano, rivelando fratture profonde nel tessuto del Paese. La legge, fortemente voluta dalla Lega e sostenuta dal governo di centrodestra, ha incontrato ostacoli significativi: oltre alle petizioni popolari da record, la Corte Costituzionale è intervenuta identificandone alcune parti come incostituzionali, rallentandone l’iter legislativo.

Ma la questione non si limita all’ambito normativo. L’autonomia differenziata riflette una divisione ben più profonda, quella della “mentalità differenziata”, frutto di decenni di politiche che hanno alimentato disuguaglianze e disagi, relegando il Sud a uno svantaggio cronico.

Gli eventi tragici, come le alluvioni in Emilia Romagna, dimostrano come l’Italia sappia mobilitarsi con rapidità per affrontare emergenze. Tuttavia, lo stesso approccio risolutivo non viene applicato ai problemi strutturali del Mezzogiorno. Una programmazione efficace e duratura, indipendente dall’alternarsi dei governi, potrebbe affrontare questioni come la carenza di infrastrutture nel Sud. Regioni come Calabria, Puglia, Basilicata e Sicilia continuano a soffrire per trasporti inadeguati, con autostrade e ferrovie che non garantiscono collegamenti dignitosi.

La comica Michela Giraud lo ha sintetizzato con una battuta pungente: “Possibile che un Governo di destra non garantisca nemmeno la puntualità dei treni?”.

Questo divario non è percepito con la stessa urgenza da tutta la politica. Un caso emblematico è Enna e la sua Provincia, dove la mancanza di acqua potabile da mesi rappresenta un disagio gravissimo per la popolazione. Sebbene siccità e cambiamenti climatici abbiano aggravato la situazione, la vera causa è l’assenza di interventi strutturali per risolvere problemi di lunga data.

In questo contesto, il Ponte sullo Stretto di Messina emerge come simbolo di contraddizione. Presentato come un’infrastruttura capace di unire la Sicilia al resto del Paese, rimane un’utopia irrealizzabile, spesso agitata come vessillo da politici in cerca di consenso. In altri Paesi, un’opera simile sarebbe già stata completata. In Italia, la prima idea risale al 1876, i primi studi furono avviati nel 1908 dopo il terremoto di Messina e Reggio Calabria, e negli anni ’70 il progetto iniziò a prendere una forma più definita. Tuttavia, nonostante decenni di annunci e investimenti, il Ponte resta un progetto incompiuto.

Sembra che l’interesse principale di molti politici che hanno rilanciato l’idea di fare, di progettare e riprogettare l’opera sia quello di destinare i fondi della Sicilia e della Calabria alla fase di progettazione, fuori dalle due regioni, anziché integrarli con risorse provenienti da tutta Italia per investire concretamente nella sua effettiva costruzione in Sicilia e Calabria.

Il paradosso è ancora più evidente considerando che il Ponte è oggi sostenuto dalla Lega, lo stesso partito promotore dell’autonomia differenziata, una misura che rischia di ampliare ulteriormente il divario tra Nord e Sud. Mentre si proclama il desiderio di unire, si alimentano politiche che isolano sempre più il Mezzogiorno.

Un confronto significativo è quello con il MOSE di Venezia, il sistema progettato per proteggere la città dalle acque alte. Avviato nel 1984 e reso operativo nel 2020, il MOSE è costato oltre 6 miliardi di euro e richiede una manutenzione annuale di 63 milioni di euro, con ogni sollevamento che comporta un costo tra 211.000 e 272.000 euro.

Se per Venezia si è trovato il modo di investire miliardi, perché non fare lo stesso per il Ponte di Messina, un’opera che potrebbe costarne 13 o persino 20? La risposta è implicita e drammatica: il Sud non riesce a esprimere una classe politica altrettanto determinata o, forse, è l’Italia intera che non considera prioritario lo sviluppo del Mezzogiorno.

In 35 anni di storia, la Lega è diventata un partito di riferimento per il Nord, presente anche al Sud. Il Mezzogiorno, invece, non ha mai avuto un partito capace di fare altrettanto.

La disparità persiste, e con essa la domanda: il futuro dell’Italia può prescindere dall’inclusione e dal rilancio di tutti i suoi territori?