Guzzetta: “Rimango convinto che il semi-presidenzialismo sia la soluzione migliore per l’Italia, in quanto la nostra tradizione ha assegnato al Presidente della Repubblica un ruolo di equilibratore del sistema politico che la riforma in discussione non affronta.” Il nostro Paese è malato grave. La malattia non è preoccupante solo per il livello di pressione fiscale letale alla libera impresa, per l’enorme debito pubblico accumulato sulle spalle dei giovani e per la quantità insostenibile di spesa pubblica; la malattia è di sistema ed investe tutti i meccanismi istituzionali che dovrebbero garantire processi di partecipazione popolare in grado di fornire i giusti incentivi per una azione di governo efficiente. Lo spettacolo a cui abbiamo assistito di recente in Italia è l’ennesima riprova che, senza una modifica radicale dell’impianto costituzionale, il nostro Paese è destinato ancora a vivere nell’incertezza istituzionale, che è terreno fertile per le speculazioni e per la crisi. Tutto ciò accade in particolare quando vige un meccanismo elettivo che premia i franchi tiratori e consente alle convulsioni interne ai partiti di scaricarsi sulle istituzioni senza che nessuno sia chiamato a rispondere. Coloro i quali evocano scenari da Paese con un uomo solo al comando sarebbe opportuno ricordassero le parole che Pietro Calamandrei usò per propugnare la propria proposta presidenzialista in Assemblea costituente: «A chi dice che la Repubblica presidenziale presenta il pericolo delle dittature, ricorda che in Italia si è veduta sorgere una dittatura non da un regime a tipo presidenziale, ma da un regime a tipo parlamentare. Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici». Svolte numerose di queste considerazioni, nel Maggio del 2013, un gruppo di cittadini –tra cui chi scrive- ritenne necessario promuovere una campagna per presentare un progetto di legge di iniziativa popolare finalizzato all’introduzione nel nostro ordinamento del presidenzialismo, di una legge elettorale a doppio turno di collegio, la fine del bicameralismo e la riduzione del numero dei parlamentari direttamente eletti. Alla testa di questa iniziativa c’era il professore costituzionalista
Giovanni Guzzetta: cosa è rimasto oggi e quanto ancora in cima alla agenda politica sono le urgenze indicate dalla campagna “Eleggiamoci il presidente”? La riforma che è in discussione in Parlamento e di cui ancora non abbiamo certezza che verrà approvata è certamente un passo avanti, anche se con alcune ombre, ma non ha sicuramente la portata di una trasformazione della forma di governo in senso semi presidenziale. Rimango convinto che il semi-presidenzialismo sia la soluzione migliore per l’Italia, in quanto la nostra tradizione ha assegnato al Presidente della Repubblica un ruolo di equilibratore del sistema politico che la riforma in discussione non affronta. Non sappiamo come sarà il sistema politico una volta entrata in vigore la riforma, dubito che in assenza di leader forti il sistema politico sia in grado di autodisciplinarsi come accadrebbe se il ruolo di garante del buon funzionamento del sistema fosse assegnato a un Presidente della Repubblica direttamente eletto.
Nello scenario animato da un mix di populismo irrazionale privo di fondate analisi economiche e demagogia che partorisce campioni intellettualmente disonesti, come conciliare l’ambizione a vivere in un Paese presidenzialista e compiutamente occidentale? Sono convinto che Istituzioni ben funzionanti non solo assicurino la qualità dei processi decisionali, ma trasmettano all’intero Paese una cultura politica più matura, al tempo stesso pragmatica e anche ambiziosa. Il populismo è l’altra faccia della politica inconcludente.
Si è molto discusso in questi anni di quale fosse la migliore riforma per l’Italia, tra cui quella del premierato, ovvero del rafforzamento della posizione dell’esecutivo… Il premierato è un ottimo sistema se i partiti sono disciplinati e responsabili e se non c’è la tendenza alla frammentazione e al trasformismo. Purtroppo l’Italia finora ci ha mostrato esattamente questo volto del sistema dei partiti, il presidenzialismo serve ad avere una personalità che ha la responsabilità davanti ai cittadini di far funzionare bene il sistema e quindi di disciplinare con le proprie decisioni i comportamenti dei partiti.
Una stabilità fondata sul presidente della Repubblica eletto e dunque direttamente responsabile davanti al corpo elettorale del buon funzionamento del sistema in che modo dovrà essere circondato da contrappesi? Qualunque sistema politico liberal-democratico ha necessità di contrappesi. Sicuramente il ruolo della giustizia costituzionale è il baluardo più importante per contenere i rischi di esasperazione del sistema presidenziale. A questo è da aggiungere un sistema di decentramento politico ben funzionante attraverso le regioni e gli enti di autonomia locale. Ma non bisogna dimenticare che il più grande contrappeso oggi, risiede nell’Unione Europea e nel potere di vigilanza del Consiglio europeo rispetto alle eventuali derive autoritarie di uno degli Stati membri, così come previsto dall’ art 7 del Trattato sull’Unione Europea.
Nel 1954 fu De Gasperi il primo a cercare di dare più potere agli elettori nella scelta del governo nazionale. E fin dalla prima volta a fare resistenza furono centristi vari e la sinistra conservatrice guidata dal Pci di Togliatti. Oggi possiam dire che urge più che mai una riforma che rimetta al centro l’elettore-contribuente e disperda il fantasma di un potere neutro che genera una cortina protettiva per il peggior ceto politico, inaridendo la società? Io sono convinto che le condizioni ci siano. L’Italia non è più il Paese diviso del 1948, la società civile è cresciuta e la cosa più pericolosa non è un sistema istituzionale ben funzionante ma al contrario un sistema inefficiente e debole. E’ in questo contesto che da un lato si scatenano i populismi e dall’altro i cosiddetti i poteri forti hanno vaste praterie per poter condizionare le decisioni al di là dei formali processi decisionali che spesso sono lenti, farraginosi e incomprensibili.
Nel bene e nel male l’azione del presidente Napolitano ha alzato il velo, ha reso evidente che non c’è ruolo dal quale non si faccia puramente e semplicemente politica, in cui non si possono fare scelte sempre meramente tecniche o neutre. Cosa aspettarsi dal neo presidente Mattarella? Penso che non si possa giudicare semplicisticamente la presidenza Napolitano. È nel figurino del presidente della repubblica del governo parlamentare, la possibilità che in situazioni di grave crisi del sistema, il presidente eserciti poteri maggiormente attivi. Il rischio e il problema è quando queste situazioni di emergenza diventano croniche. Sono certo che il Presidente Mattarella eserciterà il proprio ruolo con lo stesso rigore dei suoi predecessori, ma il problema non è che cosa farà il neo-Presidente Mattarella, il problema è che sistema politico si troverà di fronte e quanto sarà critico il funzionamento delle Istituzioni. E’ chiaro che se ci fosse una situazione di cresi permanente, il Presidente non solo potrebbe, ma dovrebbe esercitare quei poteri d’intervento attivo che sono consustanziali alla figura del Presidente della Repubblica nella forma di governo parlamentare.
Il Presidente della Repubblica è una figura chiave nell’era contemporanea, non a caso la maggioranza delle democrazie lo elegge direttamente. Un presidente scelto dai cittadini, in che modo potrà contribuire a dare forza di giocatore internazionale all’Italia? E’ chiaro che il Presidente della Repubblica ha un ruolo non solo verso l’interno ma anche verso l’esterno e quindi nelle relazioni internazionali. Un presidente maggiormente legittimato che ha una durata stabilita della propria carica, che ha un’investitura anche politica può certamente dare ai partners internazionali il senso di quella continuità e di quella coerenza che spesso viene a mancare allorché ci troviamo di fronte a rappresentanti dell’Italia, mi riferisco ai Presidenti del consiglio che cambiano con un ritmo che certamente non è fisiologico rispetto alle altre democrazie avanzate.
La Costituzione italiana fu approvata in un anno e mezzo . Si può essere contrari alle modifiche costituzionali, ma non si grida al complotto, come fanno improbabili sacerdoti della “costituzione più bella del mondo”. Il tentativo di riforma alla Costituzione in corso da parte di Renzi come va interpretato? E quali contraddizioni emergono rispetto al progetto di riforma del Senato e della legge elettorale denominata “Italicum”? La domanda è complessa e quindi anche la risposta dovrebbe essere lunga e complessa. In linea di massima credo che vada salutato con favore il fatto stesso che finalmente si approdi alle riforme, sempre ammesso che ci si approdi effettivamente. Sarebbe sbagliato però dopo aver criticato le posizioni di chi fa della Costituzione una specie di tabù intoccabile applicare lo stesso criterio alle riforme che vengono fatte. Voglio dire che anche queste riforme, se verranno approvate avranno certamente, come si evidenzia dal progetto esistente, dei punti critici. Esse dovranno essere sperimentate nella realtà del loro funzionamento, e rispetto ad esse bisognerà avere lo stesso atteggiamento laico; e quindi intervenire nel cambiarle nel caso in cui si dimostreranno inadeguate.
Antonluca Cuoco Salernitano, nato nel 1978, laureato nel 2003 in Economia Aziendale, cresciuto tra Etiopia, Svizzera e Regno Unito. Dal 1990 vive in Italia, viaggiando all’estero: è un “terrone 3.0”. Si occupa di marketing e comunicazione nel mondo dell’elettronica di consumo tra Italia e Spagna. Pensa che il declino del nostro paese si arresterà solo se cominceremo finalmente a premiare merito, concorrenza e legalità, al di là di inutili, quando non dannose, ideologie.