Il ruolo politico degli attori della formazione

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di Ugo Calvaruso

Il ruolo politico degli enti di formazione è migliorare il benessere delle persone e la competitività delle imprese, generando ricchezza per i territori. Si tratta, quindi, di un ruolo di mediazione tra interessi contrapposti, ossia tra quello dell’individuo che è alla ricerca di sé (ossia tra un benessere psicologico e l’esigenza di sopravvivere attraverso un lavoro che in qualche modo gratifica) e l’interesse dell’organizzazione che si muove all’interno della realizzazione del profitto. La formazione rappresenta dunque un’area di equilibrio tra la realizzazione del sé e il rispetto dei vincoli (in virtù di una maggiore produttività).
Dati i grandi cambiamenti che si stanno vivendo, l’obiettivo degli enti di formazione diventa sempre di più quello di inventarsi una formazione nuova che sia non tanto di collocazione quanto piuttosto che accompagni la persona a trovare un senso e la forza di andare avanti. Le persone hanno bisogno di essere orientate perché c’è molta confusione e, soprattutto, di trovare contesti fertili in cui possano esprimersi generando benessere, oltre che valore.
Non va sottovalutata la situazione di debolezza, nella quale spesso l’ente si trova sia rispetto al potere del cliente, perché non riesce a rappresentare il valore della mediazione (soprattutto in relazione all’interesse psicologico degli individui), che rispetto ai vincoli imposti dai finanziamenti. Nel primo caso, bisogna trovare le giuste modalità per far comprendere ad aziende e alle persone (disoccupati, inoccupati e occupati) l’importanza della formazione. Nel secondo, gli enti di formazione devono trovare il modo, insieme ai Fondi che erogano i finanziamenti, di diventare veri e propri promotori degli Avvisi. Perché, per il ruolo che svolgono, le agenzie formative possono rilevare, comprendere e porre in evidenzia i fabbisogni dei territori e proporre così interventi di Politiche attive del Lavoro adeguate e opportune.
Questo significa che il rapporto con i Fondi si evolve, fa un salto qualitativo, dove gli attori della formazione e delle Politiche del Lavoro diventano co-protagonisti dei processi di progettazione e realizzazione delle politiche. Ecco che viene così valorizzato realmente ed effettivamente il loro ruolo politico di collettore e di rappresentanza.
Questo cambio di prospettiva ha senso perché cambia la logica dell’assegnazione dei progetti, che inizia a mutare: da “controllo passivo” su quanto scritto in un formulario a costruzione partecipata degli interventi formativi. Una logica, quest’ultima, che potrebbe favorire la trasformazione dell’Ente di Formazione verso le fonti di finanziamento: da cliente a partner.
Il ruolo dell’Associazione Italiana Formatori, che sta organizzando su questi temi il XXXIV Convegno Nazionale in partnership con Fondimpresa, può essere quello di salvaguardare la qualità della formazione a supporto del rafforzamento psicologico delle persone e della competitività delle imprese, attraverso la valorizzazione dei territori.
In un momento di forte incertezza, determinata dalla concomitanza della trasformazione tecnologica, della crisi pandemica e da quella energetica, la formazione basata esclusivamente sul rafforzamento delle competenze professionali è una proposta obsoleta, perché non prevede l’accompagnamento della persona a sopravvivere dignitosamente in un sistema che ha già completamente perso gli assiomi che hanno caratterizzato il sistema capitalistico del passato.
La formazione deve rispondere ad obiettivi organizzativi che non possono permettere la mortificazione della persona in quanto tale. Anzi, la formazione deve garantire all’individuo la possibilità di esprimersi e generare maggiore benessere sui territori.