Il referendum costituzionale russo del 1 luglio 2020

in foto Vladimir Putin

Sul piano della sola situazione sanitaria, la Russia continua ad essere in gravi condizioni, con oltre 350.000 casi, oggi, di Covid-19.
Il Brasile ha però sostituito la Federazione Russa come Paese più colpito al mondo dal virus, mentre gli Usa sono ormai stabilmente in testa alla classifica, ma quello che fa davvero paura, ai decisori del Cremlino, sono le conseguenze economiche, a medio e a lungo termine, della crisi sanitaria.
Il Pil di Mosca aveva già registrato un aumento dell’1,6% nel primo trimestre del 2020 ma, nel secondo trimestre, tutti gli economisti russi si aspettano una caduta del Pil di almeno il 16%.
Due terzi di questa contrazione del prodotto interno lordo sono comunque attribuibili alla quarantena, ma solo un terzo alla caduta, conseguente peraltro, dei prezzi del petrolio.
Sul piano della gestione della quarantena, c’è il primo ministro Mishustin, il quale pensa che 27 regioni possano diminuire, fin da ora, le restrizioni da quarantena, mentre i vertici di Rospotrebnadzor, l’agenzia russa dei consumatori, ha chiesto ai governatori delle regioni di Sverdlovsk e di Smolensk il ripristino o, perfino, l’inasprimento delle quarantene.
La media nazionale di crescita delle infezioni virali è, oggi, in Russia, del 3,9%, ma sarebbe già pronto un “Piano 2” per il ripristino definitivo dell’economia russa.
Le fasi di recupero saranno comunque tre: nel terzo trimestre del 2020, il governo farà in modo che la recessione non si diffonda nei settori ancora poco colpiti, e poi rifinanzierà uno ad uno i settori economici già più colpiti.
La vera e propria Fase 2, quindi il vero e proprio recupero, avverrà dal quarto trimestre del 2020 al secondo trimestre del 2021, con Mosca cercherà di recuperare gli standard di vita precedenti al Covid-19 per tutta la popolazione e, per la Fase 3, che inizierà dal quarto trimestre del 2021, l’economia dovrebbe perfino ritornare a crescere.
Secondo le normative attuali di Mosca, tutti i proventi dell’export petrolifero e gaziero sono direttamente depositati nel National Welfare Fund.
Questo Fondo Sovrano russo detiene, a tutt’oggi, l’11% del Pil di tutta la Federazione. Che, quando avviene che i prezzi del barile siano inferiori ai 42 Usd, il Fondo copre direttamente la differenza, depositando quanto occorre direttamente nel bilancio federale. Sopra la soglia dei 42 usd, tutto va de plano.
E’ probabile che, referendum costituzionale o meno, il governo centrale si decida a prendere i fondi necessari alla nuova espansione economica direttamente dal NWF.
In un nuovo contesto di crisi, il bilancio federale riceverebbe direttamente tutte le entrate petrolifere, che saranno da devolvere alla ricostruzione del Welfare e della economia russe.
Sempre sul piano petrolifero, la Russia ha necessità, diversamente da altri, di un prezzo al barile di 40 Usd di base per “rientrare”.
Gli alti prezzi raggiunti dopo le varie restrizioni recenti della produzione in ambito OPEC+ hanno poi permesso a Mosca di aumentare le riserve, che ora stanno a circa 400 miliardi di usd.
Le risorse attuali della Federazione permetterebbero comunque a Mosca di sostenere perfino un prezzo da 25 usd al barile per dieci anni.
Peraltro, Mosca dipende dalle esportazioni di gas e petrolio solo per circa due terzi delle proprie entrate, diversamente da Arabia Saudita e da altri Paesi OPEC+, mentre il resto è fatto da materie prime come uranio, carbone, altri metalli e minerali, e soprattutto dalla vendita di armi all’estero, settore per cui la Federazione Russa è seconda solo agli Usa.
E’ proprio in questo contesto geo-economico che si inserisce il prossimo referendum del 1 luglio in Russia.
Come si ricorderà, è proprio l’annuncio, lo scorso 16 gennaio, del referendum costituzionale, che permette a Dmitri Medvedev, primo ministro federale fino ad allora, di dimettersi in quel giorno stesso e di assumere poi il ruolo di Vice-Presidente del Consiglio di Sicurezza russo, che è, ovviamente, presieduto da Vladimir Putin.
Arriva a sostituire Medvedev Michail Mishustin, che non è un “uomo della forza”, ovvero un ex-dirigente dei Servizi passato in politica, ma proviene solamente dal Servizio Tributario Federale. Quando lo stesso Mishustin si ammala di Covid-19, viene sostituito, da 30 aprile al 19 maggio scorsi, da Andrey Belousov, un economista.
Cosa vuole dunque Putin dalla sua riforma costituzionale? Non solo la semplice permanenza al potere, che il leader ritiene necessaria, visto che non ha ancora trovato il suo vero delfino.
La seconda lettura della Riforma costituzionale, approvata dalla Duma ai primi di marzo 2020, è stata dominata, si tratta qui di un simbolo particolarmente efficace, dalla presenza di Valentina Tereskova, la prima cosmonauta, oggi deputata di 83 anni.
Ci sono stati, in quella votazione, 382 si, 44 astenuti e 0 contrari.
La riforma attuale sarà, quindi, se verrà approvata nel referendum, la vera e propria definizione costituzionale della “verticale del potere” di Putin.
Un meccanismo, lo ricordiamo, fatto di rapporti centro-periferia ma anche di sistemi elettorali ormai stabili: la proibizione di presentare candidati “indipendenti”, la registrazione dei candidati regolari da parte, comunque, di partiti che siano ufficialmente riconosciuti e che abbiano almeno 50mila iscritti e sempre in diverse regioni del Paese, poi lo sbarramento elettorale al 7%, in cui i voti di chi non raggiunge la soglia di sbarramento verranno sempre distribuiti tra tutti gli altri partiti che hanno comunque superato quella soglia.
Certo, la Federazione Russa non può essere una democrazia, perché, se lo fosse, non esisterebbe più come tale.
Un grande impero, con una superficie vasta sessanta volte l’Italia, ma con una popolazione appena al di sotto della somma di italiani e tedeschi, poi con la Siberia vuota al confine con la, da sempre, molto sovrappopolata Cina.
La paura dello straniero, in un “paese vuoto”, come lo definì all’inizio dell’Ottocento il barone De Custine, ritorna sempre: il vecchio video elettorale di Putin, nelle tornate del 2012, faceva vedere i cinesi che arrivavano a Khabarovsk, la NATO che si prendeva Kaliningrad, gli islamisti che scorrazzavano nel Caucaso e infine gli skinheads, evidente simbolo della stupidità occidentale, che si muovono liberamente per San Pietroburgo.
La Corte Costituzionale russa ha già chiarito, in ogni caso, che la riforma di Putin, comunque, è legale.
Ma cosa vuole Putin, allora? Intanto, un più forte sistema di controlli dello Stato centrale sui governi federali e periferici, per creare la normativa costituzionale della “verticale del potere” che, oggi, si regge solo sulla energia personale di Putin.
Poi, c’è l’aumento notevole dei poteri del Consiglio di Stato della Federazione Russa, oggi organo meramente consultivo, al quale andrebbero anche i poteri di indirizzo di politica interna ed estera, e inoltre l’identificazione delle aree principali di sviluppo futuro del Paese.
E, ancora, la proposta di Vladimir Putin farebbe sì che i governatori regionali possano far parte automaticamente del Consiglio di Stato, naturalmente dopo aver stabilito un patto con il Cremlino.
Poi, ancora, lo statuto del Consiglio di Stato sarà introdotto integralmente in Costituzione, e ancora si rafforzerà la vasta la “nazionalizzazione delle élite”, dato che sarà proibito avere una nazionalità straniera o perfino un permesso di soggiorno in un altro Stato, e ciò vale per il Presidente e per ogni ministro, membro della Duma, governatore di regione, giudice o comunque alto funzionario dello Stato.
Il candidato alla Presidenza dovrà, comunque, dimostrare di risiedere stabilmente in Russia da almeno 25 anni, e non potrà svolgere più di due mandati consecutivi. Ex post, naturalmente.
Viene resa inoltre preminente la Costituzione sulle normative dei Trattati Internazionali. Si riafferma qui il concetto russo della “democrazia sovrana”, che si ritrae dalla mitologia occidentalista, talvolta, dei “diritti umani” e quindi “universali”; e che dichiara la sua netta opposizione ad occuparsi degli affari interni di ogni altro Paese.
C’è inoltre, sempre specificato nella proposta di Riforma, il divieto di alienare parte dei territori della Federazione Russa.
Al Consiglio della Federazione, che diviene ormai l’organo primario dell’Esecutivo, spetta inoltre il diritto di licenziare i giudici federali esprimendo, sul loro operato, una proposta argomentata al Presidente.
Alla Duma spetta poi l’approvazione, non più il diretto consenso, delle candidature proposte dal Presidente, oltre che, sempre su proposta del Presidente, la approvazione delle candidature dei vice e dei ministri federali, che saranno poi definitivamente nominato dallo spesso Presidente, ma, comunque, se sarà il caso, il Presidente non potrà respingere i candidati approvati dalla Duma.
Le due direttive di “Russia Unita”, il partito storico di Putin, diventano quindi norma costituzionale. Ovvero, si tratta della deržavnost’ che è la “grande potenza”, e della gosudarstvenničestvo,  ovvero lo “Stato forte”.
Poi, come sempre accade oggi nella propaganda politica, c’è la questione dei rapporti familiari.
La nuova costituzione proposta dal Presidente sancisce, comunque, che il matrimonio è solo una unione tra uomo e donna, e anche la propaganda televisiva del referendum sottolinea questo elemento.
Poi, lo Stato ha il dovere esplicito di “custodire e onorare la memoria dei difensori della Patria, di onorare anche l’identità culturale panrussa, e di indicare la fede in Dio” come valore ricevuto sacralmente dagli antenati.
Sobianin, sindaco di Mosca, ancora epicentro della infezione, voleva il referendum a settembre, ma Putin lo vuole subito, ora.
Perché? C’è il fatto che Vladimir Putin sta sentendo e verificando tensioni politiche e personali negli apparati.
Nei Servizi Segreti, nelle Forze Armate, dalle quali, da pochi mesi però, provengono attacchi indiretti e velati alla sua persona, da una serie di episodi che rivelano come il GRU, il Servizio Segreto militare, non sia più integralmente nelle mani di Putin, come prima accadeva.
Certo, ora, con il Covid-19 in fase di espansione controllata, Putin ha comunque recuperato popolarità.
Ancora oggi, il 63% della popolazione russa esprime un forte sostegno a Vladimir Vladimirovic Putin. Nel caso del referendum, si prevede comunque una partecipazione alle attività elettorali del 65%, sempre troppo poco per garantire un successo reale e definitivo al Presidente ma, lo ricordiamo, le elezioni democratiche hanno delle vie che, parafrasando Pascal, “il cuore non conosce”.
Circa il 47% dei russi si dichiara, comunque, favorevole alle riforme proposte da Putin al testo costituzionale.
Troppo pochi? Vedremo. Tra i giovani, dovrebbe votare solo il 53%, mentre gli anziani andranno alle urne, elettroniche o meno, per il 77%.
Ma sarà sempre il 41% dei giovani a votare contro gli emendamenti putiniani alla costituzione russa, con il 45% di tutti i residenti a Mosca.
Chi non si recherà alle urne, si prevede oggi, sarà il 35%.
Putin è in pericolo? Non lo crediamo, visto che il Presidente troverà il modo di recuperare, se casomai ciò accadesse, ma proprio non lo crediamo, per la sua scarsa resa elettorale.
Quindi, accentramento nelle mani di Putin, fino a due mandati e oltre, del vero potere ma, dall’altra parte, distribuzione regolata dal Centro del Potere ai governi regionali.
Una nuova conformazione del potere in Russia, comunque, fino a che Putin non troverà il suo vero delfino.
Se mai lo troverà, ovviamente.
Lo Stato è “un’opera d’arte”, come recitavano le note di un antico e prezioso libro di Jakob Burkhardt, “La civiltà del Rinascimento in Italia”.
Quindi, ogni Stato non si riproduce come una fotocopia, ma si realizza solo tramite l’Autore, ovvero l’Artista.
Se saranno votate, le modifiche alla costituzione russa permetteranno a Putin di essere regolarmente rieletto oltre i due mandati consecutivi, ma, con le attuali modifiche, si può pensare ad altri 12 anni, e più, ancora al potere, ma solo per Vladimir Vladimirovic Putin.

Giancarlo Elia Valori