Il patron di Cattleya: “Su Sky e Netflix alla conquista del mondo”

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Roma, 13 ott. (AdnKronos) – di Antonella Nesi

Ci sono un paio di proporzioni che rendono bene l’idea di quello che è accaduto negli ultimi anni nel mercato dell’audiovisivo italiano e le potenzialità offerte prima dalla pay tv di Sky ed ora da Netflix e dalle altre piattaforme di video on demand: “Nel 2008 ‘Romanzo criminale – La serie’ ha recuperato sul mercato internazionale il 30% dei costi, nel 2014 ‘Gomorra – La serie’ almeno il 50%, nel 2018 ‘Zero zero zero’ e ‘Django’ arriveranno all’80%. Netflix è solo mercato internazionale quindi il problema nemmeno si pone: lì i costi sono interamente a carico del mercato internazionale anche se nel caso di ‘Suburra’, per diritti legati al precedente film, c’è una quota di coproduzione Rai e quindi i costi sono stati per l’80% coperti da Netflix. Ma per capire di che rivoluzione parliamo, bisogna sapere che la fiction domestica, caso ‘Montalbano’ a parte, in media recupera sul mercato internazionale tra lo zero e il 20%”, spiega all’AdnKronos Riccardo Tozzi, che 20 anni fa ha fondato Cattleya, la più grande società di produzione cinematografica e televisiva indipendente italiana, artefice di tutte le serie di successo appena citate.

Con un passato prima in Sacis (Rai) e poi alla guida della produzione fiction di Mediaset, Tozzi nel 1997 si è messo in proprio ed è il produttore indipendente che meglio è riuscito ad intercettare i cambiamenti in atto nello scenario internazionale. Non è un caso che sia stato lui a portare su Netflix la prima produzione made in Italy, ‘Suburra’, e che pochi giorni dopo abbia annunciato di aver ceduto il 51% di Cattleya alla società inglese Itv Studios. Le sue produzioni e coproduzioni sono richiestissime dal mercato internazionale: “Noi più di quello che stiamo producendo non possiamo fare. E mi piacerebbe che altri produttori italiani cavalcassero l’opportunità di questa domanda che con Cattleya abbiamo contribuito a generare”.

Tozzi spiega anche come siano cambiate le regole della produzione nel nuovo scenario multipiattaforma: “Premesso che lo scenario è talmente in evoluzione che forse dobbiamo ancora comprenderlo completamente – dice Tozzi – la prima grande rivoluzione in Italia è stata portata dall’arrivo della pay tv di Sky, che ha modificato sia i modelli di fruizione che quelli di produzione. In fondo il fenomeno dei ‘Binge watching’ (quello per cui si fanno ‘scorpacciate’ di intere serie, dato che tutte le puntate sono disponibili insieme, e non si guarda più un episodio a settimana, ndr.) tipico di Netflix è possibile già da un po’ con Sky Box Sets (la ‘library’ dove Sky rende visibili on demand ai suoi abbonati intere stagioni o anche più stagioni delle serie tv più gettonate) e in qualche misura da un anno anche con Rai Play. Questo ha cambiato e sta cambiando la scrittura seriale, perché va evitato ogni richiamo e ripetizione nel susseguirsi delle puntate, che invece era tipico dell’architettura seriale della tv generalista, dove si guardava una puntata a settimana e lo spettatore andava aiutato perché era più distratto”.

Questa non è l’unica evoluzione del linguaggio: “Quando produci per Netflix o per una grande coproduzione internazionale di Sky, devi tenere presente che hai come pubblico potenziale il mondo intero. Quindi anche se funzionano molto le forti connotazioni ‘local’ (basti pensare alla Napoli di ‘Gomorra’ e alla Roma di ‘Suburra’) devi sempre tenere presente che quella fiction dovrà essere decifrabile ovunque, quindi anche se i personaggi parlano in dialetto stretto il linguaggio in realtà deve essere universale”.

Quando questo riesce, come nel caso di Cattleya, le ripercussioni sono notevoli: “Si hanno budget più grandi e quindi si può investire di più sulla qualità. La fiction italiana è vincente perché – spiega Tozzi – ha recuperato quello che faceva grande il cinema italiano: i generi e i mestieri del cinema”. Paradossalmente a rimanere indietro è stato il cinema: “Oggi il costo ‘di fabbricazione’ di una serie italiana per il mercato internazionale rispetto ad una serie americana è la metà o un terzo (il costo orario di queste grandi produzioni arriva fino a 4 milioni di euro l’ora, ndr.) mentre la media di budget di un film italiano rispetto ad uno statunitense è più o meno 1 a 50. Eppure il biglietto per la sala cinematografica in Italia è lo stesso tanto per un film italiano quanto per un film americano. Va bene fare molti piccoli film di sperimentazione però occorre anche fare molti grandi film in coproduzione internazionale”.

Secondo Tozzi anche “il cinema italiano dovrebbe capire che realtà come Netflix, Amazon o la nuova società annunciata da Tim con Canal Plus sono una grande opportunità, combatterle è autolesionistico: in Italia gli incassi sono crollati, il pubblico adulto va molto poco al cinema proprio perché ha molti abbonamenti ed ha la possibilità di vedere molto racconto per immagini a casa, quindi quando esce magari ha voglia di fare altro, di andare a mangiare fuori”. “Andare al cinema è diventata una scelta un po’ speciale legata a pochi film importanti, magari con una grande componente visiva, e alla presenza di sale molto belle. Gli incassi del cinema americano sono stabili perché è fatto per un pubblico giovanissimo. Da noi ancora non è così, eppure il 55% del pubblico delle sale italiane è sotto i 14 anni”.

E la soluzione non sembra poter essere affidata solo alle quote di distribuzione e di investimento previste per legge: “Le quote sono un segno di buona volontà ma anche uno strumento legato ad un altro periodo storico. Furono utilissime allora: grazie alle quote di Veltroni nacquero tanto Rai Cinema quanto Medusa. Ma oggi andrebbero articolate in maniera diversa e concepite diversamente per cinema e fiction”, dice il produttore che a marzo porterà sul set ‘Zero zero zero’, la serie tratta dal romanzo-inchiesta di Roberto Saviano (8 ore per un budget di circa 30 milioni di euro) e entro l’estate 2018 anche ‘Django’, l’adattamento per il piccolo schermo del cult spaghetti-western di Sergio Corbucci del 1966. Intanto si gode il successo di ‘Suburra’: “Netflix non diffonde dati sul successo delle singole serie, in nessun paese. Non li danno neanche a noi. Ma ci hanno detto che in Italia ha avuto un risultato notevole, grazie anche alla promozione, mentre sull’estero non ci sono ancora dati e verrà anche promossa diversamente”, conclude Tozzi.