Papa Francesco ha parlato del “fallimento” della Chiesa cattolica in Canada nei confronti degli indigeni, nel corso dell’omelia che ha pronunciato nel santuario di Sainte-Anne-de-Beaupré, in Quebec, avvertendo che “non c’è cosa peggiore, dinanzi ai fallimenti della vita, che quella di fuggire per non affrontarli”. Francesco svolge, da domenica scorsa a domani, un “pellegrinaggio penitenziale” per chiedere perdono alle popolazioni autoctone canadesi per la complicità della Chiesa con l’assimilazione culturale alla quale sono stati sottoposti nel corso del tempo in Canada. Nell’omelia in Quebec il Papa è partito dall’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus, oggetto della lettura odierna, per fare riferimento agli “interrogativi scottanti che questa Chiesa pellegrina in Canada sta facendo risuonare nel suo cuore in un faticoso cammino di guarigione e di riconciliazione. Anche noi, dinanzi allo scandalo del male e al Corpo di Cristo ferito nella carne dei nostri fratelli indigeni, siamo piombati nell’amarezza e avvertiamo il peso del fallimento. Permettetemi allora – ha proseguito il Papa, che in Canada parla in spagnolo – di unirmi spiritualmente a tanti pellegrini che qui percorrono la ‘scala santa’, che evoca quella salita da Gesù al pretorio di Pilato; e di accompagnarvi come Chiesa in queste domande che nascono dal cuore pieno di dolore: perché è accaduto tutto questo? Come ciò è potuto avvenire nella comunità di coloro che seguono Gesù? Qui, però, dobbiamo stare attenti alla tentazione della fuga, presente nei due discepoli del Vangelo: fare la strada all’indietro, scappare dal luogo dove i fatti sono avvenuti, tentare di rimuoverli, cercare un ‘posto tranquillo’ come Emmaus pur di non pensarci più. Non c’è cosa peggiore, dinanzi ai fallimenti della vita”, ha rimarcato Bergoglio, “che quella di fuggire per non affrontarli. E’ una tentazione del nemico, che minaccia il nostro cammino spirituale e il cammino della Chiesa: vuole farci credere che quel fallimento sia ormai definitivo, vuole paralizzarci nell’amarezza e nella tristezza, convincerci che non c’è più niente da fare e che quindi non vale la pena di trovare una strada per ricominciare”.
Il viaggio dei discepoli di Emmaus, alla conclusione del Vangelo di san Luca, “è un’immagine del nostro cammino personale e di quello della Chiesa”, ha detto il Papa nell’omelia. “Sulla strada della vita, e della vita di fede, mentre portiamo avanti i sogni, i progetti, le attese e le speranze che abitano il nostro cuore, ci scontriamo anche con le nostre fragilità e debolezze, sperimentiamo sconfitte e delusioni, e a volte restiamo prigionieri del senso di fallimento che ci paralizza. Il Vangelo ci annuncia che, proprio in quel momento, non siamo soli: il Signore ci viene incontro, si affianca a noi, cammina sulla nostra stessa strada con la discrezione di un viandante gentile che vuole riaprire i nostri occhi e far ardere di nuovo il nostro cuore. E quando il fallimento lascia spazio all’incontro con il Signore, la vita rinasce alla speranza e possiamo riconciliarci: con noi stessi, con i fratelli, con Dio. Seguiamo allora l’itinerario di questo cammino che potremmo intitolare: dal fallimento alla speranza”. Il malessere dei discepoli di Emmaus, ha notato il Papa, “lascia spazio solo a una sterile discussione. E ciò può verificarsi anche nella vita della Chiesa, la comunità dei discepoli del Signore che i due di Emmaus rappresentano. Pur essendo la comunità del Risorto, può trovarsi a vagare smarrita e delusa dinanzi allo scandalo del male e alla violenza del Calvario. Essa allora non può fare altro che stringere tra le mani il senso del fallimento e chiedersi: che cosa è successo? Perché è successo? Come è potuto succedere? Fratelli e sorelle”, ha proseguito Jorge Mario Bergoglio, “sono le domande che ciascuno di noi pone a sé stesso; e sono anche gli interrogativi scottanti che questa Chiesa pellegrina in Canada sta facendo risuonare nel suo cuore in un faticoso cammino di guarigione e di riconciliazione”.
Per il Papa, nell’itinerario “dal fallimento alla speranza”, “c’è una sola strada, una sola via: è la via di Gesù, è la via che è Gesù. Crediamo che Gesù si affianca al nostro cammino e lasciamoci incontrare da Lui; lasciamo che sia la sua Parola a interpretare la storia che viviamo come singoli e come comunità e a indicarci la via per guarire e per riconciliarci; spezziamo insieme con fede il Pane eucaristico, perché attorno a quella mensa possiamo riscoprirci figli amati del Padre, chiamati a essere fratelli tutti. Gesù, spezzando il pane, conferma ciò che già i discepoli hanno ricevuto come testimonianza dalle donne e a cui non hanno voluto credere: che è risorto! In questa Basilica, dove ricordiamo la madre della Vergine Maria, e in cui si trova anche la cripta dedicata all’Immacolata Concezione, non possiamo che evidenziare il ruolo che Dio ha voluto dare alla donna nel suo piano di salvezza. Sant’Anna, la Santissima Vergine Maria, le donne del mattino di Pasqua ci indicano una nuova via di riconciliazione: la tenerezza materna di tante donne ci può accompagnare – come Chiesa – verso tempi nuovamente fecondi, in cui lasciare alle spalle tanta sterilità e tanta morte, e rimettere al centro Gesù, il Crocifisso Risorto”. “Infatti”, ha proseguito il pontefice argentino, che, a causa dei suoi problemi alla gamba, ha pronunciato da seduto l’omelia nel santuario del Quebec, “al centro delle nostre domande, delle fatiche che portiamo dentro, della stessa vita pastorale, non possiamo mettere noi stessi e il nostro fallimento; dobbiamo mettere Lui, il Signore Gesù. Al cuore di ogni cosa mettiamo la sua Parola, che illumina gli avvenimenti e ci restituisce occhi per vedere la presenza operante dell’amore di Dio e la possibilità del bene anche nelle situazioni apparentemente perdute; mettiamo il Pane dell’Eucaristia, che Gesù spezza ancora per noi oggi, per condividere la sua vita con la nostra, abbracciare le nostre debolezze, sorreggere i nostri passi stanchi e donarci la guarigione del cuore. E, riconciliati con Dio, con gli altri e con noi stessi, possiamo anche noi diventare strumenti di riconciliazione e di pace nella società in cui viviamo”.