Il paese non si muove e non è colpa dei taxi

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I partiti sono come i taxi, paghi la corsa e scendi. La frase è di Enrico Mattei, il mitico fondatore dell’Eni scomparso in un misterioso incidente aereo a Bascapé, in provincia di Pavia, nel lontano 1962. Oggi, però, a leggere le cronache, nel mentre si continua a pagare (ai partiti, ai politici, agli attaché delle segreterie) i taxi stanno più tempo fermi che in servizio. Per protesta. Finora, infatti, le proposte del governo in materia non hanno prodotto risultati soddisfacenti. Anzi, l’ultimo decreto per frenare gli “abusi” del Ncc (noleggio con conducente, ma si può leggere Uber) ha lasciato scontenti tutti.

 “Al fine di evitare fenomeni distorsivi della concorrenza”, il governo ha demandato alle Regioni il compito di garantire “la pianificazione dei servizi pubblici non di linea”. Come dire, ad un mese dalla prima clamorosa protesta della categoria, se n’è lavato le mani. Conclusione: scontenti i tassisti, scontenti gli “abusivi” di Uber, scontenti i neo-liberisti che invocano l’applicazione della direttiva Bolkestein dal 2006.

Nei partiti, però, il fermento non manca. Intanto, si continua a litigare per la conservazione dei privilegi alla casta. In settimana, per dire, l’ufficio di presidenza della Camera ha approvato una proposta del Partito Democratico sui cosiddetti “vitalizi”. Il testo prevede che gli ex deputati ancora titolari di vitalizio versino un contributo di solidarietà progressivo per i prossimi tre anni, a partire dal primo maggio.

Gli ex deputati ancora titolari di vitalizio sono coloro che hanno cessato il mandato prima del 2011 e, perciò, non sono stati interessati dalla riforma che ha abolito i vitalizi sostituendoli con una pensione calcolata con metodo contributivo sia pure mantenendo alcune regole differenti rispetto a quelle vigenti per i lavoratori dipendenti. La proposta del PD prevede il versamento di un contributo che del 10 per cento per i vitalizi da 70 mila a 80 mila euro, del 20 per cento da 80 mila a 90 mila euro, del 30 per cento da 90 mila a 100 mila euro e del 40 per cento per quelli superiori ai 100 mila euro annui. La proposta è temporanea perché così ha stabilito la Consulta in una precedente sentenza. Il prelievo progressivo dovrebbe portare a un risparmio di 2,5 milioni all’anno per le casse della Camera.

Di contro, c’era la proposta del M5S che invece intendeva parificare le pensioni parlamentari a quelle degli altri cittadini, senza intervenire sui vitalizi sopravvissuti alla riforma, perché per farlo servirebbe un voto parlamentare e non una modifica del regolamento. Tecnicismi che il cittadino medio difficilmente comprende. Da qui una vera e propria bagarre. Mostrando cartelli, i deputati del M5S hanno urlato “vergogna” ai colleghi e hanno anche provato a fare irruzione nella sala della presidenza. I filmati delle scene girano sui social (e a ruota, giocoforza, sulla Tv di Stato) con profluvio di contumelie.

Sarà anche per questo, forse, che a nord di Bruxelles – dove i deputati non guadagnano venti e passa volte il salario di un operaio – a noi italiani ci vedono come il fumo negli occhi. Per non dire, a noi del Sud. Per il presidente dell’Eurogruppo, per esempio, noi meridionali prima prendiamo “tutti i soldi per alcol e donne e poi si chiediamo aiuto”. Parole forti, che prontamente  indispongono i benpensanti. A cominciare dall’ex premier, Matteo Renzi, per il quale l’olandese Jeroen Dijsselbloem “prima se ne va e meglio è perché non merita il ruolo che riveste”. Dello stesso avviso il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda: “Si deve dimettere”.  L’ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi prova invece a passarla con ironia: “Dijsselbloem? Ho percepito un senso di invidia”.

Ma la polemica non sposta di una virgola la sostanza delle cose: in genere, se non “puttanieri” ci considerano poco seri. “L’Ue si aspetta dall’Italia un ambizioso programma di riforme che affronti le debolezze dell’economia nazionale. Riforme per affrontare la questione dell’elevato debito pubblico e privato del Paese e quello della sua bassa produttività”, afferma – sembrerebbe senza troppa convinzione – il vice presidente della Commissione Valdis Dombrovskis.

Ma hai voglia a dire: “Il Pil italiano crescerà a un ritmo lento anche all’inizio dell’anno dopo il +0,2% congiunturale del quarto trimestre 2016”, come ammonisce il Centro studi di Confindustria. O come ricorda l’Istat: la produzione delle costruzioni a gennaio del 2017 è sempre in contrazione (-3.8% sul mese e -5,2% su base annua), mentre sono ancora oltre un milione il numero di famiglie senza redditi da lavoro. Un dramma. Al cui confronto fa nemmeno sorridere la notizia che con il Def 2017 debutterà un primo “set provvisorio” di indicatori del benessere.