Secondo alcune fonti recentissime e ufficiali siriane, oltre 5000 jihadisti sarebbero da poco entrati, alla fine dell’Aprile scorso, dal confine turco verso Idlib ed Aleppo.
Tra di essi, vi è un numero imprecisato, ma non certo trascurabile, di uighuri provenienti dallo Xingkiang cinese.
Il supporto tecnico e operativo a questo nuovo jihad sarebbe stato fornito dai Servizi turchi e dalle forze speciali, i “beretti marrone”, delle FF.AA. di Ankara.
Alcune fonti parlano di 1500 elementi dallo Xingkiang, altre di almeno 1000 militanti del jihad provenienti da quella regione cinese.
Il tramite organizzativo e di addestramento per questa operazione sarebbe stato fornito, oltre che dalle forze turche, dagli stessi guerriglieri turkmeni, che erano già stati attivi nell’abbattimento e poi nell’eliminazione a terra dell’equipaggio del Sukhoi Su-24M nel Novembre 2015.
L’aereo di Mosca era stato colpito, lo ricordiamo, dall’aviazione turca per una pretesa violazione dello spazio aereo di Ankara.
Tutte le forze politiche turche, al governo come all’opposizione, lo ricordiamo, sostengono oggi gli sforzi dei jihadisti “turcomanni” nel quadrante siriano.
I jihadisti turkmeni, prima dell’inizio della guerra in Siria, abitavano da sempre nelle campagne ad Est di Aleppo e su una parte della costa vicino a Latakia chiamata, appunto, Jabal al-Turkman.
Ad Aleppo opera oggi, ma è presente fin dagli albori degli scontri, la brigata specificamente “turcomanna” Liwa al Mu’tasem Billah, ma la popolazione di etnia turca è stata rappresentata, fino ad oggi, dalla “Assemblea dei Siriani Turchi”, fondata nel 2013 dal governo di Ankara nella persona del suo ministro degli Esteri, Ahmed Davutoglu.
E’ questa la vera “porta girevole” degli aiuti che passano tra Ankara e il jihad uighuro e turkmeno, sia ai confini con la Turchia che all’interno della Siria.
Il sostegno a questa minoranza, con evidente ma coperta assistenza militare, è stato organizzato, fin dali inizi delle ostilità, dalla ONG turca IHH, già ben nota al pubblico mondiale per le sue operazioni a supporto delle azioni militari di HAMAS a Gaza, con la sua Freedom Flotilla del 31 Maggio 2010.
Gli aerei russi, il 10 gennaio scordo, hanno colpito con decisione i depositi dell’IHH nello jabal Al Turkman.
D’altra parte, lo stesso AKP ha antiche radici che lo riportano ad una parte “coperta” della Fratellanza Musulmana turca che, impedita a presentarsi dalla Corte Costituzionale alle elezioni con il suo tradizionale partito di riferimento, il Milli Gorus di Ecmeddin Elbatan, nel 1996, ricostruì in fretta il panorama islamista della politica turca.
Tuttora, i nessi tra il regime di Erdogan e l’Ikhwan, e con tutta la “Fratellanza”, sono strettissimi.
Le fonti ufficiali egiziane del più antico gruppo islamista parlano di un AKP definito come “non islamista” ma certamente “mussulmanista”; mentre il leader turco Erdogan, almeno ufficialmente, si riferisce spesso ad un Islam turco legato alla tradizione sufi di Shamshiddin al-Tabrizi e di Jalahuddin Al-Rumi.
Ma si tratta qui, con ogni probabilità, di una operazione mediatica ad usum delphini, ovvero per i palati inesperti degli occidentali.
E pensare che furono proprio le Logge italiane del Grande Oriente operanti ad Alessandria e Salonicco a fornire la copertura ai sufi delle reti militari turche e ottomane per poi mettere in atto il golpe dei “Giovani Turchi”.
Un dirigente dei Servizi turchi, Irshad Hoza, è stato arrestato in Egitto subito dopo la presa del potere da parte di Al Sisi.
Peraltro si è formato, sempre dopo il recente golpe egiziano, proprio a Istanbul, un Consiglio Rivoluzionario Egiziano formato da 81 fuggitivi di rilievo appartenenti tutti alla Fratellanza.
E’ quindi il canale dell’Ikhwan quello che, deduttivamente, viene usato dalle Forze turche, politiche e militari, per sostenere la guerriglia jihadista turkmena, e quindi uighura, vicino ad Aleppo ed in genere in tutta la Siria.
Quello, certamente, ma non solo, per evitare di “bruciare” il punto più rilevante dell’apparato di intelligence e militare che collega lo Stato turco al jihad siriano.
Ma vi è un’altra organizzazione “umanitaria” turca, più filo-jihadista dello IHH ma, utilmente, meno nota, denominata Imkander, che è stata fondata appena nel 2009 al fine di dare aiuto alle vedove e agli orfani dei combattenti turkmeni e jihadisti nel Caucaso del Nord e oggi residenti in Turchia.
Essa ha finora fornito ben 300 milioni di Lire Turche (quasi 100 milioni di Usd) ai turkmeni (e quindi agli uighuri che combattono spesso con loro) del Jabal, oltre a ben quattro invii di aiuti, per mezzo di cortei di camion, aiuti di tipo “umanitario” (e militare) forniti tra il dicembre e il gennaio scorsi.
Il capo di Imkander, Murat Ozer, ha partecipato al funerale, nel febbraio 2014, del capo del jihad ceceno Seifullah Al-Shishani (ovvero Ruslan Machalikashvili) che, dopo la fine della guerra islamica nel Caucaso russo, si era affiliato a jabhat Al Nusra in Siria.
Tra le altre organizzazioni ONG turche, sostiene il fronte turkmeno-uighuro la IBAC, in traduzione dal turco “i militanti del Grande Fronte Islamico dell’Est”, una struttura già segnalata come organizzazione terrorista dal Dipartimento di Stato USA nel 1992.
Essa aveva colpito con delle azioni terroristiche, prima che in Siria e a supporto dei “turcomanni”-uighuri, alcune associazioni e riunioni alevi (ovvero alawite) presenti da sempre sul territorio turco e soprattutto in Anatolia.
Tra i sostenitori del jihad filoturco e uighuro vi sono anche gli ormai famosi “lupi grigi” (ovvero “Ulku Ocaklari”, Cuori Idealisti) che ha inviato ai jihadisti turkmeni-uighuri una serie di 35 camioni di “aiuti”, una colonna che era diretta, due mesi fa, sempre verso il Nord della Siria.
Il capo attuale dei “lupi grigi”, Selami Aynur, è stato addirittura ucciso ad Aleppo, dalle forze di Bashar el Assad, mentre operava con il suo battaglione turkmeno-uighuro, nel Marzo 2014.
Con ogni probabilità, è stato proprio un “nazionalista” turco, sempre all’interno del jihad turkmeno, Alparslan Celik, coljui che ha materialmente ucciso il pilota russo del Sukhoi 24M e gli elicotteristi che erano prontamente arrivati a “esfiltrarlo”.
Il finanziamento estero del jihad turkmeno-uighuro ha comunque un punto di forza in Germania.
Peraltro, Erdogan ha annunciato, due mesi fa, che “la Turchia proteggerà tutti i musulmani dei Balcani”.
E’ un chiaro riferimento al ruolo che il leader turco assegna alla comunità turca e turcomanna in Germania, destinata a fare da base, raccolta fondi, sostegno, copertura e reclutamento per il nesso strategico tra il jihad balcanico, che scoppierà con ogni evidenza tra poco, e la guerra in Siria, vero e proprio asse dello sviluppo panturanico, sunnita e nazionalista turco dall’Anatolia ai confini della Cina.
I Balcani saranno una retrovia inespugnabile, nella visione di Erdogan, con la Germania turco-uighura a fare da asse primario, mentre le operazioni da parte di Ankara di sfondamento in Siria, per unificare il mondo sunnita e turcomanno-uighuro, saranno il “centro di gravità” di questa nuova guerra in preparazione.
In quel Paese, la Germania, vivono oltre 3 milioni di turchi etnici, 2,5 milioni di essi ha la cittadinanza tedesca, oltre il 75% di quella popolazione ha attitudini nazionaliste-islamiste.
L’80% dei turchi in Germania vive di sussidi sociali, solo il 20% ha un lavoro regolare,
Non si sa bene quanti siano gli uighuri in Germania, grazie anche al loro capo storico Dolkun Isa, ormai cittadino tedesco, ma è molto probabile che si tratti, ormai, di oltre 25.000 elementi, tutti politicamente attivi.
Gli uighuri, nel Nord della Siria, vanno a abitare nei villaggi lasciati vuoti da quelli che noi occidentali chiamiamo “migranti”, soprattutto a Jisr-Al-Shugur e a Zanbaq, cittadine nella fascia esterna di Aleppo.
Si modifica la demografia quando non si può operare militarmente in altro modo.
Quello che devono fare gli uighuri intorno ad Aleppo è soprattutto il “lavoro sporco” di uccidere le “spie russe”.
Tornando alla UE e alla sua inane e introvabile politica estera, è la Turchia attuale che crede ancora all’utilità dei turchi in Germania, al fine di ricostruire il mito e il sogno dell’Impero Ottomano che, nella sua doppia accezione islamista e nazionalista, unifica e radicalizza sia i c.d. “laici” turchi che gli islamisti, siano essi legati alla Fratellanza che alle sue derivazioni jihadiste più recenti.
Ritorna qui il vecchio mito storico del Kaiser Guglielmo che, con il suo diplomatico-agente segreto Max von Oppenheim, l’alter ego e nemico di Lawrence d’Arabia, impostò il jihad globale al fine di destabilizzare tutto l’Impero Britannico e accerchiare l’Europa, per poi utilizzare l’alleanza tra Berlino e l’Islam “radicale” come nuovo asse di espansione tedesca in tutto l’Est asiatico, proprio fino alla Cina.
Il pericolo giallo, nella vecchia accezione imperiale tedesca.
Oggi, c’è stato il caso, addirittura, di un tredicenne turco, nato a Monaco di Baviera, che è stato catturato a metà dell’Aprile scorso, al confine turco-siriano, mentre stava tentando di raggiungere l’Isis.
Tradizionalmente, gli uighuri dello Xingkiang hanno combattuto, in anni passati addirittura con una “brigata” autonoma, a sostegno dei Taliban in Afghanistan e con Al Qaeda soprattutto nelle “Aree Tribali” del Pakistan.
Colpire un amico della Cina, il Pakistan, per colpire indirettamente quelli che gli uighuri chiamano, con la loro mentalità etnicista, “gli han usurpatori”.
Ma nella fase attuale, tramite i dati elaborati da “fonti aperte”, i combattenti uighuri in Siria, equamente divisi tra i “turcomanni” e il Fronte Al Nusra col correlato Partito Islamico del Turkestan, sarebbero circa settemila, e vanno aumentando proprio mentre le altre parti del fronte siriano si chiudono inesorabilmente all’arrivo dei jihadisti da Ovest e da Sud-Est.
E’, da un punto di vista geografico e strategico, una ovvia conseguenza della diversa dislocazione delle forze in campo nella proxy war siriana.
Altre fonti, sempre “aperte”, parlano di “centinaia” o perfino di “diverse migliaia” di uighuri in arrivo dallo Xingkiang in Siria, ma si tratta di cifre tutte da provare.
Spesso poi, e questo è maggiormente provato, gli uighuri utilizzano le missioni diplomatiche turche nel Sud-Est asiatico nel passaggio verso il jihad siriano, per evitare il più facilmente tracciabile (da Pechino) passaggio dal Pakistan verso l’Afghanistan e poi la Siria.
Naturalmente, vi è anche una forte diaspora uighura, spesso ricca, presente a Istanbul, forte di almeno 20.000 elementi attivi ed organizzata tra il nazionalismo dei “lupi grigi” e l’AKP.
Una serie di associazioni uighure che raccoglie fondi in denaro e sostiene materialmente, con invii di materiale, i jihadisti cinesi operanti in Siria, sia quelli del Fronte Al Nusra che, gli altri, operanti direttamente nel jihad turkmeno intorno ad Idlib e Aleppo.
Quando era sindaco di Istanbul, Erdogan fece erigere un monumento e un parco a Isa Yussuf Alptekin, il vecchio capo della rivolta islamista nello Xingkiang alla metà degli anni ’30.
E’ forse anche per questo che Pechino, oltre ad aver fatto votare una legge che permette le operazioni militari all’estero dell’Armata Popolare di Liberazione, sta mettendo mano ad una sua autonoma base militare a Gibuti, oltre che ad aver ordinato recenti esercitazioni delle sue FF.AA. “in aree desertiche” e in “zone non familiari”.
Gli uighuri arrivano in Siria fino al confine tra Pakistan e Afghanistan spesso con le loro famiglie al seguito.
Il costo del viaggio verso il jihad è rilevantissimo, si parla di oltre 35.000 Usd per ogni “invio” familiare, soldi che sono pagati o dalle reti delle ONG turche, con fondi propri o raccolti tra i turco-tedeschi per mezzo delle offerte in moschea, oppure con invii, da parte dei vari gruppi islamisti turchi, a loro emissari in Afghanistan, Pakistan e, soprattutto, Cecenia.
E’ difficile fare dei conti esatti, naturalmente, ma si deduce che il circolo dei finanziamenti, a parte la piccola parte di jihadisti cinesi “ricchi”, abbia l’entità di 4,5 milioni di Usd/anno.
Il punto di riferimento, comunque, del jihad uighuro in arrivo in Siria rimane soprattutto il Fronte Al Nusra, che opera soprattutto, in questa fase della guerra siriana, lo ripetiamo, nell’area di Idlib,
I turkmeni sono sostenuti direttamente da Ankara, e gli uighuri che si aggregano a quel tipo di jihad si confondono tra le linee operative di quel gruppo.
Il che non impedisce certo, e questo accade spesso, uno scambio di jihadisti, soprattutto quando ci sono perdite rilevanti tra un gruppo o l’altro.
Peraltro questa situazione, portata oltre il limite del tollerabile, potrebbe permettere a Pechino, “se Assad lo vuole” (si tratta qui di dichiarazioni del Settembre 2015) di entrare direttamente, con le proprie truppe, nella grande proxy war globale che oggi avviene in Siria.
Pechino romperebbe pericolosamente il suo utile isolamento ma consntirebbe, d’altra parte, una securizzazione dello spazio vitale cinese del Turkestan Orientale che, dallo Xingkiang, arriva negli spazi strategici vitali della Cina settentrionale, determinanti per la sua difesa missilistica-nucleare e per le sue azioni di intelligence elettronica e cyber.