Il Monumento di Santa Chiara e la sua storia nel centro antico di Napoli

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da lettore.org (giornale dell'Itt Majorana Milazzo e degli studenti della provincia di Messina)

di Maria Carla Tartarone Realfonzo

La Cittadella di Santa Chiara si trova a Napoli, nella piazza del Gesù, tra le strade più antiche della città, i decumani e i cardini. Fu eretta a partire dal 1310 per volere della Regina Sancia di Majorca, moglie di Roberto di Angiò, ma i suoi lavori conobbero una interruzione nel 1328 per la morte del figlio della Regina, il duca Carlo di Calabria. La Cittadella comprende un campanile, due monasteri con i loro chiostri ed è chiusa da un muro di cinta aperto da un portale in piperno. La Chiesa ha la facciata in tufo giallo, con un massiccio pronao in piperno, tre archi ogivali ed in alto un rosone gotico-francese*. La parte più antica è il campanile col trecentesco basamento di travertino. Distrutto per i terremoti tra il Quattrocento e il Cinquecento, ricostruito, non fu però completato. Santa Chiara fu anche una improvvisata fortezza durante i moti di Masaniello, tra il 1647 e il 1648. La Chiesa, costruita dagli architetti Gagliardo Primario e Leonardo di Vito, con navata unica, comprendeva anche affreschi della scuola di Giotto, cancellati in gran parte nel Cinquecento e sostituiti nel Seicento e nel Settecento, quando fu rifatto anche il pavimento su disegno di Ferdinando Fuga. Il tetto a capanna era sostenuto da possenti capriate lignee. Impressionano le trifore e le bifore con alcuni vetri istoriati. La navata unica aveva, come adesso, dieci cappelle laterali a destra e dieci a sinistra, consegnate ai patronati, affidamenti a famiglie nobili, finché queste non si esaurivano e il patronato veniva sostituito. Sia a destra che a sinistra della navata possiamo trovare antichi reperti, molto interessanti. Nella settima cappella a sinistra, che conserva ancora tombe trecentesche, scampate per fortuna all’incendio del 1943, esistono ancora le antiche tombe della nobile Famiglia del Balzo. Tra le altre cappelle laterali di sinistra, nella seconda, si può osservare il sepolcro, sostenuto da colonnine, di Drugo Merloto, morto nel 1339, raffigurato in veste di cavaliere, classico sepolcro trecentesco, senza però baldacchino. Nella terza cappella, in patronato alla famiglia Cabano, si osserva un cavaliere disteso, un personaggio che, da schiavo mussulmano, adottato dalla famiglia, divenne addirittura maggiordomo di Re Roberto e poi cavaliere al tempo di Giovanna I, nel 1343. Nella quarta cappella vi sono resti di sepolcri settecenteschi, opera di Giuseppe Sammartino. Molti reperti sono in parte conservati nel “Museo dell’Opera”, nel sito stesso, molto interessante da visitare. La sesta cappella invece fu trasformata in uscita laterale nel Seicento. Le cappelle laterali di destra, con resti storicamente più recenti, conservano, nella decima, le tombe dei Borbone, la dinastia reale giunta a Napoli nel 1734 con Carlo. Cappella ideata da Ferdinando Fuga, con sculture del Sammartino, inaugurata nel 1776, per la morte prematura del Principe Filippo figlio di Carlo e di Elisabetta Farnese. In una poisizione centrale nel transetto vi è conservata la tomba della regina Sancia di Majorca, a destra guardando l’altare, eseguita da Tino di Camaino, artista molto noto, che aveva già eseguito nella Chiesa di Santa Maria Donna Regina, non molto distante, la tomba di Caterina d’Austria, madre di Carlo. Nel transetto vi è pure la tomba di Maria di Durazzo, una tomba a baldacchino racchiusa da quattro pilastri a colonnine, con alla base quattro leoni acquattati sui quali poggiano le cariatidi che sostengono il sarcofago su cui giace la defunta, sotto cortine sorrette ai lati da due angeli. Nei pressi dell’ingresso spicca la tomba della famiglia dei Penna, del 1400, con resti di dipinti del tempo giottesco che si ritrovano anche nel Coro delle Monache. Tanti furono i personaggi che vennero a rifugiarsi dalle Monache Clarisse e le loro spoglie si trovano conservate in ogni luogo del tempio ricostruendo la difficile storia del Regno di Napoli. Le parti esterne, ristrutturate nel Settecento, per opera di Antonio Vaccaro, il Chiostro Grande e gli altri luoghi, adatti ad ameno riposo, sono scanditi da un susseguirsi di pilastri ottagonali, intervallati da panche, interamente rivestiti da maioliche decorate da fiori e tralci di viti e glicini con capitelli in piperno, opere eseguite da Giuseppe e Donato Massa, noti artisti (1740-42) della ceramica, opere ancor oggi ammirevoli e molto ben conservati. Interessanti nel Chiostro sono le pitture restanti affrescate, del Seicento, con storie dell’Antico Testamento lungo il Porticato Nord; continue nel Porticato Ovest, dove nonostante l’esposizione all’aperto gli affreschi sono ancora visibili e ammirevoli.

*si può approfondire in “Un’estate a Santa Chiara”, di Maria Carla Tartarone, in Semi di Partenope di Loffredo Editore, 2011