Il mondo al rovescio: prima il lavoro, poi il capitale

1837
in foto Emiliano Brancaccio

Il mondo visto all’incontrario. Con gli occhi degli ultimi, dei poveri, degli emarginati e non degli opulenti e vincenti che scrivono la storia e oggi possono fregarsi le mani per come stanno andando le cose. Se la tendenza di fondo di questa nostra società porta alla concentrazione della ricchezza in sempre meno mani, non è detto che il destino sia stato già scritto. Anzi, la doppia crisi economica e sanitaria che ha fatto irruzione delle nostre vite nel 2008 e nel 2020 potrebbe avere l’effetto di scombiccherare i giochi e scrivere nuove regole.
Ne è convinto – o almeno lo auspica fornendone la base scientifica – il più marxiano degli economisti italiani, Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica presso l’Università del Sannio e autore di un libro per Piemme, Democrazia sotto assedio, che mette sotto accusa l’attuale assetto di potere provando a suggerire nuove formule per il governo delle nazioni e della comunità internazionale. In sintesi, basta cambiare motore: non più la spericolata e cinica finanza ma la vita reale delle persone che va salvaguardata.
Vasto programma, si potrebbe dire. Se oggi la competizione è tra grandi capitali transnazionali e piccoli capitali domestici – i primi destinati ad assorbire i secondi che cercano di difendersi promuovendo opzioni più o meno sovraniste -, domani potrebbe rientrare in gioco il grande assente dallo scacchiere generale degli interessi: il lavoro. Dopo anni di mortificazione, questo fattore è quasi scomparso dall’orizzonte di chi in qualche modo decide le sorti dell’umanità. Espulso dalla discussione senza biglietto di ritorno.
Eppure, qualcosa si muove. L’incapacità dei padroni del vapore, mai sazi dei vantaggi acquisiti, a trovare nuove rotte convincenti dopo la deriva dei vecchi schemi di navigazione potrebbe suscitare l’effetto di ricompattare il fronte dei perdenti magari sotto la guida di qualche condottiero illuminato. La confusione che sembra regnare sovrana potrebbe nascondere qualche sorpresa e sotto la coltre di nuvole e polvere che avvolge il presente è sempre possibile che possa emergere la soluzione ai dilemmi del secolo.
Il capitalismo come lo conosciamo sta attraversando una fase di grande forza e debolezza allo stesso tempo. Sembrava aver spazzato via le altre possibili forme di organizzazione quando ha cominciato a dissociarsi dal presupposto della democrazia da sempre considerata suo baluardo. Le formule classiche nelle quali abbiamo creduto e sulle quali abbiamo fondato le nostre aggregazioni civili cominciano a perdere attrattività. È un tempo di grandi contraddizioni quello che stiamo vivendo e per definizione di rivolgimenti grandi.
Una nuova economia capace di interpretare la società stordita che emerge dalla confusione non può che poggiare sull’inversione dei fattori anticipando sulla terra il precetto che vale per la conquista dei cieli: gli ultimi dovranno diventare primi. Secondo la suggestione di Emiliano i decisori dovranno mettere in cima alle proprie preoccupazioni le aspirazioni e i problemi di una classe lavoratrice che negli ultimi anni ha perso peso visibilità e diritti a vantaggio di un capitale che, grande o piccolo, ha vinto su tutta la linea.
Per riuscire nell’intento non c’è altra scelta che recuperare la pratica di una sana pianificazione dove la Politica ha il compito di individuare gli obiettivi nobili da raggiungere e approntare i relativi strumenti mostrando il coraggio delle idee e senza farsi condizionare da teorie che mostrano la corda. È la rivincita del pubblico sul privato, dell’interesse collettivo su quello individuale, dell’allargamento delle opportunità sull’egoismo. L’utopia del libro è sorretta da molte argomentazioni. Vale la pena prestare un ascolto.