Il mercato globale e le sue “direttrici”

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in foto Ngozi Okonjo-Iweala, nuova direttrice generale del Wto

di Dario Ciccarelli*

Ieri, 15 febbraio, il General Council dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, formato dai rappresentanti degli Stati membri, ha eletto – come sempre, all’unanimità – il suo nuovo Direttore Generale.
Soddisfare subito la curiosità del lettore indurrebbe a citare subito il nome del nuovo Direttore Generale, e chiudere così, rapidamente, la notizia. Il nome però non comunicherebbe molto del significato di quanto avvenuto. Ed allora vale la pena allargare lo zoom, per portare il focus non sulla notizia del giorno, ma … sulla notizia del secolo, quindi sulla globalizzazione, quindi sulla struttura stessa dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, visto che è all’interno di tale framework – ancora lontano, purtroppo, dal raccogliere molto interesse in Italia – che l’elezione del nuovo Direttore Generale assume il suo reale significato. Sì, perché a differenza degli schemi tipici delle Organizzazioni internazionali più conosciute – l’Unione Europea – presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio, così come nelle altre Organizzazioni internazionali, la figura apicale della tecnostruttura – del Direttore generale o del Segretario generale – non è, di per sé, così rilevante, come è, ad esempio, la figura del presidente della Commissione Europea. La stessa tecnostruttura dell’Organizzazione Mondiale del Commercio – così come, in vero, dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dell’Organizzazione Mondiale della Salute e delle altre Organizzazioni Internazionali – svolge infatti un ruolo molto meno rilevante di quanto si possa immaginare. Il Segretariato dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, a capo del quale il Direttore Generale si colloca, si compone di poche centinaia di funzionari, che non esercitano funzioni decisionali ma esclusivamente funzioni di supporto tecnico-scientifico-amministrativo. Nell’Organizzazione Mondiale del Commercio le protagoniste sono infatti, per definizione, le nazioni, ossia le comunità nazionali, che peraltro votano, tendenzialmente, all’unanimità. Il ruolo e il peso che, in concreto, ciascuna comunità nazionale esprime nella vita delle Organizzazioni Internazionali dipende non tanto dal suo orientamento di voto in occasione delle deliberazioni formali, quanto dalla sua capacità di trasformare, quotidianamente, in strategia efficace ed incisiva le analisi, gli interessi, le proposte che la comunità nazionale medesima è in grado di produrre sui diversi dossier. Se alimentato da una catena di trasmissione efficace, il rappresentante del singolo Stato porta fin dentro la vita dell’Organizzazione internazionale le pulsioni, le aspettative, le sensibilità, gli interessi dei lavoratori, dei contribuenti, dei consumatori, delle imprese, della politica del proprio Stato. Se la catena di trasmissione non agisce, il rappresentante fatica a dare contenuti robusti alla propria funzione. Su questo fronte, doveroso sottolinearlo, l’Italia deve certamente migliorare tanto. Sarebbe interessante se presto nelle Università italiane si trattasse a fondo del contenuto degli Accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio; oppure di come il suo efficacissimo sistema giudiziario (Dispute Settlement System) abbia, di fatto, trasformato l’Organizzazione Mondiale del Commercio anzitutto in un tribunale, presso il quale gli Stati meglio organizzati rilevano analiticamente, attraverso i propri legali, e quindi rimuovono, attraverso i giudici Wto, i comportamenti di concorrenza sleale posti in essere dagli altri Stati.
In questo quadro di premesse, evidentemente ancora molto limitato, l’elezione del nuovo Direttore Generale avvenuta ieri a Ginevra potrebbe dunque apparire una notizia di importanza secondaria. Non è così, in realtà. E non è così, soprattutto se si considera il momento speciale che vive il mondo, che attende di sapere se le nazioni si confronteranno tra loro, nei decenni a venire, in base alle proprie autonome capacità competitive come regolate dal diritto (multilateralismo) oppure organizzandosi in grossi blocchi di potere (Europa, Usa, Cina) in posizione di tendenziale antagonismo tra loro.
L’elezione del nuovo Direttore Generale è certamente una buona notizia per chi sostiene il multilateralismo, anzitutto perché, nel risultare da una convergenza totale tra i Membri, la decisione ricorda a tutti che, con impegno e pazienza, il gioco del mercato globale può effettivamente evolvere nel segno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, nel segno del diritto, dell’equità e dello sviluppo sostenibile, attraverso il contributo di tutte le nazioni. La nuova direttrice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio – veniamo finalmente al nome – è Ngozi Okonjo-Iweala, nigeriana. Si tratta del primo esponente africano a rivestire la carica più alta dell’organigramma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Alla novità possono associarsi interessanti suggestioni. Si potrebbe, ad esempio, osservare che, dopo 26 anni dalla sua entrata in funzione (1 gennaio 1995), l’Organizzazione Mondiale del Commercio guarda, per la prima volta, all’Africa come ad un simbolo non di Povertà e di Aiuti ma di Competition. E si potrebbe osservare che l’Africa ricambia lo sguardo. Ngozi Okonjo-Iweala ha studiato al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e all’Università di Harvard; è stata Ministro delle Finanze in Nigeria ed ha inoltre lavorato per molti anni alla Banca Mondiale, ricoprendovi posizioni rilevanti. Su Napoli e sull’Italia il messaggio che arriva da Ginevra non può non generare eco e sollecitazioni importanti. Soprattutto se ci si ricorda che, all’inizio della sua vita, nel 1995, l’Organizzazione Mondiale del Commercio elesse un napoletano – il compianto Renato Ruggiero – come proprio primo Direttore Generale. Soprattutto se ci si ricorda del dialogo, verso l’Europa, verso gli USA e verso gli altri continenti, che il nostro Paese ha sempre svolto, e certamente sarà chiamato a svolgere, anche negli anni a venire. Soprattutto se ci si ricorda della debolezza dell’approccio in essere in Italia, anzitutto nel Sud Italia, rispetto alla questione africana. Soprattutto se ci si ricorda che Lampedusa e Monastir – i punti più vicini tra loro di Italia e Africa – distano tra loro poco più di 150 chilometri.

*già esperto commerciale (2003-2007) della Rappresentanza permanente
d’Italia presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio