Il lavoro abbonda, nonostante gilde e burocrati

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Il Bazar delle Follie è un bell’esempio della carenza di lavoro nell’abbondanza delle opportunità dischiuse dall’economia digitalizzata che apre le porte per nuove carriere. Eppure, almeno in Europa, il numero dei candidati con competenze adeguate è largamente insufficiente. Secondo John Chambers (2015), amministratore delegato di Cisco, “Si stima che l’Europa avrà un gap di competenze informatiche che, se riempito, potrebbe portare a 850.000 potenziali posti di lavoro nel 2015, che si raddoppierebbero entro il 2020. In un continente dove la disoccupazione giovanile supera il 50% in alcuni paesi, non ci dovrebbero essere problemi a trovare giovani e desiderosi persone in grado di fare questi lavori, a condizione di ricevere la formazione adeguata”. E “l’Internet di tutte le cose – aggiunge Chambers – sarà un fattore chiave dell’occupazione. Solo per i progressi nell’informatica ‘a nuvola’ si prevede di creare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro in Europa entro il 2020. La trasformazione digitale porterà opportunità e creerà nuovi tipi di lavoro: sviluppatori di sistemi, ingegneri di reti di trasporto, consulenti di dispositivi medici, analisti di dati, ingegneri elettrici per reti intelligenti, e molti altri”. Eppure, sul fronte del lavoro il problema persiste, dal momento che resta una folta schiera molto influente, quella dei decisori politici, degli alti burocrati, delle gilde professionali e degli imprenditori, che pensa al lavoro come se fosse ancora quello della forza delle braccia della prima rivoluzione industriale in cui erano dominanti i principi della linearità, razionalità e causalità della fisica newtoniana. A quei tempi, come ha ben argomentato Esko Kilpi (2015), “Le aziende concettualizzate come macchine, come tutte le macchine non avevano una volontà propria. Servivano le intenzioni del loro creatore, il proprietario. I dipendenti erano, ovviamente, noti per essere degli esseri umani, ma le loro intenzioni personali risultavano irrilevanti. Venivano tenute al lavoro finché necessario per soddisfare le intenzioni dei creatori”. Il lavoro non è più quello, e non lo è neanche il lavoro concettuale-manageriale della seconda rivoluzione industriale con protagonista dominante la public company al posto del vecchio “padrone delle ferriere”. Quello in divenire è il lavoro delle nuove generazioni nella veste di imprenditori creatori che, come li descrive Kilpi, si trovano in uno stato di “interazione tra persone interdipendenti”. Tutti potranno essere “creatori” che partecipano con le loro idee e intenzioni a un movimento comune di pensiero che sorprenderà per i risultati ottenuti. Che si tratti di abitazione, istruzione, salute e alimentazione oppure di abbigliamento, trasporto, tempo libero e intrattenimento, i creatori ridefiniranno il capitalismo. La nuova missione della politica economica è quella di permettere che si possa cogliere e sfruttare l’opportunità di essere tutti dei creatori.