Le preoccupazioni che serpeggiano all’indomani della vendita delle Ansaldo, Breda e Sts, alla giapponese Hitachi per quasi 2 miliardi di dollari che andranno ad alleviare il peso dell’indebitamento della cedente Finmeccanica Le preoccupazioni che serpeggiano all’indomani della vendita delle Ansaldo, Breda e Sts, alla giapponese Hitachi per quasi 2 miliardi di dollari che andranno ad alleviare il peso dell’indebitamento della cedente Finmeccanica dovrebbero trasformarsi in una riflessione su quello che ci aspetta per evitare di piangere sul latte versato. Il piano delle dismissioni annunciato dal colosso finanziario e tecnologico, infatti, non parte da qui e qui non si ferma. Con il rischio che tra qualche mese o qualche anno non ci ritroveremo più niente nei campi strategici dell’aeronautica e dell’aerospazio dove pure possiamo vantare invidiabili primati. Nel mirino dell’impeto risanatore ci sono alcuni gioielli dell’industria napoletana e campana che sarebbe davvero un peccato perdere, soprattutto senza aver fatto nulla d’impegnato per evitarlo. Certo, le sole parole non bastano e qualche articolo di giornale può solo fare il solletico. Ma un’azione di sistema… Il fatto è che si teme anche per il futuro di due vecchie glorie come Alenia Aermacchi e Selex Es. La prima (la cui sede legale è già stata trasferita nel Varesotto per compiacenze politiche) vanta in regione i tre siti di Capodichino, Nola, Pomigliano; la seconda (elettronica per la Difesa) opera con i due stabilimenti di Giugliano e del Fusaro. In tutto quotano più di 5.000 dipendenti diretti e quasi il doppio d’indiretti occupati nelle decine e centinaia di piccole aziende dell’indotto che conferiscono in minimo di struttura a un tessuto imprenditoriale che va sfilacciandosi. Insomma, il problema non va assolutamente sottovalutato. Ancora di più se vogliamo aggiungere alla lista la Mbda del Fusaro (missilistica) che è nazionale al 25 per cento – gli altri partner sono inglesi e francesi – e rappresenta un vanto mondiale per capacità d’innovazione e qualità dei prodotti come dimostra un bilancio un florido attivo. Che cosa resterà domani di questo qualificato apparato industriale e delle sue benefiche ricadute in termini di lavoro e ricchezza distribuita? Siamo convinti che la strada delle dismissioni a catena sia quella giusta? Con che cosa sostituiremo le fabbriche perdute? C’è qualcuno in grado di fornire una risposta a queste domande?