di Achille Flora
Come temuto, l’effetto del generale innalzamento dei tassi d’interesse su scala internazionale, in primis dalla Fed negli USA, ha prodotto nei mercati l’aspettativa di un rialzo dei tassi anche da parte della BCE, con effetti di crescita dei rendimenti dei titoli sovrani europei. Anche se il differenziale dei tassi tra USA e UE potrebbe comportare una fuga di capitali europei verso gli USA, non è stata questa la determinante dell’aumento dei tassi dei bond europei. Deriva dalle vendite dei titoli dei paesi europei, sia tedeschi sia italiani, provocando così l’innalzamento del loro rendimento. Le differenze di sostenibilità del debito pubblico dei due Paesi, dovute al differente peso del debito in rapporto al Pil, hanno poi riacceso lo spread tra i Bund tedeschi e i BTP italiani a 10 anni, riportandolo a 200 punti base.
È l’effetto combinatorio della tempesta perfetta che si abbattuta sull’economia internazionale, dovuto alla concomitanza di diversi fattori – crescita dell’inflazione e passaggio da politiche monetarie accomodanti a restrittive – che fanno temere l’avverarsi della temuta stagflazione, come concomitanza d’inflazione e stagnazione.
Ritorna, così, al pettine il nodo del maggior limite dell’Unione europea, derivante dalle differenze tra le economie dei paesi dell’Europa mediterranea e Paesi del Nord Europa. Differenze che frenano dal percorrere una strada di unificazione sostanziale europea. Tali differenze trovano una sintesi esemplificativa proprio nella diversa entità del debito che, a sua volta, frena anche il completamento dell’unione bancaria attraverso l’adozione dell’assicurazione in solido dei depositi. L’ostacolo maggiore a tale compimento deriva dalla valutazione da attribuire alle diverse entità dei titoli sovrani nei diversi sistemi bancari, poiché la diversa entità della loro presenza nei portafogli delle banche, potrebbe differenziare i contributi che ogni Paese dovrebbe fornire al fondo comune europeo per l’assicurazione dei depositi, penalizzando i Paesi con maggiore la loro maggiore dotazione. La ratio di questo provvedimento è che, come nel caso attuale, le vendite massicce di titoli sovrani, se da un lato produce l’innalzamento dei rendimenti ne abbassa il valore attuale in termini di prezzo, determinando anche un deterioramento del patrimonio bancario.
Questo è già avvenuto nella seconda fase della crisi finanziaria del 2008, quando, a fronte della fuga di investitori esteri, da giugno 2011 al giugno 2012, che abbassarono la loro quota di titoli pubblici italiani dal 52% al 41%, le banche italiane la elevarono dal 13,2% al 20,6%, nello stesso periodo. Fu solo il “Wathever it takes” di Draghi, allora Presidente della BCE, a frenare questa deriva, inaugurando la politica monetaria espansiva della BCE, con massicci acquisti di titoli sovrani.
Dobbiamo allora chiederci, cosa succederà, quando la BCE, come annunciato, terminerà l’acquisto massiccio di titoli pubblici dei Paesi europei? La stessa BCE dichiara di voler essere prudente in questo passaggio ma, nel caso italiano, le preoccupazioni sono legittime, poiché ci si potrebbe ritrovare nell’analoga situazione del 2012, senza però la copertura degli acquisti di bond sovrani della BCE e con un meccanismo di assicurazione dei depositi molto penalizzante per i Paesi dell’Europa mediterranea.
In realtà, il problema è a monte sull’entità del debito pubblico italiano. Una problematica che non può essere affrontata indirettamente partendo dalla consistenza dei titoli sovrani nei bilanci bancari, oggi a ben 428,8 miliardi di euro. Certo, dopo il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia del 1981, non vi è nessun obbligo per le banche di acquistare i titoli emessi dal Tesoro, ma o per moral suasion condotta sul sistema bancario, o per guadagnare, prelevando liquidità a basso costo presso la BCE per poi investirla in titoli sovrani ad alto rendimento, lucrando sulle loro differenze con politiche di Carry Trade, le banche hanno comunque salvato l’economia italiana.
Quello che va affrontato è l’entità del debito dei paesi euro-mediterranei, trovando soluzioni che ne diminuiscano il peso. Diversamente il problema ritornerà attraverso altre strade, tra cui il ruolo bancario, frenando i passi avanti dell’unificazione europea.