Il fallimento della Silicon Valley Bank e i pericoli per l’Europa

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di Achille Flora

C’è un effetto finora trascurato dagli analisti finanziari delle politiche antinflattive adottate dalle maggiori banche centrali su scala internazionale, quello sui titoli di debito pubblici e privati. Infatti, l’attenzione prevalente ci è concentrata sul loro potenziale rallentamento della crescita, dovuto all’aumento del costo del danaro per le imprese, oltre a quello sui titoli sovrani dovuto all’incremento del loro rendimento con difficoltà per i Paesi più indebitati.

Quello che è stato trascurato è l’effetto che produce innalzando la remunerazione dei titoli sul loro prezzo o valore di mercato. Al crescere del rendimento si produce, infatti, anche un deprezzamento del loro valore attuale, poiché si necessita di minori importi iniziali per raggiungere, ad un tasso di rendimento maggiore, l’ammontare finanziario promesso ad un tempo definito.

La prima vittima di questo meccanismo è una banca statunitense, la Silicon Valley Bank, specializzata in credito alle start-up. La causa è nell’aumento è nei continui aumenti dei tassi determinati dalla Federal Reserve, con il doppio effetto da un lato di aumentare il debito delle imprese e, dall’altro, di svalutare il valore attuale dei titoli obbligazioni posseduti nei bilanci delle banche. Nel caso specifico della Silicon Valley Bank, le start-up sue clienti, a fronte dell’aumento del costo del loro debito hanno iniziato a richiedere la restituzione della liquidità depositata presso la banca, costringendo quest’ultima a collocare sul mercato i titoli in bilancio, anche se oramai svalutati dall’effetto del rialzo dei tassi. Come sempre, quando si attuano vendite massicce e improvvise (fire sales) il risultato non è mai felice. Una situazione che, generando il panico sui mercati, ha indotto la corsa al ritiro dei depositi presso la banca. Un meccanismo preverso che è in grado di trascinare nel fallimento anche la banca più sana del mondo, se si diffonde, anche a torto, questa percezione. Figuriamoci in questo caso.

Anche in questo caso, la Silicon Valley Bank, pur essendo al 18° posto per capitalizzazione tra le banche americane e, dopo la sospensione dei sui titoli, è entrata in fallimento passando sotto controllo della Federal Deposit Insurance. Pur non avendo un intreccio notevole con banche e istituzioni finanziarie europee, come nel caso della Lehman Brothers, gli effetti si sono ripercossi negativamente anche nei mercati e banche europee. 

Questo è solo un primo effetto negativo della rapida svolta delle politiche monetarie, da espansive a restrittive, accentuata dall’obiettivo di combattere l’inflazione.  Un effetto che, similarmente, potrebbe colpire anche i titoli sovrani europei, con lo stesso meccanismo che, aumentando i tassi di rendimento dei bond, ne svaluta il prezzo o valore attuale, con effetti negativi sui bilanci delle banche.  Ciò in una fase in cui la BCE ha in atto una svolta riduttiva sull’acquisto di bond sovrani dei paesi europei e che, probabilmente, verificherà, in caso di bisogno, un maggiore acquisto di bond da parte delle banche europee, se il mercato non ne assorbisse l’intera quantità emessa per coprire il fabbisogno pubblico.

Certo l’economia italiana è più forte oggi rispetto alla crisi del 2008 e seguenti. Le banche sono più solide, più capitalizzate e con meno crediti deteriorati, mentre le imprese sono meno indebitate. L’elevato ammontare del debito pubblico e gli effetti della crisi energetica sulle imprese rappresentano, però, due mine vaganti, che solo un’attenta gestione delle politiche monetarie da parte BCE e di quelle fiscali a livelli governativi, può salvaguardare da effetti perversi e da effetti di crisi finanziarie estere.