Alla luce di quanto sta accadendo ormai da oltre un anno e sempre in crescendo oltre cortina, non è un esercizio sterile quello di vedere cosa sia rimasto da quelle parti della dottrina di Karl Marx. Uno dei motivi che inducono a fare questo tipo di approccio a quella realtà è l’osservanza di quella regola mai scritta che vuole che, conoscendo bene l’avversario, si avranno senz’altro maggiori possibilità di poterlo affrontare validamente. Quel pensatore, quando ipotizzava che il potere dovesse essere detenuto dal popolo, certamente per esso non intendeva una pletora di oligarchi sedicenti suoi rappresentanti. Stando gli stessi in più al guinzaglio di quello tra di loro che incarna il peggio del modo di intendere un’organizzazione sociale e il suo governo declinati nel modo in cui stanno facendo ormai da tempo. Il popolo è bue fino a un certo punto e quello russo se non è già andato fuori dei ranghi, è molto vicino a farlo. Non sussistono, buon per lui, le condizioni che scatenarono la rivoluzione, guarda caso il precedente e di che tipo, dell’ottobre 1917 a Pietrogrado, oggi San Pietroburgo, città natale di Putin.
Convergenze del destino? Tutt’altro. È quasi impossibile trovare punti di contatto tra le due situazioni: quella fu una rivoluzione nel vero senso della parola, le attuali sono schermaglie criminali messe in pratica con motivazioni che ricordano di più le opere dei pupi. Quelle stesse che ancora oggi vengono rappresentate in Sicilia, tutt’ altra cosa che movimenti in qualche modo ricollegabili all’iniziativa popolare. Non per tanto il comportamento degli attuali inquilini del Cremlino deve essere considerato meno esecrabile: le azioni messe in atto, sia all’interno dei confini di quel paese che in trasferta dai suoi rappresentanti, impongono a coloro che osservano dal di fuori di affermare che quella società non è più, semmai lo sia mai stato, espressione di una realtà civile. Una sola citazione: il ministro degli esteri Medvedev, che da ancora prima che le ostilità si palesassero nella loro reale portata, ha fatto, in patria e in giro per il mondo, una propaganda oscena di quanto stava accadendo. È chiaro che il suo era, e oggi lo è ancora, solo un tentativo di lavare la faccia alla realtà inqualificabile che i suoi mandanti gli avevano imposto di comunicare al mondo. Farlo immedesimandosi nella parte come sta facendo lui, non essendo certamente un attore consumato, lo fa qualificare un cialtrone della peggior specie. Quanto ha fatto nelle ore appena trascorse all’ assemblea dell’ ONU, ha messo il sigillo ai fatti descritti innanzi. Il suo riproporre la minaccia atomica lo fa classificare un esaltato come l’intera gang di Mosca. Quella stessa che ha imposto i referendum da gioco sociale della peggior specie, attualmente in corso in Ucraina. Aggiungono inoltre disappunto nelle popolazioni del resto del mondo l’atteggiamento di due capi spirituali. Di avallo del comportamento di quei personaggi appena citati, da parte del Patriarca Kerill e il completo quanto impudente restare pretestuosamente fuori dei giochi di Francesco. Non è la prima volta nella storia che i vertici di una o più confessioni decidono di non prendere parte alle dispute o addirittura di non esitare a schierarsi con chi é palesemente guerrafondaio. Meglio non commentare le ultime frasi a caldo, sarà la storia a conservare per sempre questi episodi perché le generazioni che seguiranno possano avere contezza dell’accaduto. Intanto in qualche modo le attività quotidiane, a fatica, continuano a essere svolte. Per il Paese, al momento, l’ argomento che attira, o almeno dovrebbe farlo, l’attenzione nazionale e internazionale, è l’imminente tornata elettorale. Essa è fortemente influenzata da quelle vicende così lontane fisicamente eppure così vicine nelle argomentazioni dei politici. La confusione che si è ingenerata è arrivata a livelli più che preoccupanti. Oltre a tentare di mantenere la calma e andare comunque a votare, agli italiani resta ben poco da fare. La situazione è diventata raccapricciante e soluzioni a breve non se ne intravedono. Ancora una volta, non fosse altro che per non avere scrupoli, è opportuno fare voti allo Stellone. Non possa mai servire.