Il console Famiglietti celebra la figura di Vinicio all’Istituto di Cultura Meridionale

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In foto Gennaro Famiglietti, presidente dell'Istituto di Cultura Meridionale e console della Bulgaria a Napoli

Luis De Menezes Vinicio, “O’ Lione”, anima brasiliana e cuore napoletano, venerdì 29 novembre (ore 18) ha ricevuto  il “Premio Cultura Meridionale” con la seguente motivazione: “Un brasiliano napoletano – Massimo esponente della cultura e lealtà sportiva, grandissimo campione, grande uomo”.
La cerimonia della consegna si è svolta  presso la sede dell’Istituto di Cultura Meridionale, in via Chiatamone 63 – Palazzo Arlotta – nell’ambito di un convegno organizzato dal presidente dell’Istituto, avv. Gennaro Famiglietti, console onorario della Bulgaria, in collaborazione con Mario De Menezes, primo figlio di Vinicio, avvocato anche lui e console onorario del Brasile.
Famiglietti ha con voce seria e orgogliosa introdotto l’argomento per raccontare la storia di questo personaggio legatissimo a Napoli non solo per la carriera sportiva. Interverranno sportivi, giornalisti, rappresentanti delle istituzioni, della cultura, dello spettacolo e della diplomazia. Annunciata fra gli altri la presenza dell’ing. Corrado Ferlaino, degli ex-calciatori Gianni Improta, Peppe Bruscolotti, Enzo Montefusco, Sandro Abbondanza ed altri.
inicio è nato a Belo Horizonte il 28 febbraio 1932, ma a Napoli, città dalla immensa passione calcistica, ha trascorso ormai più anni che non in Brasile e qui ha scelto di vivere, in via Manzoni, con vista sullo stadio San Paolo, teatro delle sue imprese, prima da calciatore e poi da allenatore.
“Quando gioca il Napoli – spiega – io m’accorgo subito se segna, perché mi arriva l’urlo di gioia dei tifosi”.
Ma in questa città Luis Vinicio non è semplicemente un ex-calciatore e un ex- allenatore. Ormai è un simbolo, una bandiera, un profeta del gol e del bel calcio, ed anche l’espressione dei valori e della cultura meridionale che lui ha sempre difeso con la passione e la determinazione che gli sono valsi l’appellativo di “O’ lione”. Non è un caso, dunque che sia proprio l’Istituto di Cultura Meridionale a dargli questo riconoscimento, perché è la sua carriera, la storia di quest’uomo a legittimarne ampiamente il significato. Vinicio giunse a Napoli nell’ormai lontano 1955. Aveva 23 anni e nessuno lo conosceva perché quelli erano tempi in cui i calciatori arrivavano in Italia dal Sudamerica a vagonate, non c’erano televisione ed internet e – fino a verifica diretta – non si sapeva se era arrivato un campione o un bidone.
Vinicio, questo sconosciuto, era approdato a Napoli, proveniente dal Botafogo, come scambio di favori fra Achille Lauro, allora presidente del club azzurro, e Mario Vaselli, costruttore e presidente della Lazio, che ebbe in contropartita l’assegnazione dei lavori di rifacimento di piazza Municipio. Debutto in azzurro direttamente in campionato, stadio del Vomero, 18 settembre, Napoli-Torino. Fischio d’inizio e palla al centro. Vinicio tocca ad Amadei che passa indietro a Castelli, il mediano lancia in avanti, Vinicio parte a razzo ed è sulla palla, travolge Grosso e Bearzot e, dal limite dell’area, fionda un missile sotto la traversa del portiere Rigamonti.
Gol in soli 40 secondi dall’inizio della partita. Lo stadio esplose di felicità. Fu amore a prima vista con il pubblico napoletano, un colpo di fulmine. E non bastò al Napoli il secondo gol, ancora suo, per vincere quella partita che finì 2-2.
Vinicio, al primo anno, segnò 16 gol. In allenamento piegava le mani a Bugatti, il portiere titolare. In campionato, servito a dovere dalle ali Vitali e Brugola, col sostegno di Pesaola diventato mezz’ala, segnò 18 gol nel secondo anno. Divenne l’indiscusso idolo del Vomero.
Realizzò tre doppiette e firmò con quattro reti tutte sue l’intera vittoria sul Palermo (4-1). La stagione ’56-’57 si concluse con un evento memorabile, il matrimonio di Vinicio nella basilica di San Francesco in Piazza Plebiscito, gremita di tifosi, Lauro compare d’anello dello sposo. Lei era un vecchio amore di Vinicio, Flora Aida Piccaglia, con nonni emiliani di Zocca. S’erano conosciuti in Brasile. Vinicio scese in tight da una Cadillac, Flora aveva tredici metri di velo. Su un cartello issato in piazza c’era scritto: “Sposi a Napoli, felici per sempre”. E venne il campionato-mitraglia ’57-’58. Arrivò Di Giacomo, ma fu Vinicio il trascinatore dell’attacco, il secondo migliore attacco del torneo, quarto posto in classifica, 21 reti di Luis. Le due ultime stagioni azzurre di Vinicio (7 gol a campionato) furono contraddistinte dal declino della squadra. Fallì un nuovo tandem, quello tutto brasiliano di Vinicio e Del Vecchio.
Amadei insisteva con Lauro perché cedesse Vinicio. “Non sta bene” diceva l’allenatore al Comandante. Corse la voce che il brasiliano fosse affetto da un numero insufficiente di globuli rossi. In realtà, era in atto la “guerra” di Amadeicontro Vinicio e il suo amico Pesaola. I tifosi, di fronte all’ipotesi di cessione del brasiliano, issarono allo stadio un significativo striscione: “Vendetevi l’anima, ma non Vinicio”. Ma ormai lo spogliatoio azzurro era un covo di malumori e di clan. Col disastro delle quattro giornate iniziali (zero punti) del neo allenatore Frossi e col ritorno di Amadei sulla panchina azzurra, continuò la “guerra” a Vinicio nel campionato ’59-’60. L’ultimo squillo del brasiliano fu il gol della vittoria (2-1) contro la Juventus nella domenica in cui fu inaugurato il “San Paolo”, 6 dicembre 1959, 80mila spettatori, 70 milioni di incasso. A fine stagione, Vinicio fu ceduto al Bologna in una scandalosa trattativa: il Napoli ebbe dal club felsineo Pivatelli e Mihalic e saldò il conto versando 122 milioni. Quel Napoli precipitò in serie B. Vinicio giocò ancora otto anni, nel Bologna, nel Vicenza (realizzando 13 rigori di fila), di passaggio un anno all’Inter boicottato da Herrera, e concluse la carriera con un bottino di 155 reti, a un solo gol da Riva tra i cannonieri del campionato italiano. Da “ex” giocò sette volte contro il Napoli e vinse una sola volta (col Vicenza 2-0 segnando un gol). Due volte Vinicio sostenne il confronto con Altafini, nuovo centravanti brasiliano del Napoli. Josè aveva 29 anni e Luis 35. Altafini vinse di misura il match. A Napoli 1-1 col Vicenza, segnarono entrambi. A Vicenza vittoria azzurra per 1-0 siglata da Altafini. In cinque campionati col Napoli, Vinicio giocò 152 partite segnando 69 gol. È al sesto posto tra i cannonieri del Napoli di sempre.
Poi il ritorno da allenatore. Prima il debutto in panchina con l’Internapoli, in serie C, sfiorando la promozione in B. Poi al Brindisi (promozione in B), Ternana e quindi al Napoli, nell’estate del 1973, quando Ferlaino lo strappò al Palermo col quale Luis aveva già firmato un pre-contratto. Tre stagioni consecutive in azzurro, gioco spumeggiante, calcio all’olandese, scudetto sfumato nella celebre partita di Torino contro la Juve che castigò il Napoli con il famigerato gol dell’ex Altafini, ribattezzato per l’occasione “Core ‘ngrato”.Il ritorno nel ’79 per altre due stagioni per un totale di cinque stagioni in panchina, 186 presenze di cui 144 in campionato, 30 in Coppa Italia e 12 nelle Coppe Europee.
Nella sua carriera da allenatore guidò anche Lazio, Avellino (storica la salvezza degli irpini l’anno del terremoto!), Udinese e Pisa. E poi la scelta di restare a vivere a Napoli, in quella casa di via Manzoni, vista sul San Paolo, dove gli arriva l’eco di tutti i gol degli azzurri.