Il Consiglio di Stato si pronuncia sul correttivo del Codice degli Appalti: dubbi sull’impegno al rilascio della cauzione definitiva

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Il parere del Consiglio di Stato, richiesto dal M.I.T. lo scorso 7 marzo sul decreto correttivo del Codice degli Appalti, è arrivato corposo e puntuale come sempre. Si tratta del diciottesimo parere rilasciato dal C.d.S. in meno di un anno. In esame della suprema corte di Giustizia Amministrativa è lo schema di correttivo del Codice, che modifica 119 dei 220 articoli. Ma anche il complesso generale delle attività che andranno a porsi in campo.

Infatti nel sottolineare che sono stati adottati solo 15 degli atti attuativi previsti dal D. Lgs 50/2016 (di cui 4 non espressamente previsti) rispetto ai 53 provvedimenti contemplati nella stesura originale, il Consiglio ha delimitato il perimetro della attività che possono essere poste in atto per il correttivo. In primo luogo “l’esaurimento della delega” che impone uno stop alla possibilità di emettere i provvedimenti mancanti. Ma soprattutto la direttiva secondo la quale il potere correttivo non può stravolgere l’impianto esistente, determinandosi in un vera è propria riforma, anche se rispettosa della delega originaria.

La fase correttiva, oltre a prendere in esame ed intervenire per l’eliminazione degli errori materiali, formali e sostanziali e provvedere ad un migliore coordinamento con le fonti esterne, ha obiettivo di porre rimedio soprattutto alla corretta applicazione dei nuovi istituti. Infatti basta una semplice scorsa della scheda VIR (verifica di impatto della regolazione), a tratti piuttosto lacunosa, per comprendere che questa ultima attività non potrà avere vasta efficacia per via della carente adozione dei provvedimenti attuativi che di fatto non hanno consentito una completa applicazione del codice e di conseguenza individuarne le criticità.

A questo si aggiunga che, secondo il parere del Consiglio, il periodo di osservazione dovrebbe essere di almeno due anni per avere un congruo lasso temporale di valutazione. Questa scelta permetterebbe anche di avere una maggiore stabilità delle regole che devono essere “chiare e certe”.

Nel dettaglio, per la parte approfondita, il Consiglio ha segnalato la necessità di un maggiore coordinamento soprattutto un maggior rigore nei controlli per gli affidamenti alle Società in House, per i contratti sotto soglia e per gli appalti nei servizi sociali e quelli della protezione civile. Regole qualificanti, rispetto della normativa antimafia e soprattutto utilizzo dello strumento di urgenza, da attivarsi solo in caso di declaratoria degli organi preposti, devono costituire la giusta linea da seguire ed applicare.

Secondo le indicazioni del parere è fondamentale valorizzare le professionalità interne alle pubbliche amministrazioni, ipotizzando anche l’introduzione dell’obbligo, per i progettisti dipendenti pubblici, di iscrizione all’Ordine professionale.

Opportunamente si parla anche di qualificazioni, sia di stazioni appaltanti che di operatori economici. Secondo il parere rilasciato i casi inerenti le stazioni appaltanti – qualificate ex lege – sono tassativi e non vanno ampliati. Mentre lo stesso emanato ritiene che quella degli operatori debba essere affidata ad un vero e proprio regolamento e non a delle semplici linee guida (già in passato classificate dallo stesso C.d.S. come atti regolamentari e non fonti). Anche se l’attuale sistema del rating d’impresa dovrebbe essere meglio coordinato con quello di legalità.

Drastico è il passaggio nel quale si indica che la scelta di utilizzare un albo regionale dei commissari esterni di gara confligge con l’esigenza di evitare radicalizzazioni con il territorio, sul fronte della prevenzione della corruzione. Ma si lascia anche libere le stazioni appaltanti di evitare il ricorso alla commissione esterna quando viene utilizzato il criterio del massimo ribasso.

Si ritiene di sottolineare in modo importante il passaggio sugli appalti misti di progettazione ed esecuzione che, a parere del Consiglio, non solo risponderebbe al nuovo indirizzo codicistico ma rileverebbe anche uno sforamento della delega. Infatti l’orientamento privilegia i criteri qualitativi piuttosto che il ribasso di prezzo. Consentire – nei casi di urgenza – l’appalto integrato con il massimo ribasso potrebbe essere in contrasto con gli obiettivi della riforma che peraltro tende a vietare le varianti (netti e chiari sono i casi ammessi) e a privilegiare la qualità delle prestazioni.

Il parere riconosce che il sorteggio – quale criterio di determinazione della soglia di anomalia – è utile a fugare il rischio di collusioni nelle gare aggiudicate al prezzo più basso. Ma allo stesso tempo non trova spazio nelle procedure con il criterio dell’offerta più vantaggiosa, dove l’eccessiva discrezionalità potrebbe non essere controllabile. Anzi in tali casi non va assolutamente elevata la soglia per l’individuazione delle offerte anomale.
Sull’argomento del subappalto il parere è molto netto, sia sulla necessità di non rimuovere i limiti attuali sia indicando in modo netto i casi in cui è vietato il subappalto. In special modo a chi ha concorso per lo stesso lavoro, ma anche adottando l’obbligo in codice della terna obbligatoria che, allo stato, parrebbe facoltà delle stazioni appaltanti.

Veniamo adesso al punto che più ci appassiona, vale a dire le fidejussioni. Per le garanzie provvisorie, contemplate all’articolo 93 comma 8, è stato previsto l’esonero dell’obbligo di corredare l’impegno al rilascio della garanzia definitiva (di cui agli articoli 103 e 104 dello stesso codice), qualora il concorrente risultasse affidatario, per “le microimprese, piccole e medie imprese e ai raggruppamenti temporanei o consorzi ordinari costituiti esclusivamente da microimprese, piccole e medie imprese”. Questo passaggio, unito alla conferma che i soggetti in parola non sono liberati dall’obbligo di contrarre la garanzia definitiva in caso di aggiudicazione – precisazione che il Consiglio peraltro auspica – crea una vistosa asimmetria contrattuale tra i concorrenti e i soggetti fidejubenti. Infatti non sussistendo l’impegno a contrarre la garanzia definitiva, i concorrenti interessati a tale comma si troverebbero in una posizione molto debole nella gestione di una eventuale trattativa.

Per la garanzia definitiva trova spazio solo la richiesta di precisare che il richiamo operato dall’art. 104 – al comma 7 – alla sola “garanzia per la risoluzione”, e non anche alla “garanzia di buon adempimento”, appare piuttosto limitativo e bisognoso di integrazione.

Il parere si chiude con un richiamo alla massima trasparenza ed accessibilità agli atti, per garantire innanzitutto una efficace tutela giudiziaria e un maggiore monitoraggio del rito accelerato riservato agli appalti, prima di poter emettere dei pareri. E infine una maggiore chiarezza sulle abrogazioni, lasciando da parte quelle implicite, che non permettono una completa e rapida leggibilità dei dettami.