Il caso Evergrande e i guai della Cina

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in foto Xi Jinping

Leonardo Sciascia, in tempi non sospetti, confermò di essere più avanti di tanti oracoli dei suoi tempi, molti del tipo usa e getta. Nel corso di una tempesta mediatica agostana, nel suo genere niente di meno in quanto a potenza devastante di quelle naturali che continuano a verificarsj in questi ultimi mesi, in una ridda di notizie contrastanti, la popolazione del mondo ha avuto conferma che la aspirante leader mondiale, la Cina, è invece alla frutta o quasi e su tanto…non ci piove. Non che la notizia sia venuta fuori come… un fulmine a ciel sereno, perché il suo “commoglio” è in preparazione da lungo tempo. Con tale termine in Campania è definito il tentativo di nascondere qualcosa di particolarmente riprovevole, soprattutto agli occhi dell’ opinione pubblica. Esso era stato iniziato a essere imbastito circa tre anni orsono. Dove? A Pechino, tanto per indicare il focus, in tutto il mondo per dirla senza riserve di sorta. Si tratta dello scoppio della parte finale della batteria di fuochi d’artificio, va da sè Made un China, rispondente alla denominazione Evergrande. Essa richiama onomatopeicamente l’esatto opposto di cosa veramente sia, rectius sia stata, quell’idrovora sgangherata di capitali di ogni genere e provenienza. Senza tralasciare che, a ragione, per un periodo non breve, a livello internazionale è stata ritenuta una delle più importanti aziende immobiliari del paese dove ha sede e anche fuori del Celeste Impero. Quel mostro, nel senso di monstrum, denominazione usata tanti secoli fa, durante la settimana di ferragosto, ha dovuto gettare alle ortiche pari pari il velo più che pietoso, anzi irritante, che copriva da tempo la sua debacle da tempo in caduta libera. E che picchiata! Può aiutare a capire la ratio della vicenda un rapido excursus per mettere a fuoco delle modalità di fare impresa proprie dell’Asia. Un’ azienda quale essa sia, che persegua contemporaneamente oggetti sociali completamente diversi, a quelle latitudini è ancora oggi una regola e non un’ eccezione. Non ne faccia oggetto di meraviglia chi osserva dall’ Occidente, perché fino alla metà degli anni ’50 negli USA la GE produceva tanto turbine per motori di aereoplano quanto lavabiancheria familiari, la FIAT anche trattori, e ancora passi, un pò meno per i frigoriferi, mentrei la Renault anche cucine economiche, si, proprio quelle a carbone. Nello stesso periodo, nel villaggio, al mercato settimanale, l’ambulante fortorino Don Armando, sulla stessa bancarella vendeva baccalà e torrone, per giunta servendo i clienti con lo stesso paio di utensili. Ma non c’è dubbio che tutto quanto appena riportato debba essere analizzato tenendo l’ attenzione ben mirata allo spirito del tempo. Quando l’Italia, neonata repubblica che stava ricominciando a produrre dopo il rallentamento bellico, aveva un enorme voglia di fare e a essa ancora non faceva da contraltare una buona dose di progetti sistematici. Questa volta no, quanto sta accadendo alla Evergrande prende spunto da eresie economiche funzionali in un determinato ordinamento sociopolitico, dove chi di competenza o quanti si presumono tali, continuano a fingere di non capire la premessa che sta alla base di quel disastro. Nello specifico, che le manovre monetarie, se e quando dovessero riuscire nell’ intento per cui sono predisposte, il massimo che possono apportare al sistema economico dove vengono realizzate e a quelli in relazione con lo stesso, cioè- al più -trasferimento di denaro, mai agevoleranno la creazione di ricchezza nuova quindi aggiuntiva, quella che proviene dalla produzione di beni e servizi. Si sa che non c’è peggior sordo al mondo di chi non vuol sentire e è così che l’ umanità intera a stretto giro si troverà in casa un uragano al cui confronto quello della Lehman Brothers sembrerà essere stato uno scherzo tra seminaristi, meglio ancora di Aspiranti dell’Azione Cattolica, riuniti all’Oratorio la domenica pomeriggio. Si dedicheranno questi ultimi all’ apertura di quelle scatole cinesi, forti dell’esperienza accumulata in piena pandemia con il contatto da vicin, fin troppo, con le Matrioske russe. Entra in campo a tal punto un filmato in bianco e nero di una intervista telelevisiva fatta all’ Insegnante, era l’unico titolo che consentiva fosse fatto precedere al suo nome, Leonardo Sciascia. Erano i primi anni ’80 e quell’ intervista fu realizzata dal secondo canale della rete della TV di Stato, precisamente dal secondo programma, sezione cultura. Tra le tante altre cose fu chiesto a quel Maestro- il termine, nell’ uso comune, e paritetico a quello di insegnante- in quale considerazione egli tenesse la cultura popolare. Rispose argomentando che in passato, quando sembrava che il mondo girasse meno caoticamente, l’ empiria potesse esprimere, in concreto e con regolarità la sua validità. Fece un solo esempio. D’ inverno nevica e tutto resta sotto il manto bianco, come se fosse sparito. Ai primi raggi di sole, inesorabilmente quella coltre scompare, riportando alla normale visibilità tutto quanto fosse da essa escliso alla vista. Quindi inutile nascondere una situazione oramai sull’ orlo del baratro economico, quale è quella cinese, peraltro senza uno scopo ben identificabile. La stessa dovrebbe servire almeno come spunto di riflessione per gli improbabili guitti da teatro parrocchiale i quali, inesorabilmente quanto incoscientemente, sostengono che la verità rivelata sia contenuta in costruzioni sociopolitiche già scartate al tempo dei faraoni. Uno spiraglio di luce arriva con la notizia che tre paesi, importanti espressioni della Democrazia, gli USA, il Giappone e la Corea del Sud, a Camp David hanno deciso di dar vita a un sistema relazionale a mezza strada tra il triumvirato e il menage a trois. Da XI Jimping per ora è meglio prendere le distanze, perchè la materia al momento è oltremodo magmatica. Apprendendo la notizia al telegiornale della sera, all’ interno del Dopolavoro, un anziano e più che diafano agricoltore, che la maggior parte degli abitanti del villaggio ritiene essere una delle creature fantastiche che popolano i boschi di notte, imboccando la via del ritorno a casa, ha fatto un commento pacato quanto preoccupato. Ĥa affermato che nemmeno il gatto muove la coda e fa le fusa, se prima non ha ricevuto una buona dose di carezze e grattini in testa. Do ut des è una antica e buona pratica che non ha smesso mai di essere valida nel corso dei secoli, anzi ! Perché quindi volerla mandare in soffitta proprio ora ?