Il Caso Antigone al Consolato bulgaro di Napoli

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In foto Gennaro Famiglietti, console della Bulgaria a Napoli

“Nessuna legge umana poteva, secondo Antigone, contrariare certi principi: nessuno poteva impedire la sepoltura di un corpo, nemmeno se apparteneva ad un traditore, soprattutto nessuno poteva vietare ad una sorella di seppellire il proprio fratello”: Nell’ambito delle attività del Corpo internazionale di Soccorso Costantiniano Onlus, il 21 Novembre 2019 alle ore 17,30 presso l’Istituto di Cultura Meridionale di Napoli in  via Chiatamone 63 (Palazzo Arlotta), Emanuela Sica insieme ai professori Luigi Anzalone e Giuseppe Cantillo e al penalista  Massimo Crogh, hanno discusso della “eterna lotta fra ciò che è giusto e ciò che è legale” nell’ambito della presentazione del libro “Il caso Antigone”, scritto da Emanuela Sica e da Anzalone. L’incontro-dibattito è stato condotto dall’avvocato Gennaro Famiglietti , Direttore dell’Istituto Di Cultura Meridionale di Napoli e Console Onorario di Bulgaria, insieme al Marchese Pierluigi Sanfelice di Bagnoli. Erano previsti gli interventi del Prof. Luigi Anzalone , dell’Autore  , Avv. Emanuela Sica Autrice; dell’Avv. Massimo Krogh Avvocato Penalista, e del Prof. Giuseppe Cantillo , Emerito di Filosofia Morale dell’Università Federico II Napoli. L’evento godeva del patrocinio morale del Comune di Matera e Plovdiv, Capitali Europee della Cultura.

Mai come adesso i temi principali della cronaca riportano alla ribalta la figura di Antigone, paragonando la capitana della nave Sea Watch, Carola Rackete, alla nota figura mitologica. Il riacceso interesse verso Antigone dimostrerebbe quindi che i miti greci non sono morti, non sono favole, ma anzi sono ben presenti nella nostra coscienza, si annidano in essa come archetipi sempiterni, strutturano la nostra mente senza che noi ce ne accorgiamo. La conoscenza dei miti, soprattutto di quelli greci, eleva l’essere umano ad una superiore consapevolezza, produce civiltà e rende tutti migliori, anche perché nella differenziazione letteraria dell’opera umana rispetto al presente, presenta una entità che non è attore principale della propria viltà ma spesso vittima di ire funeste e disegni scuri dei più. Quando si parla del mito di Antigone si ricorda la storia di una ragazza che da sola ebbe il coraggio di contrastare leggi dello Stato da lei ritenute ingiuste. Non a torto, Antigone è da sempre considerata il simbolo della lotta contro il potere, della ribellione romantica e solitaria contro il dominio ingiusto di un tiranno senza limiti.

Almeno una volta nella vita , chi non ha sognato di essere Antigone, e di contrastare quelle regole, scritte o non scritte, ritenute inique o vessatorie? Non sempre, però, abbiamo avuto il coraggio di farlo, ma c’è un’Antigone in ognuno di noi, anche se non sempre si esterna. Ripercorriamo quindi la vicenda di Antigone, una delle eroine più significative e decantate dell’antica Grecia. La vicenda del libro, si sviluppa come conseguenza dell’assedio di Tebe, la città su cui aveva regnato il padre Edipo. Morto Edipo, nacquero delle contese per la successione al trono: quale dei due fratelli figli del re, che si chiamavano Eteocle e Polinice, avrebbe dovuto succedere nel regno della città? Secondo diversi racconti, il trono spettava di diritto ad Eteocle, il quale divenne quindi re di Tebe.

Polinice non accettò di buon grado questa decisione e così si rifugiò ad Argo, la città storicamente rivale di Tebe. Dopo diverse peripezie sposò la figlia del re e si fece promettere, come regalo di nozze, la riconquista della città di Tebe. Tebe aveva sette porte e così furono scelti sette valorosi condottieri per conquistarla. Nonostante gli sforzi dei valorosi eroi di Argo Tebe riuscì a sopravvivere; i due fratelli rivali, Eteocle e Polinice, si uccisero a vicenda davanti alla settima porta, così come aveva augurato loro il padre Edipo che, prima di morire, li aveva maledetti perché ciascuno di loro tentava di farsi nominare come legittimo successore.

Dopo la morte di Eteocle a Tebe prese il potere un altro re di nome Creonte. Per vendicare l’affronto fatto alla città da parte di Polinice Creonte emanò un editto secondo il quale il corpo del traditore avrebbe dovuto rimanere insepolto, sotto il sole cocente, ed essere sbranato dalle bestie. La violazione dell’editto era punita addirittura con la morte. Oltre ad essere un oltraggio, la mancata sepoltura significava per il mondo greco l’impossibilità di accedere al mondo dei morti, quindi di mettere in pace la propria anima.

È a questo punto che entra in scena Antigone, una delle figlie di Edipo, nonché sorella di Polinice. Antigone, violando le prescrizioni contenute nell’editto, diede una parziale sepoltura al cadavere. Parziale perché lo ricopri di terra senza sotterrarlo del tutto ma tanto bastava perché le norme si ritenessero violate. Non poteva sopportare che il proprio fratello non ricevesse una degna sepoltura, che il suo corpo rimanesse per terra, arroventato dal sole e sbranato a pezzi da uccelli e cani.

La notizia della sepoltura del corpo giunse al re e, per capire chi fosse il responsabile, il cadavere fu nuovamente messo allo scoperto; le guardie di Creonte si appostarono nelle vicinanze e con sorpresa colsero Antigone sul fatto, mentre stava ricoprendo un’altra volta il cadavere con terra ed acqua. Nessuno si aspettava che fosse proprio lei, una donna giovane, la responsabile del misfatto.  La ragazza fu così portata davanti al cospetto del re che era suo zio. Interrogata, rispose ammettendo senza esitazioni la propria colpevolezza. Tuttavia confessò di averlo fatto perché l’editto del re, che vietava la sepoltura del fratello, a suo giudizio andava contro a quei principi espressi da leggi non scritte ma naturali che accompagnano l’uomo da sempre.

Nessuna legge umana poteva, secondo Antigone, contrariare questi principi, nemmeno un editto dell’ente massimo, ossia del re. Nessuno quindi poteva impedire la sepoltura di un corpo, nemmeno se apparteneva ad un traditore; e soprattutto nessuno poteva vietare ad una sorella di seppellire il proprio fratello: “Non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore” è la frase storica di Antigone che tutti ricorderanno. Dopo queste parole Antigone fu imprigionata e lasciata morire in carcere. Per lei infatti, non fu applicata la pena di morte perché nessuno ebbe il coraggio di ucciderla. Presto diventò il simbolo della ribellione contro le leggi ingiuste, che non rispettano principi civili e non scritti che sono presenti da sempre, da quando l’essere umano è comparso sulla terra.

Oggi la questione diventa anche diatriba tra ciò che è legale e ciò che è giusto, perché non sempre la legalità corrisponde dal suo punto di vista applicativo la necessità dell’uomo ad essere scevro dalle catene della vita e del pregiudizio, e non ultimo dalla cattiveria umana stessa, che si può nascondere anche dietro una cattiva applicazione della legge.