Il Bello e il Sacro: a Napoli tornano gli dei e i devoti del Santuario di San Casciano

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di Fiorella Franchini

“L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo fatto dall’uomo per costruire un mondo che abbia un senso” affermava Mircea Eliade, storico delle religioni, ed è questa percezione che si ritrova nell’esposizione “Gli dei ritornano. I Bronzi di San Casciano” ospitata nelle sale nuove del Mann fino al 30 giugno.

In mostra statue e offerte votive ritrovate nell’estate 2022 e nel 2023 tra il fango del santuario termale etrusco e romano del Bagno Grande di San Casciano, in provincia di Siena, e parzialmente destinate alla visione del pubblico, dopo una prima catalogazione e un attento restauro. Gli scavi intrapresi dal 2019 e promossi dall’Amministrazione comunale hanno portato alla luce, proprio presso una delle sorgenti disseminate nel territorio, un edificio quadrangolare con al centro una grande vasca allungata in travertino, e architetture monumentali, portici, colonne, altari, strutture romane innestate su quelle etrusche, frequentate almeno fino al Quinto secolo d.C. 

“Nullus enim fons non sacer…Non esiste fonte che non sia sacra”. Nella religiosità antica, il concetto di sacralità è strettamente connesso con l’ambiente naturale. Grotte, boschi, corsi d’acqua, fonti permettono l’incontro tra l’uomo e la divinità, sono la loro sede e anche uno strumento attraverso il quale esercitare il loro potere benefico. L’ acqua è da sempre nella storia umana uno degli elementi più sacri e le ricerche archeologiche forniscono dati che ne evidenziano l’importanza nei culti e nelle cerimonie antiche. Pozzi, santuari, vasche, piscine e bacini lustrali erano luoghi di culto e “casa di cura” gestiti da sacerdoti-taumaturgi che, attraverso elaborati rituali, garantivano ai malati l’intercessione divina. Il devoto ricorreva al dio quale estrema via di fuga dal dolore, affrontando veri “viaggi della speranza” coronati in molti casi da successo e lasciavano doni. 

Le dediche ritrovate a San Casciano sono rivolte alle ninfe, a Igea, Apollo, a Iside e Fortuna; le offerte sono costituite da placche poliviscerali, lamine dedicatorie, riproduzioni di offerenti e di infanti, monete. Affascina la statua in bronzo, datata alla metà del II secolo a.C., che rappresenta una figura femminile con le mani aperte per la preghiera. La donna indossa un chitone e un mantello; il suo viso è incorniciato da una chioma raffinatamente pettinata e lunghe ed eleganti trecce avvolte cadono sul petto, La scultura era deposta a testa in giù, come a voler rivolgere la sua preghiera verso il cuore della sorgente termale.  Commovente è il bronzo maschile di un giovane malato, rappresentato nudo e in posizione orante: sulla gamba sinistra reca un’iscrizione latina che ricorda come L. Marcio Grabillo offrì a Fons un donario composto, oltre che da questa statua, da altri sei simulacri in bronzo e da sei arti inferiori. Splendida è la statua di Apollo in atto di scagliare una freccia, risalente al 100 a.C., dio della musica e delle arti mediche, dispensatore di bellezza e di guarigioni. 

La base di un donario in travertino, presenta un’iscrizione ‘bilingue’. La metà destra è redatta in etrusco, con lettura da destra a sinistra, mentre la metà sinistra è in latino, con una lettura da sinistra a destra, che si può tradurre (Io sono il) Nume della Fonte – (Io sono il) Fonte Caldo. A parlare è la divinità stessa, che dobbiamo immaginare rappresentata al di sopra della base. Una testimonianza di coesistenza pacifica di comunità e riti appartenenti a culture diverse che gettano nuova luce sul sincretismo religioso e culturale alle origini della nostra civiltà. 

Ad un antico rituale etrusco ci riporta il ritrovamento di fulmine in bronzo, deposto insieme a una freccia in selce all’interno di uno strato di tegole e coppi. Evoca il rito del fulgur conditum, secondo il quale tutto ciò che all’interno di un tempio o di un santuario veniva colpito da un fulmine doveva essere sepolto con il fulmine stesso. Tutto è finito nell’antica vasca e uno strato di terraglia l’ha sigillato e preservato per riportare a noi quel sentimento di affidamento e di richiesta che caratterizza il rapporto tra l’uomo e quel qualcosa di più grande di sé, che è il fondamento originario, primordiale, sorgivo, del sacro, e quindi della dimensione religiosa

Di fronte a queste opere di grande bellezza oltre alla meraviglia estetica, emerge il mistero dell’umano, affiorano le fragilità, i dolori, le speranze dei nostri avi, le stesse dei nostri cuori, dei nostri giorni, dei nostri santuari. Un incontro che ci riconnette a una spiritualità originaria che neppure la razionalità più radicale può davvero estirpare dalla coscienza individuale e collettiva. Gli dei tornano perché “gli uomini che pensano in profondità sanno, e prima ancora sentono, di essere immersi nel mistero: è proprio l’esercizio rigoroso della ragione a condurli a ciò”.

I ritrovamenti di San Casciano non sono soltanto una grande scoperta archeologica: il santuario è, infatti, una struttura davvero enorme e complessa, dove stanno scavando diverse équipe, università italiane, irlandesi, cipriote, olandesi, e rappresenta un significativo programma multidisciplinare che vede l’impiego di professionalità eterogenee, archeologi, storici, geologi, paesaggisti, fisici, restauratori. Tuttavia, costituisce anche un innovativo progetto di valorizzazione del patrimonio culturale e del territorio perché prevede l’intervento di istituzioni pubbliche e private, nazionali e locali, una sinergia importante e mai scontata in una selva di interessi particolari e dispersivi. La nuova campagna di scavo riprenderà in primavera ed è già in fase di realizzazione con il patrocinio del Ministero della Cultura, il museo che ospiterà tutti i reperti e le ricerche, nel palazzo dell’Arcipretura di San Casciano dei Bagni e la costituzione di un Parco Archeologico-Termale nei luoghi in cui Apollo e il suo omologo etrusco Suri e tutto il pantheon di divinità miracolose sono tornati a rivelarsi al nostro moderno sentire, in una fusione di incanto e di emozioni.
In fondo, ci rammenta il teologo Ermes Ronchi, “non ci interessa un sacro che non sia fioritura d’umano, che non accada al centro della vita”.