Professore a contratto in Management Case Histories presso L’Università di Catanzaro, Lucio Iaccarino è il Direttore Scientifico del Programma di ricerca “Campagna digitale” in Hubitat Srl. Si occupa di Brand Management e di Progetti speciali. E’ autore di diversi libri, tra i quali “Napoli Brand. Il valore aggiunto del territorio per l’identità aziendale” (2013), “Principi di marketing delle professioni. Strumenti, modelli e strategie” (2017), “Formo al Sud. Etnografia di una azienda meridionale” (2018). Esperto di marketing e comunicazione, opera in diverse aziende come temporary manager e consulente strategico.
Professor Iaccarino da dove nasce il bisogno di studiare il mondo agricolo?
Nasce dalla necessità e dall’opportunità di comprendere con maggiore profondità un settore in cui la società di comunicazione integrata Hubitat lavora da tempo, seguendo dal digitale al cartaceo diverse aziende. E per comunicare al meglio occorre studiare o almeno, questo è il terreno fertile che ho incontrato a Battipaglia, dove sta nascendo un vero e proprio osservatorio sul mondo agricolo. ll programma di ricerca ha poi beneficiato del protocollo di Intesa tra Hubitat Srl di Battipaglia e Città della Scienza, firmato lo scorso febbraio, oltre alla presenza di altri partner prestigiosi dell’innovazione digitale, come Innovation Village e Ecommerce Hub. E quindi di una vera e propria campagna si tratta, non soltanto perché esplora il mondo dei campi ma anche perché mira a sollevare problemi, a identificare soluzioni e a divulgare i risultati di ricerca tra i diversi operatori.
Quali sono le evidenze scientifiche che stanno emergendo?
Siamo partiti dall’ipotesi che il mondo agricolo abbia una serie di peculiarità che lo allontanano, non di poco dagli altri settori economici ma anche dall’ambito più generale dell’innovazione. Comprendere le forme di resistenza che frenano lo sviluppo del digitale in questo settore è un nodo cruciale da sciogliere. Alcune dimensioni agricole sono fondamentali per comprendere la sua unicità, in particolare il rapporto degli operatori con la natura e con il tempo. Si tratta di dimensioni culturali che ci aiuteranno a inquadrare i dati che stiamo raccogliendo.
Cosa intende per rapporto con la natura e con il tempo?
In primo luogo il settore intrattiene un rapporto diretto con la natura, traendo il proprio sostentamento dalla lavorazione della terra e delle sue piante, terreni e coltivazioni, spesso interagendo anche con il mondo animale. A dispetto di questo tratto tautologico, il rapporto diretto con la natura lascia presupporre una relazione diversa con la tecnologia, spesso percepita come elemento distante se non innaturale, quantomeno immateriale e lontano dallo stile di vita degli agricoltori. Nell’immaginario collettivo e non solo, la tecnologia è sinonimo di velocità, di contrazione dei tempi, è proiezione nel futuro, ben oltre i limiti imposti da madre natura. Al contrario, il mondo agricolo vive in un proprio tempo, caratterizzato, se non dalla lentezza, quantomeno da processi di conservazione di memorie orali e di tradizioni agrarie, le stesse che consentono al contadino di sapere quando arare, come seminare e irrigare, dove piantare e soprattutto, ricorrendo in maniera prevalente alla forza delle sue braccia. Il tempo nel mondo agricolo più che alle lancette dell’orologio è vincolato alle stagioni, alle fasi lunari, all’alba e al calar del sole.
Quanto influisce la cultura contadina sui ritardi del mondo agricolo e vale la pena superarla?
Fin dall’archetipo esistono già due contadini differenti, quello greco, sinonimo di uomo libero, sublime, in grado di ispirare e influenzare le arti in ogni forma ed espressione. Poi c’è quello romano, che mostra il contadino come figura subalterna a quella del padrone e associata a termini come gretto, infimo e incapace di decidere il proprio destino. E a mano a mano che ci avviciniamo alla modernità, il contadino diventa una figura da superare, fino ad assumere connotati negativi di ancoraggio al passato, se non di vera e propria resistenza, dinanzi ad un mondo in continuo cambiamento. Come ci suggerisce la letteratura (e qui il riferimento agli studi di Jan Douwe Van Der Ploeg è necessario), occorre rivalutare la figura del contadino superando l’approccio stesso della modernizzazione e degli studi ad esso collegati, che fin da Marx avevano profetizzato la scomparsa dei contadini, a favore di un mondo industrializzato. Si tratta di un nuovo approccio che tende ad enfatizzare la rinascita di questa figura, numeri alla mano, come interprete di progetti altamente innovativi e salvifici rispetto ai destini del pianeta. Una “ricontadinizzazione” portatrice di biodiversità, come forma per combattere la povertà urbana, garanzia per la qualità del cibo e delle acque, nel rispetto dell’ambiente e ricorrendo allo sfruttamento di energie alternative provenienti dal sole, dal vento.
Che tipo di ricerca state conducendo e a che punto siete?
“Campagna digitale” nasce in un contesto di ricerca orientato al marketing. In Hubitat ci siamo resi conto che una parte delle conoscenze e dei dati che produciamo ogni giorno possono avere, come in questo caso, una grande rilevanza pubblica. Raccogliamo continuamente informazioni in rete per comprendere come funziona il mercato, non soltanto nel settore agricolo. Così abbiamo sviluppato una vera e propria metodologia per analizzare contesti competitivi in cui proiettiamo i nostri clienti, comparando la loro comunicazione con quella dei concorrenti. Questa volta, tuttavia, abbiamo preso in considerazione uno spettro piuttosto ampio di 500 aziende agricole campane che hanno almeno una pagina Facebook, primo gradino di una serie più ampia di strumenti comunicativi che dai social, arriva fino ai siti vetrina e agli e-commerce. Oltre all’analisi quantitativa, siamo ricorsi ad uno strumento qualitativo come l’intervista in profondità, per farci raccontare l’agricoltura da una serie di attori privilegiati come esperti, agronomi, innovatori, rappresentanti istituzionali.
Cosa dicono i dati che state raccogliendo?
I dati e l’analisi delle prime interviste confermano il gap di cultura digitale che avevamo ipotizzato fin dalla fase di disegno della ricerca. Al momento stiamo stratificando queste informazioni, avanzando interpretazioni e soluzioni praticabili. Non è stato facile trovarne 500 di aziende che comunicano e questo è un dato che ha una sua ragione precisa. Manca in molti agricoltori un motivo reale per comunicare, si tratta nella gran parte di micro aziende, a loro volta parte di consorzi, cooperative e organizzazioni di produttori che “si limitano” da sempre, a produrre il raccolto a beneficio di strutture più grandi. Occorre avere un motivo per comunicare se non un vero e proprio ritorno economico e molti operatori sono alle prese con un processo di alfabetizzazione digitale appena iniziato, spesso da autodidatti e senza una meta precisa.