I tormenti senza fine della giustizia italiana

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in foto Marta Cartabia, ministro della Giustizia

di Nico Dente Gattola

La giustizia italiana attraversa un momento, alquanto delicato, con la riforma Cartabia, in dirittura d’arrivo ed i referendum ormai prossimi allo svolgimento.
Al solito come già tante volte in passato, il clima è quello di una sfida in cui uno solo dei duellanti resterà in piedi; insomma un clima alquanto infuocato e questo non è positivo.
Per nulla positivo, perché ancora una volta viene meno l’obiettivo che invece dovrebbe essere alla base di tutto, ovvero il miglioramento della giustizia e della sua macchina.
Da anni, troppe volte è accaduto che certe riforme, siano approvate sulla scorta dell’emotività, vale a dire tralasciando il dato tecnico e l’effettiva esigenza ed utilità.
Non sarà così per carità ci mancherebbe, ma da tempo si ha la sensazione che una norma piuttosto che un’altra sia approvata solo per dare un segnale politico, senza badare alle conseguenze che ne possono derivare.
O anche sull’onda del sentimento popolare che serpeggia in quel particolare momento.
Fenomeno che si rinviene ormai da tempo: per dire nel referendum sulla responsabilità civile dei magistrati del 1987, in cui la vittoria dei SI, è il caso di dirlo dopo più di 30 anni, è stata dovuta all’eco della vicenda processuale di Enzo Tortora.
Senza entrare nel merito della vicenda (non è questa la sede), difficile credere che chi votò avesse una competenza specifica sul tema e delle conseguenze concrete che il si o il no sulla scheda referendaria, potessero provocare.
Questo per dire che in tema di giustizia al di là di tutto, quando si vara una norma, per carità è opportuno tenere in debito conto l’opinione ed il sentimento dei cittadini, ma le decisioni devono essere demandate al parlamento e al governo.
Nulla a suo tempo e tanto meno oggi, contro l’istituto referendario, ci mancherebbe sono espressione di democrazia, ma un argomento come la giustizia, per le sue ricadute non può essere affrontato con un semplice si o con un no.
Di sicuro, occorre un confronto sereno tra tutti le parti interessate, poi è chiaro che il parlamento dovrà essere libero di fare il proprio lavoro, ma solo al termine di un confronto con le parti interessate, recependo eventuali rilievi o motivandone il rifiuto.
E’ accaduto tutto ciò in questo periodo? Parrebbe proprio di no, purtroppo.
Ancora una volta infatti gli interventi nel settore giustizia avvengono in un clima di tensione, meglio di contrapposizione ; tutto ciò porterà inevitabilmente a norme che rischiano di perdere di vista l’obiettivo principale, ovvero di migliorare la giustizia nel nostro paese e di essere quindi sostanzialmente inefficaci.
Troppe volte infatti nel nostro paese si è approvata una legge senza valutarne l’effettiva esigenza e utilità nel contesto in cui la si andava ad inserire .
Ancora : sentire l’esigenza di una reale concertazione non significa voler bloccare un paese con i veti, ma piuttosto giungere a leggi che siano realmente utili e siano efficaci.
Questo spiega l’esigenza di un confronto tra le varie componenti della giustizia, che porta laddove svolto in modo sano, ovvero teso a costruire un qualcosa.
Presupposti che non sembrano esserci allo stato per le riforme in essere .
Laddove sarebbe stata opportuna una riforma condivisa e realizzata con il concreto contributo di tutte le componenti del sistema : questo non per una forma di “ vassallaggio” nei confronti delle Toghe, quanto per la sua efficacia.
Infatti una vera riforma dovrebbe essere frutto del lavoro di tutte le anime della giustizia ed in mancanza, inutile nasconderlo è destinata più creare problemi che a risolverli.
Non bisogna mai infatti dimenticare che il vero obiettivo dovrebbe essere quello di aiutare la giustizia a funzionare in modo più efficace ed in questo modo con una riforma non condivisa ma imposta l’obiettivo non appare raggiunto.
Clima che piaccia o meno non si riscontra in queste norme, le quali se approvate, alla fine rischierebbero di complicare solo la situazione, con inevitabile peggioramento della qualità del sistema giudiziario.
Unico effetto che si può riscontrare sino ad oggi è appunto solo un innalzamento dei toni del dibattito, che inevitabilmente porterà ad allontanarsi dai contenuti che sicuramente potrebbero essere migliorati.
Molti in questo paese ritengono sia necessario avviare una riflessione sul tema, ma i presupposti da cui si è partiti, non sono dei migliori, soprattutto in un momento come questo di estrema debolezza del sistema politico italiano.
Debolezza che fin da adesso in caso di vittoria del SI nei quesiti referendari, impedirebbe di dare le giuste risposte in sede politica e di porre in essere quanto necessario per una corretta attuazione della volontà referendaria.
E si perché è alquanto velleitario, pensare che per dire una volta approvata la separazione delle carriere tra giudicante e requirente, non siano necessari ulteriori interventi normativi .
Nella migliore delle ipotesi, si rischierebbe lo stallo e la sostanziale inattuazione dell’esito del referendum, per chi sa quanto tempo.
Premesso che le inchieste e i processi all’epoca di “ mani pulite “ hanno seguito il loro legittimo corso ( piaccia o meno ma in democrazia bisogna accettare le sentenze, fatto salvo il diritto di critica), appare evidente come il paese non abbia ancora superato le “scorie“ di quel periodo.
Scorie che nel corso degli anni successivi, hanno contribuito ad innalzare la tensione nei rapporti tra magistratura e politica.
Politica, come detto sempre più debole, senza una vera identità e questo ha impedito di voltare realmente pagina; dove per voltare pagina s’intende l’avvio di una nuova stagione.
Nuova stagione che ovviamente dovrebbe consistere in una politica in grado di funzionare diversamente realmente al servizio del paese: con un dialogo collaborativo con il potere giudiziario.
Senza una politica realmente nel suo ruolo ed in grado di svolgere la propria funzione appieno ( questo non vuol assolutamente dire avere un potere giudiziario subalterno) appare velleitario pensare ad una seria riforma della giustizia.
E’ auspicabile avere un corretto bilanciamento tra potere giudiziario e politico e che siano entrambi solidi, poiché nel caso malaugurato avessimo una magistratura supina alla politica, avremmo lo stesso un grande problema.
Per funzionare una democrazia ha bisogno di tutt’altro anche perché alla lunga i guasti della politica finirebbero per minare il funzionamento della giustizia e lo stesso a parti inverse.
Questo per dire che le difficoltà della giustizia che quotidianamente emergono, sono anche dovute alla crisi di sistema che l’Italia attraversa, purtroppo ormai da più di un trentennio.
Crisi che ha portato anche ad una precarietà dei ruoli dei protagonisti del sistema giustizia e alla nascita di un clima di perenne conflitto che ha portato a norme quasi mai utili all’amministrazione della giustizia, ma destinate talvolta anche addirittura a complicare il quadro.
Il quadro del momento non è positivo e non lasciare sperare nulla di buono per la giustizia e per tutto il sistema che vi ruota attorno, anche se la vicenda PNR sta lì a rammentarlo, vi sarebbe un grande bisogno di una giustizia in buona salute.