I populismi sono alimentati da povertà e cattiva politica

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L’Italia trema ancora. E fa nuove vittime, la cui tragica sorte, però, stavolta non è direttamente collegata al nuovo devastante sisma, ma al cattivo tempo. E, forse, alla gestione dei soccorsi.

La vicenda dell’albergo Rigopiano, in provincia di Pescara, travolto, sommerso e addirittura spostato di una decina di metri da una slavina, ha tenuto inchiodati davanti alla tv milioni di italiani. Nel cuore dei quali, però – diciamola tutta – al primo sentimento di umana e cristiana pietas per le vittime e di elogio per i volontari del soccorso alpino e dei vigili del fuoco, è andato via via sostituendosi una reazione di crescente indignazione e rabbiosa imprecazione contro la sorda burocrazia di questo paese e l’insipienza e inadeguatezza della sua classe dirigente.

Dal racconto dei media e dalla montagna di neve che si è abbattuta sui luoghi dei terremoti, infatti, con alcuni fortunati superstiti emergono pure le storie di spazzaneve fermi senza autisti, di elicotteri bloccati non si sa bene da chi, di soccorsi arrivati in ritardo di oltre dieci ore, del tanto decantato piano di prevenzione denominato Casa Italia riposto frettolosamente nel cassetto. E, come se non bastasse, anche la notizia dei 28 milioni di euro donati dagli italiani ai terremotati di Marche, Lazio e Abruzzo, attraverso generosi sms, che però non sono ancora arrivati alle zone e persone colpite.  

E c’è ancora poi chi dice che così si alimenta il populismo.

A proposito, quest’ultimo termine, evocato al pari di uno spettro, è risuonato del tutto inaspettatamente a Davos, in Svizzera, tra le stanze ovattate del centro congressi che ospita l’annuale World Economic Forum. A lanciare la pietra nello stagno è stato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che ha infatti parlato delle “disuguaglianze e la rabbia di una classe media che dice sempre di no perché è martoriata dalla crisi economica”. Un ragionamento che – strano ma vero – ha trovato finanche l’adesione di Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi). E più ancora del commissario europeo agli Affari Economici e Finanziari, Pierre Moscovici, che proprio il giorno prima aveva inviato la lettera ufficiale di richiamo della Commissione europea con la richiesta di un aggiustamento dei conti italiani da 3,4 miliardi.

Ma il tema della redistribuzione dei redditi – o della povertà, che dir si voglia – non è localizzato in un solo paese (il nostro) o in un’area geografica. Nel caso, l’Europa, che infatti tranne poche eccezioni, tutto può dire, ma non che se la passi bene. Il dato infatti è detto chiaramente nel Rapporto Oxfam, presentato proprio in occasione del meeting svizzero: “Otto uomini possiedono la ricchezza di 3,6 miliardi di persone che compongono la metà più povera dell’umanità”. O anche che “l’1% delle persone più ricche al mondo possiede quanto il restante 99%. Da qui il titolo del rapporto: “An economy for the 99%”.

Dunque, Oxfam dice pure che “la rabbia dell’opinione pubblica, nonché il sentimento di frustrazione e solitudine provato dalle classi meno abbienti ed emarginate è stato un fattore significativo della vittoria di Donald Trump alle ultime presidenziali americane, del voto favorevole alla Brexit dei cittadini del Regno Unito, dell’elezione del presidente Duterte nelle Filippine e del diffondersi di focolai populisti nel cuore dell’Europa”. Appunto.

Sicché, se un merito ce l’ha questo Rapporto, è quello di far emergere l’incapacità della classe politica di molti Paesi di saper leggere la realtà. In particolare di quella che si auto-definisce progressista, immagino. Si prenda il caso della realtà italiana. Oxfam certifica infatti che l’1% degli italiani possiede il 25% della ricchezza nazionale. O anche che il 20% degli italiani più ricchi detengono più del 69% del valore nazionale, il 20% detiene il 17,6% della ricchezza, mentre al restante 60% della popolazione non resta che il 13,3% delle briciole.

Il Rapporto Oxfam, volendo, fa un po’ anche da cartina tornasole della guerra che nel mondo si sta combattendo a nostra insaputa. Guerra soltanto valutaria, per il momento (e speriamo che resti tale) ma che proprio l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, in cui il magnate si è finalmente insediato, ha reso più evidente.

Insomma – stretto all’osso – con la globalizzazione e i paesi ricchi, che non crescono abbastanza a differenza degli emergenti, la soluzione è vista nella moneta debole e nel ritorno al protezionismo. È il caso degli Usa di Trump, che non sono quelli di Obama, Clinton e, più in generale, dei democratici progressisti e mondialisti. E, dunque, non è nemmeno l’America del finanziere e nemico George Soros, che non a caso torna a dire: crollo dei mercati in arrivo. E anche nuove sciagure che non risparmiano l’Europa.

Peggio di così…