I nomadi del Kazakhstan alla Cappella Palatina del Maschio Angioino

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L’Occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Stefania Trotta

Quante volte abbiamo sentito parlare, delle meraviglie del popolo Kazako? A Napoli, in quello che è diventato un po’ il luogo che dà voce ai popoli del mondo, la Cappella Palatina del Maschio Angioino è possibile vedere dal vivo ben 140 manufatti di questo antico e affascinate popolo.

La mostra “I nomadi del Kazakhstan: passato e presente” nasce dalle collezioni del Museo di Storia di Almaty ed è promossa dal Console Onorario Valentina Mazza con il coordinamento di Carla Travierso, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli.

Visitabile fino al 13 dicembre, la mostra raccoglie collezioni etnografiche comprese tra il XIX ed il XX secolo: “Il Kazakistan – ci spiega il console Valentina Mazza – crocevia di popoli e culture, situato sull’antica via della seta, è stato la terra di un popolo nomade che è andato errando nella grande steppa fino ai primi decenni del ‘900. La mostra consentirà ai visitatori di conoscere la cultura, le tradizioni e lo stile di vita dei nomadi kazaki e di apprezzare il Paese, oltre che per le sue risorse naturali ed energetiche per cui è universalmente conosciuto, anche per la sua storia e antica cultura”.

Nel pannello introduttivo leggiamo che il termine “Kazako” nelle lingue turche, aveva inizialmente un significato politico e difatti significava “persona libera, indipendente, vagabondo”. Col tempo è diventato poi un simbolo etnico per designare quelle tribù che, già nell’era Paleolitica, abitavano lo stato del “Khanato Kazako”. Intorno al X secolo d.C.,  numerosi di questi insediamenti diedero vita ad una delle città della Grande Via della Seta chiamata Almaty, letteralmente “un luogo ricco di mele”. Pare infatti che le mele selvatiche native di quest’area siano gli antenati diretti della maggior parte delle varietà delle nostre mele. Qui, nel XIII secolo, la città svolgeva un ruolo significativo, era infatti un importante centro commerciale all’incrocio della Grande Via della Seta.

A testimoniarlo sono le monete “Dirham” d’argento esposte, con l’iscrizione araba e la “tamga”, l’ornamento centrale emblema del clan di Chagatai Khan, secondo figlio di Genghis Khan. Al centro della sala della cappella, quattro figure statuarie, vestono gli abiti tipici della cultura nomadica, un tipo di abiti dai colori forti, ricchi di dettagli che risaltano nel pellame delle calzature estremamente contemporanee. Un’altra struttura che attira l’attenzione è la tipica Yurta, la pratica casa in feltro che i popoli turchi inventarono perché facilmente trasportabile, si montava e si smontava facilmente durante gli spostamenti nomadi, su cammelli e cavalli, per la steppa dell’Eurasia.

Tra i tanti oggetti esposti spiccano quelli  usati nella caccia, come la Tomaga, un cappuccio usato per coprire gli occhi della “Berkut”, l’Aquila Reale, dai “Kusbegi” o “Berkutchi”, gli abili cacciatori che ancora oggi, di generazione in generazione, addomesticano diversi tipi di uccelli, come falchi, grifoni e aquile reali, simboli di libertà nella caccia tradizionale.

Un altro animale importante è il cavallo,  soprannominato “le ali dell’uomo”, addomesticati più di 5000 anni fa sul territorio dell’odierno Kazakistanmercato essere fedeli compagni di trasporto e di battaglie.

Infine meritano un’attenta osservazione i meravigliosi gioielli in argento, chiamati “Zerger”, intrisi di credenze religiose e dalle proprietà taumaturgiche e gli antichi strumenti musicali, come la dombyra, lo zhetygen e il qobyz dalle leggendarie storie spirituali che fanno immaginare quali emozionanti melodie potevano suscitare.

“Una mostra – conclude Carla Travierso – per scoprire i kazaki, un popolo fiero, discendente dai mongoli, dalle popolazioni turche e dalle commistioni di vari popolazioni che hanno arricchito la propria cultura attraverso la conoscenza e l’accoglienza delle diversità, valorizzando le tradizioni di ciascuno stratificatesi nei secoli”.