I gruppi militari autonomi in Libia

in foto la mappa della Libia

Per capire, oggi, cosa succede nel rapporto critico tra i gruppi militari libici occorre, in primo luogo, guardare al ruolo degli Emirati Arabi Uniti.
Nello Yemen, per esempio, gli EAU, che sono attori primari in tutto il contesto arabo delle post-“rivoluzioni democratiche”, ovvero delle “rivoluzioni colorate” elaborate dal un modello Usa che nasce nei Balcani, hanno posto sul terreno sia le Forze Speciali della Guardia Presidenziale che il tradizionale sostegno alle milizie locali anti-Houthy.
Gli EAU operano, sempre in Yemen, dalla base di Assab, poi con la riconquista di Mukhallah, altra base importantissima, nel 2016, e infine dalla ripresa di Al Mokha, sempre nel 2016.
In Libia, la strategia degli Emirati, che è ancora essenziale per capire cosa succede laggiù, è stata diversa: sostegno netto a Khalifa Haftar, certamente, ma anche azioni dirette delle forze EAU a favore delle Forze dell’Accordo Nazionale Libico di Bengasi: nel solo anno tra l’aprile 2019 e 2020, ci sono stati ben 850 tra lanci di droni e attacchi aerei con velivoli evoluti, sulla Tripolitania del GNA, probabilmente con piloti anch’essi emiratini.
Gli UAE partono verso Tripoli, per quel che riguarda i soli attacchi aerei, dalla base, che loro stessi hanno ristrutturato, di al-Khadim, 65 miglia ad est di Bengasi, ed è da questa base che provenivano anche i rifornimenti per Haftar, spediti da Al-Sweihan, in Abu Dhabi; e anche da Assab, in Eritrea, la base marittima dalla quale partì, nel XIX secolo, lo ricordiamo, la colonizzazione italiana del Corno d’Africa. Che oggi sarebbe utilissima.
Per quel che riguarda le operazioni in Libia, la mediazione tra gli Emirati e le tribù locali combattenti è spesso mediata sul posto dall’Egitto, con un forte sostegno, finanziario, tecnologico e informativo, come è già accaduto nelle operazioni del 2017 verso Tripoli, da parte dell’Arabia Saudita.
Chi viene quindi sostenuto, in Libia, dagli EAU? I salafiti, che hanno come obiettivo, spesso primario, quello di combattere contro la Fratellanza Musulmana, poi molti degli ex-combattenti della “Forza Nazionale di Resistenza” di Saleh, inoltre la vecchia Guardia Repubblicana, oppure la “Brigata dei Giganti”, un gruppo salafita.
Si ricordi che, nel 2013, furono delegati al governo di Misurata, la “città martire” e il centro di tante delle katibe “rivoluzionarie”, il governo cittadino fu appannaggio di Ansar Al Sharia, formazione affiliata ad Al Qaeda, e sorta all’interno della Brigata 17 Febbraio, della quale parleremo in seguito.
Tante le fazioni e le “brigate rivoluzionarie”, tanta la immobilità reale e l’immodificabilità del quadro libico, dove nessuno può vincere sull’altro, tra katibe e frazioni al Governo, e questo può essere pensato come una “garanzia” per occidentali stupidi o pigri, che pensino di stabilizzare la Libia lasciandola semplicemente al suo ruolo, ormai evidentissimo, di failed state.
Gli Emirati vorrebbero, in cuor loro, una svolta autoritaria tipo Al-Sisi, ma in Libia, poi ci sono perfino le forze sudanesi, che sostengono anch’esse Haftar e collaborano strettamente, direttamente, con quelle degli Emirati. Sul ruolo della Turchia in Tripolitania, ne abbiamo già parlato altrove.
Ma vediamo come sono nate e perché le numerose, ancora, frazioni militarizzate operanti in Libia.
La colpa di tutto ciò è, naturalmente, di chi ha predicato stupidamente la guerra “al tiranno” pensando che la cultura politica libica, o maghrebina, debba essere quella del centro di Boston o dei club londinesi.
O di qualche mitomane francese ignorante che, nel ’68, sosteneva quei puri criminali dei Khmer Rouges.
Una strategia globale da salotti di signore insoddisfatte, una politica estera da predicatori mormoni che hanno la loro Bibbia “conficcata nella testa”, come diceva Voltaire.
L’occidente guarda solo sé stesso, riesce a pensare solo le sue sciocche categorie, quindi non riesce più a capire l’altro e, ancora, quindi, non capisce nemmeno sé stesso.
La rivolta in Cirenaica del 2011, organizzata soprattutto da operatori dell’intelligence francese, nasce proprio lì a causa della storica emarginazione dell’area libica dell’Est nel periodo gheddafiano; e dalla persistente presenza ideologica e organizzativa della rete senussita, che ha da sempre ottimi rapporto con la Fratellanza Musulmana e con gli altri gruppi di tradizione salafita.
Una tradizione esoterica e talvolta eterodossa, quella della setta senussita, che si avvicina negli anni al radicalismo wahabita e al settarismo letteralista di alcune tradizioni saudite e egiziane dell’Islam. Un caso, parlo da cultore di sapienza antica, da studiare attentamente.
Un mix quindi di élite locali della Cirenaica, di agenti esteri un pochino superficiali, ma spesso di origine locale, di defezionisti dagli apparati di Gheddafi organizza quindi rapidamente, con le navi francesi a poche miglia dalla costa e i sottomarini di Parigi ancora più vicini, e anche le armi evolute fornite loro proprio dai Servizi francesi, un National Transitional Council.
Lo NTC fa soprattutto politica estera, soprattutto in Usa e in UE, e soprattutto contra Italiam, visto che il sogno di Sarkozy è quello di far comprare l’ENI da Total, con relativa mazzetta presidenziale, ma non si cura di organizzare gerarchicamente tutti i vari gruppi “rivoluzionari” che sorgono come funghi. Gli occidentali pagano bene, e la “roba”, come la chiamava Machiavelli, era lì a disposizione del più violento.
Si intravede anche, molto chiaramente, una campagna occidentale di defamation, semplice e rozza, contro il “tiranno” Gheddafi e di progressivo sostegno militare, soprattutto sul piano della protezione aerea, per favorire i “ribelli”, trasformatisi tutti, con la magia della suddetta scialba propaganda occidentale, in “democratici”.
Gli italiani, costretti da una serie di minacce sottili ma chiarissime, sono costretti a partecipare all’operazione anti-gheddafiana, e segneranno con questa stupida scelta la loro progressiva cancellazione dal Mediterraneo.
E allora Mohammed bin Salman? E Al Sisi? E il Re di Giordania, peraltro un grandissimo e illuminato statista, sono forse dei “democratici” solo perché piacciono agli sciatti e superficiali occidentali, che nel Medio Oriente si muovono come il classico elefante in una cristalleria? Solo Gheddafi era il “cattivo” di questo B movie western, o c’erano anche gli altri?
Lasciamo stare quindi le fesserie della propaganda, spesso orchestrate, come nel caso della Francia, da enfants gâté che si erano formati, come ho accennato, tra gli adoratori di Pol Pot. Dopo il ’68, da nemici di De Gaulle a uomini della propaganda Usa. Un tracciato lineare, ma i sessantottini non lo sanno.
La sedicente rivoluzione islamica in Libia, ma sostenuta dagli occidentali, finisce, come è noto, nell’agosto 2011, quando i “democratici” salafiti e i fratelli islamici prendono Sirte e Bani Walid, le ultime aree sotto controllo gheddafiano.
Il GNA tripolino, il Governo di Accordo Nazionale, da tempo, ha un limitato appoggio interno, malgrado sia sostenuto, con tutte le inutili pompe, sul piano internazionale.
Nessuno saprà mai la formula dell’incantesimo che ha legato il GNA di Tripoli alla cosiddetta “legittimità internazionale”.
Il Consiglio Presidenziale risiede a Tripoli dal 30 marzo 2016. Diretto da Fayez al-Serraj, già membro del Parlamento di Tobruk, dove rappresentava appunto Tripoli, nasce da un Libyan Political Agreement sostenuto dall’ONU e sottoscritto il 17 dicembre 2015. L’accordo di Shkirat, questo, che era un patto tra le due fazioni principali per arrivare a un governo unitario e nazionale tra il GNA di Tripoli e la Camera di Tobruk. 90 deputati di Tobruk firmarono gli accordi scritti al “Centro Mohammed VI” della città marocchina, e lo firmarono anche i 27 deputati di Tripoli, che però avevano la “delega” di altri 42 deputati che risiedono nella capitale e che non si sono mossi. Il comitato di Presidenza, allora, era composto da 6 personalità tutte designate dall’ONU, poi si sono aggiunti altri 3 uomini politici, due in rappresentanza del Fezzan e uno della Cirenaica, e sarà questo Comitato di Presidenza che formerà la lista dei ministri del governo unitario. Sappiamo come è finita. Il dato politico-giuridico è che il Parlamento di Tobruk ha accettato l’accordo del 2015, ma si è rifiutato di siglare l’art.8 del testo di Shkirat, che avrebbe obbligato il controllo, da parte del Governo tripolino, delle forze autonome della Cirenaica.
Inoltre, Tobruk non ha accettato, all’epoca, i nomi proposti per il futuro, ma impossibile, governo nazionale libico. Un grande e definitivo caos.
Ma poi, chi è Fayez al-Serraj? Laureato in Architettura e Urbanistica nel 1982 all’Università di Tripoli, ha avuto ruoli secondari ma non trascurabili nel regime di Gheddafi, e poi si è inevitabilmente aggregato alla “rivoluzione”.
E’ comunque il Consiglio di Presidenza che è il vero “capo di Stato” libico, ricordiamolo.
Ma perché il Consiglio di Sicurezza, inoltre, vota all’unanimità l’Accordo Politico del dicembre 2015? In effetti, l’accordo di Shkirat, ovvero quello già citato del 2015, nasce soprattutto per risolvere la disputa tra la Camera dei Rappresentanti eletta regolarmente e operante a Tobruk-Al Bayda, il General National Congress di Tripoli e poi le altre forze centripete che si erano già formate. Che vinceranno la tenzone rispetto a due governi deboli e dipendenti, contro la lezione machiavelliana, dalle “armi altrui”.
L’idea era astrattamente buona, nel patto di Shkirat ma, senza decidere a chi si debba affidare la “sovranità”, le dispute sono destinate a durare all’infinito.
Il Consiglio di Presidenza di Tripoli, oggi retto da Al-Serraj, quando, ricordiamolo, l’attuale capo della Tripolitania dovette arrivare via mare perché sapeva che, se fosse arrivato all’aeroporto di Mitiga, l’avrebbero fatto secco, era nato per costituire un governo unitario con tutti i “parlamenti” in giro per la Libia, comunque non per giocare da solo.
Divertente risultato, l’ONU e tutti i pecorili Stati EU continuano a far finta di niente e a trattare il governo del GNA come l’unico “legittimo”. Per trascinamento, si direbbe. Eredità, questa, delle pessime esperienze occidentali in Iraq, ma il cervello è fatto per essere usato. Non per proiettare i propri pregiudizi piccolo-borghesi nel mondo arabo, che è molto più complesso di quanto non si creda.
Gli Usa sostengono totalmente e da sempre il Governo di Accordo Nazionale, ma gli egiziani, gli Emirati, la Russia e anche, indirettamente, la Cina sostengono che occorra soprattutto un “esercito nazionale e unitario libico” e quindi sostengono in prima battuta Khalifa Haftar, soprattutto in funzione anti-islamista e anti-jihadista.
Poi, tornando alle strutture ufficiali della ormai inevitabilmente frazionata Libia, frazionata proprio quando ci serviva bene unita, c’è anche il governo di Khalifa Gwell, che si basa sulla ormai remota autorità di un Congresso Nazionale Generale, che ebbe il suo momento di gloria durante le elezioni del Parlamento del 2012.
Il “Parlamento di Tripoli”, che non ha niente a che fare con Al-Serraj, si è trasferito in gran parte presso il Consiglio di Stato, che era un organo presieduto dal leader di Misurata Abdul Rahman Swehli, ma poi il parlamento di Tobruk ha cominciato a sostenere il governo di Abdullah Al-Thinni, che opera direttamente da Al-Bayda.
Tutti i gruppi rivoluzionari che partecipano alla facile rivolta contro Gheddafi, i thuwwar, come li chiamano genericamente in Libia, non volevano, fin dall’inizio, la continuità delle FF.AA. e della polizia libiche anzi, contestavano pesantemente questo assunto.
Essi, ma tutti, avevano elaborato il vago concetto di “legittimità rivoluzionaria” e fu proprio il primo governo non-gheddafiano, quello di Abd Al Rahim al Kib (che dura dal novembre 2011 al novembre 2012) che, di fatto, nomina “guerriglieri” di Zintan e di Misurata, oltre che i salafiti e molti jihadisti, a cariche ministeriali, almeno per riequilibrare le presenze nella “rivoluzione” tra vecchi lealisti del Colonnello e nuovi “rivoluzionari islamici”.
Come era ovvio, questi jihadisti, gran parte dei thuwwar, siano salafiti e altro, non accettano minimamente la presenza dei vecchi uomini del regime gheddafiano in altre aree del governo libico, e la loro “legittimità rivoluzionaria” gli permette, secondo loro, un diritto di controllo e di espulsione, spesso “immediata”, per i vecchi elementi del “regime” del colonnello della Sirte.
Altro elemento da non trascurare, nell’analisi della crisi strutturale libica, è la scarsa concettualizzazione e regolamentazione ufficiale del potere militare e della sicurezza.
Alcuni ruoli nei Servizi sono stati aboliti dalla rivoluzione anti-gheddafiana, con l’argomento, che in Italia conosciamo ma che rimane comunque stupido, che certe qualifiche ricordavano tristi momenti (ma solo per loro).
Fu abolito perfino il ministero della Difesa; e le nuove leggi per il settore intelligence resero il processo dei Servizi una funzione semi-privatistica, per così dire.
Le leggi approvate dal NTC e dal Congresso Nazionale Generale erano sempre ambigue e malfatte, proprio come quelle italiane, quindi si generava la possibilità, per ogni attore politico, di favorire la propria fazione militare a scapito delle altre.
Quindi, in primis la carenza di norme chiare e univoche, e la voluta ambiguità delle leggi sulla sicurezza ha favorito soprattutto la sedicente “legittimità rivoluzionaria” dei thuwwar contro il professionismo degli ex-gheddafiani o anche degli uomini che l’Occidente, sempre sventatamente, ha scelto per guidare la “nuova Libia”.
Il fine ultimo della rivolta era la distruzione della famiglia Gheddafi, che ragionano per clan e tribù, e ciò valeva per tutti i thuwwar, ma poi, tra di loro, non avevano niente in comune.
Da ciò deriva che tutti loro e le loro katibe non potevano controllare seriamente il territorio libico, e non esisteva nemmeno il concetto, ormai, di potere statuale e di controllo unitario del territorio. Potremmo definirlo un “federalismo della guerra civile”.
Le piccole katibe, i “battaglioni” dei thuwwar erano, al 95%, composti da meno di 1000 elementi, poco più che famiglie allargate, come le cosche mafiose del Meridione italiano, e nell’Ovest libico si organizzavano soprattutto tramite “Consigli Militari”, mentre nell’Est cirenaico per mezzo di coalizioni piuttosto lasche di “gruppi combattenti”.
Per selezione darwiniana, emergono presto due grandi organizzazioni di riferimento per tutte le piccole katibe: la “Coalizione 17 Febbraio” e la “Raccolta delle Organizzazioni Rivoluzionarie”.
La “17 Febbraio” si separa presto in altri due tronconi.
Il primo si chiamerà l’Apparato di Sicurezza Preventiva, che svolge soprattutto ruoli di controspionaggio e di controllo delle frontiere, anche per contrastare i non trascurabili elementi ancora legati a Gheddafi.
La seconda fazione, lo “Scudo Libico”, è composta da piccoli gruppi che avevano operato soprattutto a Brega e che operavano soprattutto nella Tripolitania petrolifera.
A Misurata si costituì poi la brigata comandata da un defezionista delle forze gheddafiane, Salim Joha, ma composta da gruppi di civili addestrati, grandi dai 1000 uomini fino a perfino 10-20 elementi, ma che raggiunse presto la dimensione di ben 236 katibe.
Erano, quasi tutti, battaglioni specializzati in un’unica funzione. E gran parte di questi si iscrissero, per così dire, o alla “Unione dei Rivoluzionari di Misurata” o anche al “Consiglio Militare di Misurata”.
Nel 2011, in novembre, al massimo del suo splendore, l’Unione contava 40.000 miliziani.
In occidente, nell’area genericamente detta Tripolitania, ci fu una netta differenziazione tra i referenti dei Paesi che avevano compiuto l’attacco (illegittimo) a Gheddafi, una differenziazione che si riferiva ai gruppi militari, alle linee politiche, perfino alle aree di influenza.
A Zintan c’erano 6000 “rivoluzionari” divisi in otto brigate, a Nalut ce ne erano 5000, in sei brigate.
Le katibe di Jadu, Zawiya, Zuwara e degli altri piccoli centri si legarono soprattutto alle Forze Confinarie, o a quelle per il controllo dei pozzi di petrolio, o perfino a quella per le Installazioni Vitali.
A Tripoli si costituirono, inoltre, ben 17 “consigli rivoluzionari” alimentati soprattutto dai 16.000 criminali comuni che Gheddafi aveva liberato poco prima di cadere. Nessuno dei gruppi era del tutto autonomo né poteva controllare parti accettabili di territorio. Molti si dedicavano alla spaccio di droga, rapinata dai depositi degli apparati di sicurezza, o operavano nel “mercato nero” o nella protezione privata.
Ci furono anche gruppi “rivoluzionari” che si costituirono, ma in netto ritardo, nelle aree dove il potere gheddafiano era durato più a lungo: a Bani Walid, a Tarhouna, nell’area di Warshafana.
Erano, questi gruppi, combinazioni di vecchi gheddafiani ormai orfani del Capo, ma sempre e assolutamente facenti parte della stessa tribù, e anche di nuovi “rivoluzionari” che imitavano le gesta delle katibe operanti nei centri maggiori.
Anche questi gruppi, in gran parte, rientrarono in seguito nei ranghi delle Guardie Petrolifere. Che pagavano meglio di altri.
La colpa di questo caos era, però, anche di Gheddafi: egli aveva creato una struttura della sicurezza dello Stato che non si riferiva solo e direttamente al Capo di Stato Maggiore, ma a due organismi diversi e nettamente separati: il “Comitato Generale Temporaneo per la Difesa” (con a capo, inizialmente, Abu Bakr Yunis Jabr) e poi il “Comitato Permanente per la Difesa”, diretto da vari personaggi ma, di fatto, dallo stesso Gheddafi.
La rete di sicurezza del regime del colonnello della Sirte era, anche questa, molto complessa: c’era la “Brigata 32”, comandata da Khamis Gheddafi, poi operavano anche le brigate Mohammed al Maqariaf, Sahban, la Fadhil Abu Omar, Faris, Hamza, Suqur, Abu Minyar, infine la Maghawir.
Anche le altre forze militari erano divise in due, nell’organizzazione gheddafiana della sicurezza dello Stato. Solo le unità dell’Est defezionarono subito, le altre rimasero fedeli al Colonnello.
Una parte del battaglione Saeqa si unì ai “rivoluzionari” dell’Est cirenaico per formare la “Brigata dei Martiri di Zawiya” ma, mentre procedeva l’avanzata dei jihadisti e degli occidentali da Est, molti ufficiali, ma meno di quanto si pensi, iniziarono a defezionare anche in Tripolitania.
Ma molte delle unità militari di stanza nel Sud e nell’Ovest rimasero fedeli a Gheddafi fin quasi alla fine.
Dopo la morte del colonnello della Sirte, poi, le unità dell’ovest e del sud si riunirono con i “consigli rivoluzionari” nelle aree in cui le FF.AA. regolari erano forti e invece le katibe rivoluzionarie deboli, e ciò accadde soprattutto a Gharyan, Khums, Sabha, Surman e Tarhouna, la città dove nacque un ex-direttore dei nostri Servizi “esterni”. Una ibridizzazione delle forze politico-militari che fa molto pensare e che è molto caratteristica della rivolta anti-gheddafiana libica.
L’instabilità ovviamente cresce, mentre gli occidentali, che l’hanno scioccamente causata, se ne lavano le mani, aspettando forse lo Spirito Santo di qualche elezione, regolarmente truccatissima.
Si rafforzano anche alcune istituzioni che sono però già molto frazionate al loro interno: le “Forze dello Scudo Libico”, l’”Apparato per la Sicurezza Preventiva”, la “Guardia Nazionale”, una struttura creata inizialmente da Khalid al Sharif, già a capo del Libyan Islamic Fighting Group, una rete nata già nelle more della rivolta del 2011.
Ubi occidentalia, ibi jihadismus, e mi si perdonino gli inevitabili errori di latino.
Poi ci sono perfino altre organizzazioni dello stato gheddafiano che assorbono elementi delle katibe per rimanere al potere e per avere una qualche base operativa. Per sopravvivere e fare affari, o mantenersi solamente in vita. La crisi economica causata dalla caduta del regime, nel 2011, morde subito.
Il petrolio era il 97% delle entrate di Tripoli, ai tempi del colonnello. Il petrolio libico lo lavorano e lo esportano l’ENI, la Total francese, la Wintershall tedesca, la russa Gazprom e la Repsol spagnola. Con molti manager italiani dentro. Certo, gli occidentali aspettano che si muovano i capitali della Libyan Investment Authority, 67 miliardi alla fine del 2012, ma le questioni politiche derivanti dal frazionismo delle katibe e dei governi sono infinite, come era facile prevedere. Poi c’è la GECOL, General Electricity Company of Libya, la LISCO, ovvero la Libyan Iron and Steel Company, l’ESDF, ovvero l’Economic and Social Development Fund, l’ODAC, qui l’Office of Development od Administrative Complex, la libera zona portuale di Misurata, fin dai tempi del colonnello, una economia che, prima della rivolta del 2011, è già ampiamente privatizzata ma che i “rivoluzionari” non possono leggere e non sono capaci di controllare.
Poi, le istituzioni, che cadono nel caos, applicando spesso modelli occidentalisti a una situazione ben diversa: il titolo di “capo supremo delle Forze Armate” rimane per anni non ben chiaro giuridicamente, ma oscilla, oggetto di lotte di potere, all’interno del GNC, e viene spesso duramente contestato dai tanti “capetti” delle katibe.
Prima che i governi si dividessero in due, c’era in atto anche il conflitto, spesso acerbo, tra il ministero della Difesa e quello degli Interni, e dello stesso governo, il che ha portato, anche nelle more di una gestione incerta e sempre personalistica delle transazioni petrolifere, ad un blocco amministrativo, sociale e politico. Che ha portato a un supplemento di povertà di massa.
A ciò si aggiunga la struttura barocca delle istituzioni, fatta quasi unicamente per evitare il comando e la responsabilità: il Comitato Supremo di Difesa, di cui abbiamo già fatto cenno, a Tripoli (dove peraltro gli influssi salafiti e jihadisti erano più evidenti che altrove) e inoltre diviso in tutta la Libia in 54 settori regionali, aveva ben 16.000 guerriglieri disponibili, e questo solo nella vecchia capitale gheddafiana.
Poi, sempre a livello post-nazionale libico, c’erano, lo abbiamo detto, 54 settori locali del Comitato Supremo di Difesa, poi 23 comitati anti-crimine, 45 compagnie di supporto e sostegno alle attività di difesa, poi la Forza di Ėlite e la Forza Speciale di Deterrenza.
Si noti bene, poi, che le Forze che avevano cercato, spesso riuscendoci, il sostegno delle varie fazioni del Comitato Supremo di Difesa, comprendevano perfino katibe pro-Gheddafi o anche semplici criminali comuni, oltre che ad elementi già classificabili come jihadisti di tipo qaedista.
A Ben Ashur, per esempio, i membri delle brigate anti-crimine erano tutti ex-galeotti.
Ecco, questo è stato, fino allo scioglimento del Comitato Supremo di Difesa, il meccanismo della “sicurezza” libica post-gheddafiana. Ne riparleremo.