Ho suonato con i Pink Floyd, autobiografia di un sognatore

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di Fiorella Franchini

Tra i generi letterari più in voga negli ultimi anni vi è l’autobiografia. Un tipo di narrazione popolare, antico, reso illustre da autori come Dante, Petrarca, Alfieri, Rousseau, dai Commentari di Cesare alle Confessioni di Sant’Agostino e si potrebbe continuare a lungo. Antonio Romano musicista e ricercatore, speaker e giornalista, proprietario di una delle prime Radio Libere napoletane, racconta la propria vita privata e pubblica mettendo ordine nella sua memoria personale e in quella collettiva degli ultimi 45 anni con il volumetto Ho suonato con i Pink Floyd – Edizioni Mea 2022. Un viaggio avvincente in un periodo storico ancora troppo vicino eppure già iconico, dagli anni ‘60 al Nuovo Millennio, costellato di fenomeni come i Complessi Beat, le Radio Libere, le contestazioni giovanili e le lotte sindacali. Dal 1965 al 1975, appassionato di musica, discreto bassista, Antonio Romano ha fatto parte di vari gruppi musicali, oltre ad essere stato produttore, organizzatore di spettacoli e musicologo. Tanti i protagonisti che l’autore ha incontrato e intervistato, nomi noti al grande pubblico e personaggi locali. Un’esistenza dedicata alla musica e a Napoli, passioni mai abbandonate che ha saputo coltivare, trasformare e trasmettere a tutta la sua famiglia, alla moglie Teresa, compagna di vita e d’avventura, ai figli Daniele Ivan e Romina, a tutti gli ascoltatori di Radio Amore. La sua scrittura ha un tono serio, “di buon senso”, puntuale, mai formale, spesso ironica, disseminata di sequenze riflessive che, focalizzandosi sui sentimenti e sulle impressioni provate dallo stesso autore, mettono in evidenza trasformazioni epocali della società, il cambiamento dei valori, l’avvento di nuove mode. Si percepisce il costante riaffiorare di reminiscenze lontane, rimaste vive nella mente e nel cuore. Talvolta l’autobiografia cede il passo al memoir, la narrazione prende spunto dalla memoria emotiva e non obbedisce né alla progressione cronologica del raccontare, né a una ‘verità’ dei fatti. Quel che importa è ciò che emerge, e sono pezzi della propria storia, fatti reali descritti così come riemergono dal tempo, i balletti in casa, i fumetti di Tex Willer, Sanremo e Bandiera Gialla, la militanza politica. Tuttavia, Antonio Romano non perde mai l’attenzione per il dettaglio che dà luce alla scena, ed è quello che gli permette di mostrare esattamente ciò che vuole raccontare, quello che rende il lettore partecipe, qualcosa di molto personale ma al contempo universale, come sono certe emozioni che, svelate al mondo, toccando l’intimo di ognuno, fanno ritrovare commozioni e turbamenti, consentono di ripercorrere il filo delle proprie esperienze, trovare parti di sé. Una narrazione che non interpreta dando risposte, piuttosto osserva e rivela, illumina e chiarisce. A volte, non fa altro che scatenare interrogativi e domande. Una risorsa preziosa quella della scrittura autobiografica utilizzata scientificamente per raccogliere, sedimentare, conservare e poi rielaborare, in un contesto di studio, di documentazione e di archiviazione, le testimonianze di protagonisti e soggetti di generazioni diverse. Il pensiero autobiografico risveglia immagini, suggestioni, ricordi che permettono di scoprire fatti poco documentati o di approfondire verità celate sotto le apparenze ed ha, dunque, anche un compito di natura sociale e di trasmissione memoriale. Per gli storici contemporanei ogni scrittura parziale, anche la più spontanea e modesta, rappresenta un indizio che segnala qualcosa che non sempre si riesce a vedere spontaneamente e questo materiale può diventare un terreno fertile di ricerche e d’interpretazioni. Anche la storia individuale di Antonio Romano, grazie alla sua ricostruzione personale, particolareggiata, emozionale, è partecipe di una storia collettiva che mette in luce gli aspetti meno indagati e trascurati dell’indagine del passato: quelli che hanno a che fare con i sentimenti, le spinte ideali, i sogni, i progetti, i luoghi che accompagnano e spesso determinano il corso di un’esistenza e quasi sempre restano senza voce o si sedimentano in memorie intime. Difficile non ritrovarsi nelle pagine zeppe di nomi e riferimenti, e non sono solo suggestioni, ma veri e propri ricordi che riaffiorano con il titolo di una canzone o il nome di una band, di un calciatore: i Cannavaro, gli Squallor, il maestro Roberto De Simone. La parola scritta accende i riflettori, come già accaduto per il Rione Luzzati di Elena Ferrante, sui quartieri periferici da cui sono scappati in tanti, Fuorigrotta, La Loggetta, Bagnoli e Coroglio, mostra sconosciute angolature e svela energie insospettabili, fucina e dimora di progetti, di talenti, di riscatti, talvolta di miracoli, come suonare senza saperlo con David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd. Protagonista attivo di quegli anni, Romano descrive questo immenso fermento partenopeo che dentro gli scantinati e i condomini operai preparava il Rinascimento di una città, di un popolo, di una cultura antica. Non tutto si è realizzato e la generazione dei visionari paga oggi il prezzo amaro della disillusione. Ma “la memoria è lo spazio in cui le cose accadono per la seconda volta” e l’entusiasmo non si spegne, anzi si ricarica di altre ispirazioni e di straordinario entusiasmo: una precedente pubblicazione da promuovere, Radio libere…Una storia d’amore, edito da Guida e un nuovo impegno da portare a termine, la biografia di Antonello Rondi, le battaglie culturali per la valorizzazione della Canzone Napoletana. Memoria, tradizione, idee e tanta musica sulle frequenze di Radio Amore. Antonio Romano non si ferma, anzi, sembra quasi di sentirlo canticchiare uno dei successi di Peppino di Capri che ha firmato la Prefazione al libro: “Tra mille anni o tra due ore/Ma lasciatemelo dire/Io resto un sognatore”.