Se c’è una persona che conosce come le proprie tasche la realtà russa come quella americana, questa persona è l’ambasciatore Sergio Romano. Nella sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica, è stato, tra l’altro, ambasciatore presso la Nato e ambasciatore a Mosca (1985-1989), nell’allora Unione Sovietica. E stato visiting professor all’Università della California e a Harvard, e ha insegnato all’Università di Pavia, a quella di Sassari e alla Bocconi di Milano. Tra i suoi numerosi libri, ricordiamo Merkel. La cancelliera e i suoi tempi (con Beda Romano, Longanesi, 2021); Processo alla Russia. Un racconto(Longanesi, 2020); Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018); Il rischio americano(Longanesi, 2003); Il declino dell’impero americano (Longanesi, 2014); Trump e la fine dell’American dream (Longanesi, 2017). E da poco è nelle librerie il suo libro Il suicido dell’Urss edito da Sandro Teti con prefazione di Luciano Canfora e introduzione di Ezio Mauro. «Negli ultimi anni l’indipendenza della Ucraina ha un paladino nella persona di Volodymyr Oleksandrovych Zelensky, un attore, regista e comico televisivo, che è presidente dalla Repubblica dal 20 maggio 2019 e ha fatto una campagna elettorale in cui il tono dominante era quello nazionalista. In queste circostanze i Paesi dell’Ue stanno a guardare con sentimenti diversi, dalla prevedibile amicizia per l’Ucraina della Polonia, lieta di accoglierla nella Nato, alla maggiore prudenza di quelli che non vogliono pregiudicare i loro rapporti con la Russia e avevano sperato che l’Ucraina divenisse una Svizzeracentroeuropea fra Paesi che hanno appartenuto per molti anni a blocchi contrapposti. È una occasione definitivamente perduta? Neutrale, l’Ucraina sarebbe molto più rispettata e autorevole di quanto sarebbe se la sua politica estera continuasse a essere un interminabile e inutile bisticcio con la sorella maggiore». È un passaggio di uno scritto dell’ambasciatore Romano sulCorriere della Sera del 19 settembre 2021. Cinque mesi dopo, la sua riflessione acquista una valenza drammatica alla luce di ciò che sta accadendo. Con una mossa a sorpresa Vladimir Putin ha dapprima annunciato il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, per poi ordinare l’invio di truppe nella regione del Donbass. Ambasciatore Romano, cos’ha in testa lo “Zar” del Cremlino? Vede, in Occidente si è fatto finta di non sapere quali fossero gli obiettivi di Putin ed erano anche, in un’ottica russa, abbastanza comprensibili. Lui, dopo un lungo periodo in cui la Russia aveva perduto prestigio e autorevolezza nella società internazionale, voleva recuperare ciò che era stata certamente anche durante l’epoca sovietica ma comunque nel corso della sua storia. Non si può sostenere che soltanto il comunismo ha reso la Russia importante. Lo era prima e continuerà ad esserlo. Putin voleva passare alla storia come l’uomo che avrebbe restituito alla Russia quell’autorevolezza che aveva conquistato in passato. E questo significa recuperare una posizione eminente nella sua regione naturale, che è quella dell’Europa centro-orientale. Quello lo avevamo capito fin dall’inizio. Poi le cose dipendono molto dal modo in cui si fanno, dai tempi in cui si vorrebbero fare… Io credo che se avessimo in qualche modo aiutato Putin, per esempio senza insistere per l’allargamento della Nato fino ai confini della Russia e lasciare che l’Ucraina chiedesse di far parte della Nato, mettendola, per così dire, in una lunga sala d’aspetto piuttosto che lasciarla sperare, beh tutto sarebbe stato probabilmente diverso e meno imbrogliato. Le ripeto oggi quanto ho avuto modo di affermare in tempi non sospetti: che la collocazione che intravedevo come desiderabile per l’Ucraina era quella della neutralità, il Paese doveva diventare neutrale. È stato completamente irragionevole prospettare la possibilità dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Perché la Nato è un’organizzazione politico-militare congegnata per fare la guerra. Farla quando in gioco sono gli interessi del dominus dell’Alleanza atlantica: gli Stati Uniti. Ora, se Washington punta all’ingresso dell’Ucraina nella Nato vuol dire che la guerra può essere portata alle frontiere della Russia. Questa è comunque la percezione di Mosca di cui non si può non tener conto. Ritengono che si tratti di una preoccupazione in qualche modo fondata e non l’ “ossessione” di Putin.