Roma, 10 mar. (askanews) – Una rivoluzione pacifica e democratica, la rivendicazione dei propri diritti non solo per se stessi ma per la crescita e l’evoluzione di un’intera società, un cambiamento storico in uno dei momenti più difficili della storia dell’Italia moderna. Sono solo alcuni degli elementi del romanzo storico ‘Gli ultimi Carbonari’, La Storia di chi cambiò la Storia, scritto da Giuseppe Sergio Balsamà, ex commissario di Polizia in pensione che ha lavorato per 36 anni in prima linea alla Squadra Mobile della Questura di Roma, con una lunga esperienza nel sindacato di polizia, ex segretario provinciale del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori di Polizia). Una storia poco conosciuta, raccontata in prima persona da un narratore che è anche protagonista delle vicende dei Carbonari, che rappresenta un elemento fondamentale dell’evoluzione democratica dell’Italia, della nascita di una Polizia moderna, della smilitarizzazione del Corpo di Polizia, della nuova gestione dell’ordine pubblico, proprio in un momento di nuove tensioni sociali.
‘Non ci sono altri libri di questo genere. I Carbonari, quei colleghi che hanno sfidato il sistema anacronistico dell’epoca, nei loro testi si sono soffermati principalmente su alcuni avvenimenti legati alla sindacalizzazione, io ho cercato di focalizzarmi sull’intera storia. Una battaglia portata avanti non solo per la categoria, ma anche per la società civile’, racconta Balsamà parlando del libro edito da Edizioni Lavoro, con presentazione di Michele Placido e prefazione di Gianfranco D’Anna.
‘Nel corso della mia lunga attività sindacale, iniziata nel 1989, ho avuto la fortuna di incontrare questi colleghi che erano stati protagonisti del movimento clandestino e della smilitarizzazione della Polizia di Stato, di un processo che ha avuto ripercussioni sociali di cui pochissimo si parla. I loro racconti, le loro vicissitudini personali, professionali e familiari, non solo mi avevano affascinato ma anche posto quesiti e turbato, e da lì è nato il bisogno di raccontare la loro intima sofferenza vissuta dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, rivolgendomi non solo agli addetti ai lavori ma anche alla società civile’.
‘Una categoria di lavoratori, quella dei poliziotti, esclusa ed emarginata, che non poteva ancora avvalersi del diritto di parola né di pensiero’, scrive l’autore, riferendosi alle condizioni in cui versavano le guardie di pubblica sicurezza e introducendo poi la storia del protagonista che parte dalla Sicilia nel 1954 verso Roma per raggiungere la scuola di Polizia ‘Castro Pretorio’. Un periodo di sacrifici e privazioni, lavorando sette giorni su sette, con il rischio di essere licenziato o deferito al Tribunale militare. Un periodo in cui ‘cessato il boom, cominciarono ad affiorare i problemi reali, le prime storture di un sistema economico cresciuto senza regole’, si legge ancora, per arrivare alle prime lotte di classe, le manifestazioni ‘con il malcontento dei lavoratori che dilagò nel Paese a macchia d’olio’ con operai e studenti da una parte e la Polizia dall’altra.
‘Ero impressionato nell’ascoltare quelle testimonianze inedite che descrivevano con dovizia di particolari la vera natura della Polizia di quegli anni. Una Polizia militarizzata, pervasa da principi autoritari. Questi uomini di cui parlo erano decisi a cambiare il corso della storia e non accettavano che nel nostro Paese, dopo 30 anni dalla promulgazione della Costituzione e poco tempo dall’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, i poliziotti fossero considerati dei cittadini invisibili, di serie B, esclusi ed incompresi da quella stessa società democratica’ che, spiega l’autore, ‘non sapeva quanto accadesse all’interno del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza’. ‘Solo nel 1953, l’allora Ministro degli Interni Fanfani aveva preso coscienza che ai poliziotti non veniva riconosciuto il riposo settimanale, come previsto dall’articolo 36 della Costituzione, rendendolo obbligatorio’, recita il testo.
Questi Carbonari, protagonisti di una riforma di vasta portata ‘si erano distinti per il loro alto senso dello Stato, per il loro grande equilibrio, non erano rivoluzionari, ma veri eroi senza medaglia, silenziosi, sconosciuti. Non si limitavano a rivendicare esclusivamente i diritti della loro categoria ma si preoccupavano anche del resto della società’, sottolinea Balsamà che racconta anche i sentimenti, l’anima di questa battaglia clandestina. Una lotta che generava anche timori e preoccupazioni per le possibili conseguenze: ‘Questi colleghi che decisero di partecipare al primo nucleo clandestino erano consapevoli dei seri rischi che correvano, come il licenziamento in tronco, il carcere militare o il trasferimento ad altra sede, provvedimenti che avrebbero messo a repentaglio il loro futuro e quello della loro famiglia. Nello svolgimento della loro missione, di questa pacifica rivoluzione democratica, non sono mancati momenti di sconforto, di timore, di un imperdonabile senso di colpa per aver trascurato la loro famiglia, i loro affetti più cari, coinvolgendoli indirettamente in quella battaglia che per loro rappresentava una giusta lotta democratica’.
‘Anche tra le nostre fila si sentiva l’esigenza di intervenire sull’istituzione ‘Polizia’ nell’intento di trasformarla in una struttura in primo luogo più ‘umana’ ed adeguata alle esigenze dei cittadini e del personale che vi operava’, si legge in un passo. E ancora: ‘Ci trovavamo in piazza a dover combattere persone come noi, individui che stavano rivendicando i loro diritti, una vita migliore’ e ‘gli scontri tra noi e gli studenti erano all’ordine del giorno. Attacchi duri da ambo le parti. A Valle Giulia, sede della facoltà di Architettura, si svolse una delle più violente manifestazioni dell’epoca’, racconta l’autore riferendosi ad una delle pagine più tristi della storia del nostro Paese.
‘I rischi legati all’attività clandestina, aumentarono con l’arrivo del terrorismo, quando iniziarono a morire i primi colleghi, e tra loro qualche carbonaro impegnato professionalmente – dice Balsamà – . Erano assaliti dalla paura di poter anch’essi diventare degli obiettivi a causa del loro impegno politico: si dovevano guardare dagli operai e dagli studenti in piazza, dai terroristi e dal ministero dell’Interno, che li teneva d’occhio. Tuttavia non si fermarono dinanzi a nessun ostacolo, consapevoli del consenso e dell’appoggio dei colleghi’.
‘Il momento della svolta, tra i tanti raccontati nel libro, arriva quando i Carbonari comprendono che non era sufficiente il solo consenso dei colleghi, ma che era necessario coinvolgere la società civile, il mondo politico e i sindacati confederali. Una strategia che con il tempo si rivelò vincente – spiega ancora l’autore – La svolta arrivò con il moltiplicarsi di questi incontri, riservati e clandestini, con parlamentari ed esponenti di tutte le forze politiche e sindacali, non permettendo mai a nessuno la strumentalizzazione del loro movimento. Tra i loro obiettivi anche quello di portare a conoscenza della gente che quelle forze di polizia, di scelbiana memoria, sul piano organizzativo, erano inadeguate ed impreparate alle esigenze del tempo, del Paese e alle sfide che lo Stato doveva affrontare, tra cui il terrorismo’.
In questa dura e lunga lotta si distigue una figura che Balsamà vuole ricordare e che ritiene centrale e fondamentale per l’esito della storia: ‘Noi poliziotti senza un giornalista come Franco Fedeli, non avremmo mai potuto condurre quella pacifica rivoluzione democratica. In quegli anni, la rivista ‘Ordine Pubblico’, con il suo lungimirante direttore, rappresentò un elemento dirompente per abbattere il sistema ormai anacronistico. Inizialmente Fedeli, attraverso le pagine del suo giornale, aveva dato vita ad un dibattito sulle varie proposte di riforma dell’apparato di pubblica sicurezza. Poi a contatto con il nostro mondo si rese conto che andava cambiato per cambiare la società. Dall’esterno divenne il regista di questo cambiamento. In modo elegante e da ex partigiano, abituato alla clandestinità, costituì con il suo giornale l’unica valvola di sfogo delle quotidiane frustrazioni dei poliziotti, mettendo a nudo le loro drammatiche condizioni di vita e gli abusi da loro quotidianamente subiti. Fu un uomo coraggioso, carismatico a cui la Polizia deve tanto. Quel Caronte che ci traghettò dalla sponda dell’oppressione a quella della libertà’.
Passando attraverso decine di incontri clandestini, i primi tentativi di raccontare al mondo la realtà quotidiana dei poliziotti, proteste improvvisate seguite da repressioni e indagini interne, le riunioni con sindacati e politici e i primi ufficiali che si schierano apertamente con i Carbonari ‘il nostro sogno si realizzò il primo aprile del 1981 con la riforma che sancì la smilitarizzazione della Polizia e con essa la conquista del sindacato. Dalle ceneri del Corpo della Guardie di Pubblica Sicurezza, nacque finalmente la Polizia di Stato; le stellette della divisa, simbolo della condizione militare, lasciarono il posto alle mostrine raffiguranti fiamme d’oro su fondo cremisi’, recita il protagonista del romanzo.
‘I contenuti di questo libro sono ancora oggi di estrema attualità. Anche in questi ultimi giorni si parla di gestione dell’ordine pubblico e della piazza. I recenti avvenimenti ci fanno riflettere sugli sforzi posti in essere dai Carbonari, da questi uomini decisi e determinati che, con dignità, e nel rispetto dell’istituzione che rappresentavano offrirono il loro contributo per la costruzione di una nuova e diversa politica della sicurezza pubblica, desiderosi di abbattere quel muro di diffidenza che li separava dalla società civile. Conquiste di questi uomini coraggiosi che se non facciamo attenzione rischiano oggi di essere vanificate’, sottolinea Balsamà.
‘All’epoca i poliziotti, considerati proletari dallo stesso Pasolini in una sua celebre poesia, avevano cominciato a dialogare con gli operai e gli studenti per spiegare di non essere i loro antagonisti nelle piazze, di non rappresentare la loro controparte, ma semplici lavoratori. Dopo la diffidenza iniziale, si aprì il dialogo. Iniziò quel confronto che era divenuto improcrastinabile in un periodo storico caratterizzato da continui scioperi. Adesso questo muro di diffidenza rischia di rialzarsi – aggiunge – Può accadere che una situazione sfugga di mano, ma la polizia di oggi non è quella di allora. Come ha detto il ministro dell’Interno Piantedosi la gestione dell’ordine pubblico resta democratica, non è cambiata. I cittadini devono comprendere che i poliziotti svolgono un ruolo fondamentale per assicurare ordine e sicurezza e sono sempre al loro fianco, per assicurare l’esercizio dei loro diritti, di quegli stessi diritti per i quali i nostri carbonari hanno instancabilmente lottato’.