Giovani industriali: Lavoro? Diritto e dovere
Innovazione unica strada per il futuro

56

Si conclude oggi il XXIX convegno organizzato da Capri per Napoli a Città della Scienza. Gli under 40 di Confindustria, nel corso dei due giorni di analisi, tracciano le linee di Si conclude oggi il XXIX convegno organizzato da Capri per Napoli a Città della Scienza. Gli under 40 di Confindustria, nel corso dei due giorni di analisi, tracciano le linee di quanto è stato fatto, di buono e non, da un anno a questa parte. Città della Scienza ancora una volta diventa luogo simbolo del rilancio, ma stavolta assume un risalto nazionale, ponendo così in primo piano anche le questioni che riguardano in particolare l’industria e l’economia meridionale. Ad aprire la seconda e ultima giornata di lavori è Stefania Giacci, presidente del Comitato Interregionale Mezzogiorno dei Giovani Industriali: “Siamo tornati a Napoli per completare il lavoro iniziato l’anno scorso”. Il presidente inizia subito ponendo l’accento sui “tanti distretti industriali che hanno visto inserirsi gli investitori stranieri, i quali hanno fagocitato tutto. Ci vuole un paese con un sistema fiscale snello e più chiaro. Abbiamo bisogno di un paese più moderno. Favoriamo la premiazione del merito, e non la punizione repressiva. Per le imprese – prosegue la Giacci – è un diritto creare lavoro e per i lavoratori è un dovere lavorare. Non nascondiamoci dietro alle ideologie: è il momento di cambiare. I problemi di oggi affondano le loro radici in un passato non troppo lontano. Ma la speranza deve essere viva. Lo dobbiamo ai tanti disoccupati e ai tanti imprenditori rimasti senza azienda”, conclude. Semestre italiano a Bruxelles, una grande opportunità “C’è un filo conduttore che lega il semestre europeo di presidenza italiana e l’expo di Milano. È una grande opportunità per il settore agroalimentare”. Così il ministro dell Salute Beatrice Lorenzin dal palco di Città della Scienza. “Dobbiamo rafforzare i sistemi di ispezione della filiera. Oggi il biomedico – prosegue – produce l’11% del nostro Pil. Può crescere ulteriormente. In questo momento l’europa non è competitiva rispetto al resto del mondo nel campo medico. Dobbiamo vincere la sfida di horizon 2020: sono previsti 80 miliardi di investimenti e il 10% di questi saranno dati all’italia. È una grande opportunità. L’innovazione – dice il ministro – è al centro dei discorsi del semestre italiano per quanto riguarda il campo della medicina. Abbiamo università, talenti e imprenditori qualificati. Bisogna dare la possibilità ai nostri cittadini di avere le migliori cure possibili”. La Lorenzin individua un importante dato generazionale: “quando si è giovani si fa tutto con più energia, sia da imprenditori che da politici. Non piangiamoci più addosso, dobbiamo combattere per il futuro dei nostri figli”. Start Up, un fenomeno fantastico Un punto sulla situazione dell’industria italiana. Ci pensano Dario Di Vico del Corriere della Sera e Gianfranco Viesti dell’Università di Bari, coautori del volume “Cacciavite, robot e tablet”. “Credo che ci siano cose che vanno avanti da sole: l’esempio viene proprio dalle imprese”. Secondo Di Vico, infatti, “dal mondo istituzionale non arriva un grande aiuto. La politica si dimentica delle imprese: c’è disattenzione. Le start-up sono un fenomeno fantastico che lancia segnali di speranza, ma anche qua, perché dalle università non nascono dei buoni spin-off? Ci vorrebbero professori e studenti che si mettono insieme per far partire un progetto d’impresa”. “Per me è arrivato il momento – dice Viesti – di fare una seria politica industriale. Perché? Perché moltissime imprese ce la fanno, ma altrettante no. La politica industriale va fatta come la fanno anche gli altri paesi europei. Lo stato non deve sovrapporsi alle imprese, su questo sono d’accordo con di vico. Ma le imprese – prosegue – vanno aiutate soprattutto per quanto riguarda la fortmazione di manodopera qualificata. Noi non possiamo fare a meno dell’industria. La politica industriale non è una legge o un decreto, ma un processo. L’industria italiana ha bisogno di buone imprese in tutti i settori. Io sono molto preoccupato per i nostri tempi. Facciamo squadra: è l’unico modo per sopravvivere”. Esempi di successo: Mad in Italy Nel corso dell’incontro un panel viene dedicato ad esempi di imprese, idee ed imprenditori, che sono riusciti ad avere successo anche in un momento particolarmente duro come questo. Ad introdurli ci pensa il presidente di Piccola Industria di Confindustria, Alberto Baban: “Oggi l’attenzione si è spostata dal prodotto alla spiegazione dello stesso. Bisogna sapersi presentare bene. La fase di intermediazione è importante, la digitalizzazione ci dice che il mercato non può avere più confini. ‘I’ come intermediazione ma anche come innovazione. Napoli è una base importante per ripartire. Le condizioni delle imprese sono sempre più difficili, ma non dobbiamo puntare a sopravvivere: dobbiamo vivere”. Il primo degli esempi è quello di Luciana Delle Donne, fondatrice di Made in carcere. “Dopo 22 anni in cui avevo avuto molto successo nel mondo della finanza, ho scelto di ridare le fortune avute nella vita dedicandomi ai carcerati. Faccio in modo – continua – di mettere in connessione questo mondo con quello delle imprese. Diamo la possibilità ai carcerati di guadagnare e sostenere la famiglia che si trova all’esterno. È un modello di impresa sociale che guarda al benessere della persona. L’impresa si fa anche dal sociale. Puntiamo sul benessere delle persone. Creatività e innovazione per ripartire”, conclude Luciana Delle Donne. Altro esempio di impresa virtuosa viene da Harmont & Blaine e dal suo presidente, Domenico Menniti: “La mia azienda? 12 anni fa eravamo in 8. siamo partiti da questo territorio per poi andare lontano. Sviluppo un fatturato da 9 miliardi di dollari. In questo momento siamo presenti in 54 paesi nel mondo“. Menniti, però, non si ferma qui, “l’obiettivo è triplicare il fatturato nei prossimi 5 anni. Bisogna anche rischiare a volte. Sono legato alle mie radici e su questo non c’è dubbio. Un buon imprenditore deve avere fiuto e testa. Dobbiamo crescere nelle esportazioni e farle lievitare nel confronto soprattutto con la Germania. Il trattato di libero scambio può rappresentare uno o due punti di Pil. Abbiamo un sistema bancario carente nel sostenere imprese e famiglie. Ragioniamo in tema di mercato globale, avendo una visione allargata”. Chiude il panel l’intervento di Luigi Tassone, presidente di Personal Factory, secondo cui “per fare imprersa ci vuole una grande voglia di fare, non fermandosi alle prime difficoltà”. Lavori in corso, nuove idee per lo sviluppo Come incentivare, in concreto, le dinamiche di sviluppo legate al lavoro? Secondo Cetti Galante, ad di Intoo, “gli ammortizzatori sociali lunghi non aiutano i lavoratori a rientrare sul mercato del lavoro. Non li incentivano. Le persone non devono sedersi sugli ammortizzatori. Un suggerimento? Lavoriamo in prevenzione. Le aziende spesso licenziano perchè non sanno come riqualificare i propri lavoratori. Bisogna dare loro nuove competenze”. L’assessore al Lavoro della Regione Campania Severino Nappi, invece, sfida il sindacato “a fare regole diverse per quanto riguarda il mercato del lavoro. Pensiamo al fondo garanzia giovani: questo è un esempio che testimonia come si possa guardare al futuro”. Un esempio concreto viene anche dalla provincia di Bologna, precisamente da Borgo Panigale. A raccontarlo è Mario Morgese, responsabile alle relazioni industriali di Ducati Motor: “Nel 2012 il gruppo Wolkswagen-Audi ha acquisito la Ducati. Da qui è cambiato tutto. I lavoratori che devono partecipare in prima persona ai risultati dell’azienda: è questa l’idea della nostra azienda. Noi facciamo per i nostri dipendenti una sorta di contratto di partecipazione alla vita dell’azienda. Noi facciamo un sistema a turni dove i lavoratori lavorano tre giorni alla settimana”. Riorganizzazione aziendale per la salvaguardia del lavoro, un tema centrale per il dg delle risorse umane di Unipol, Giuseppe Santella: “I risultati sono sempre frutto del lavoro quotidiano. L’azienda unipol ha cercato di riorganizzarsi: abbiamo salvato migliaia di posti di lavoro con scelte coraggiose. Il walfare, con gli ammortizzatori sociali, può essere a un certo punto anche un’ostacolo alla crescita. Pensiamo a chi non ha lavoro: ognuno deve fare con coscienza la propria parte. Bisogna pensare un po di più al bene comune e meno ai propri interessi”. Un’altra Italia, l’emigrazone dei giovani A volte, per riuscire a dare una svolta alla propria carriera è necessario fare le valige. Il fenomeno della “fuga dei cervelli” non accenna ad arrestarsi e non sono pochi quelli che decidono di andare via, seppur a malincuore. Fuga o non fuga, il dato occupazionale è chiaro e spesso i giovani talenti italiani hanno maggiori prospettive all’estero che nella terra natia. Nel corso dell’incontro di Città della Scienza Christian Greco, direttore del Museo egizio di Torino, e Ferdinando Giugliano del Financial Times raccontano le loro esperienze. “Ho lasciato il mio paese per andare a fare esperienza in Olanda – dice Greco – . È un esperienza che doveva durare 7 mesi. È durata 17 anni. Da 6 mesi sono direttore del museo egizio di Torino. Ho voluto tornare perché sono stanco di sentire parlare del mio paese sempre in termini negativi. Anche il museo è un’impresa che fa cultura, ed in particolare il museo egizio di Torino ha una portata internazionale. Il mio è un lavoro globale – continua il direttore – nel mio caso non si può parlare di “cervello ritornato”. Si dice che siamo i primi per il patrimonio dei beni culturali. Siamo, invece, gli ultimi in ricerca. L’obiettivo è fare del museo egizio uno dei primi in europa da questo punto di vista”. Anche Ferdinando Giugliano non si riconosce come cervello in fuga, “anche se lavoro fuori. Ho solo avuto una serie di opportunità che mi hanno portato altrove, e le ho sfruttate. Oggi in Italia si pensa troppo poco al problema “emigrazione” dei giovani. Si pensa solo all’immigrazione. Cosi il confronto con gli altri paesi lo perderemo sempre. Dobbiamo ragionare – prosegue Giugliano – in ottica globale: oltre a far uscire buoni emigrati, facciamo entrare anche buoni immigrati qualificati. Per un imprenditore italiano che esce, ce ne deve essere un altro straniero e bravo che viene a prendere il suo posto. All’estero contano solo le competenze che hai. In italia si assiste ancora a degli strani magheggi: questo è deleterio per la credibilità del mercato del lavoro italiano”. Ci salverà la bellezza, e anche il gusto Cosa può salvare l’industria italiana nella competizione globale? A rispondere è il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti: “Il concetto di meritocrazia è possibile solo se tutti partono dalla stessa linea. L’Italia ha un patrimonio di biodiversità enorme. La mia realtà esporta 33 miliardi di agroalimentare. I nostri prodotti italiani piacciono molto all’estero. Non basta la bellezza per salvare l’italia. Ci vuole la responsabilità di tutti”. Un Paese sfiduciato che indugia Preoccupante, ma denso di stimoli. Si presenta così, secondo il leader di Confindustria Giorgio Squinzi, lo scenario attuale per le imprese tricolori. Il presidente degli industriali interviene per concludere il convegno “Fatti. In Italia” analizzando “l’immagine di un Paese sfiduciato, ma ancora ricco di risorse, che sa di non potersi fermare, ma indugia ancora sulla direzione da prendere”. Per Squinzi il Paese ha tre record “non invidiabili: la maggiore pressione fiscale sui redditi da lavoro, il più alto tasso di evasione fiscale e il debito pubblico proporzionalmente più elevato di tutta l’Unione europea”. Questo il quadro della situazione al sesto anno di una crisi di cui non si conoscono ancora gli esiti. “Affrontiamo una realtà dinamica, talvolta caotica, – prosegue il presidente di Confindustria – diversa da come abbiamo sempre immaginato, che sfugge ai tradizionali strumenti di osservazione. Vale la pena domandarsi se non sia giunto il momento di cambiare punto di osservazione e abbandonare alcune nostre certezze consolidate, a partire dall’entusiasmo acritico per la globalizzazione, come via a una crescita inarrestabile”. E la soluzione? Secondo Squinzi si deve partire da una “buona politica, e un Paese in cui i diversi soggetti e poteri ritrovino ruoli, responsabilità e spirito di collaborazione in ordine all’obiettivo del bene comune. Siamo all’inizio di una stagione di ridimensionamento e ristrutturazione del perimetro pubblico che comporterà il ripensamento del nostro modello di sviluppo e di coesione sociale, storicamente stimolato dal ruolo della spesa pubblica. Tutto ciò – conclude – inciderà sui comportamenti e sugli stili di vita. Tutti dovranno contare un po’ meno sulla mano pubblica e non potrà farci che bene”.