Commemorate stanotte 30 anni dopo, con una cerimonia alle 1.04, ora esatta dell’esplosione, le vittime della strage mafiosa dei Georgofili a Firenze del 27 maggio 1993. Fabrizio Nencioni, la moglie Angela Fiume, le bimbe loro figlie Caterina e Nadia, lo studente Dario Capolicchio, tutti rimasti uccisi nello scoppio dell’autobomba di Cosa Nostra, sono state ricordate dalle autorità e da centinaia di persone con la deposizione di una corona nel punto dell’esplosione. Il suono della Martinella, la campana civica fiorentina, e l’esecuzione del Silenzio hanno accompagnato la cerimonia cui hanno assistito fra le autorità politiche il sindaco Dario Nardella, il presidente della Regione Eugenio Giani, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro. Dopo un lungo momento di raccoglimento, c’è stato un lungo applauso. Presenti familiari e parenti delle vittime, esponenti delle istituzioni e della magistratura, e moltissimi cittadini che hanno seguito il corteo aperto dal Gonfalone della città. Il corteo da piazza della Signoria si è mosso per raggiungere via dei Georgofili, quindi, celebrato l’anniversario dei 30 anni della strage, ha proseguito per il piazzale degli Uffizi dove c’è stato un altro omaggio, quello alla Quarto Savona Quindici, l’auto di scorta al giudice Falcone nella strage di Capaci e che viene esposta a Firenze in questi giorni. “Trent’anni – ha detto il sindaco Nardella prima del corteo – segnano un anniversario a cifra tonda che è importante perché ci spinge a ripercorrere tutto quello che Firenze ha saputo fare da allora come città e anche coi processi che hanno permesso di individuare i responsabili. Ma anche ci spinge a capire cosa ha significato lo scontro della mafia contro o Stato, le istituzioni, e a parlarne alle future generazioni. La mafia c’è ancora, oggi si annida e attecchisce dove c’è economia sana. La battaglia non è finita e va portata avanti proprio per le nuove generazioni”.
Il presidente della Regione Eugenio Giani, prima di prendere parte al corteo per andare in via di Georgofili, ha mostrato una foto che lo ritrae nel 1993 sul luogo dell’attentato insieme al presidente dell’epoca della società del gas. “Lo avevo chiamato sul posto – ha rievocato Giani, che al tempo era amministratore comunale – perché nelle prime ore si pensava a un guasto alla conduttura del gas, ancora non era chiara la causa dell’esplosione. Quando cominciò ad essere spiegato che si trattava di un attentato e addirittura di mafia, ciò cambiò il volto di Firenze. La città ebbe una reazione, ricordo lo sdegno, le manifestazioni, le assemblee nelle scuole, in cui si ribadiva che Firenze non è città di mafia e che respingeva la barbarie. Nella tragedia avemmo la fortuna di avere in città magistrati coraggiosi. Le loro indagini portarono a scoprire i nomi che ancora oggi ritornano, su tutti quelli di Riina e di Messina Denaro, le loro ricostruzioni già nel processo di Firenze delinearono con le condanne le responsabilità di Cosa Nostra. Giustizia venne fatta anche se i mandanti restano ancora in ombra”. Secondo Luigi Dainelli, zio delle bambine Nencioni, cognato dei loro genitori, “manca ancora un 10 per cento di verità. Con gli ergastoli si raggiunse gran parte della verità di questo attentato, ma mancano i mandanti che hanno suggerito questi obiettivi fuori dalla Sicilia. Secondo me sarà difficile raggiungerli specie finché saranno in vita coloro che sono collusi. Io speravo che con la sua cattura, Messina Denaro decidesse di parlare, ma non lo fa e mi sembra difficile che lo farà”. Dainelli ha ricordato la domenica prima dell’attentato del 27 maggio 1993. “C’era stato il battesimo di Caterina (la bimba morì a soli 50 giorni, ndr), facemmo una grande festa a La Romola (il pase della famiglia Nencioni, ndr), c’erano tutti i parenti e gli amici, Nadia era contenta di questa festa. Ci fece leggere su un foglietto la sua poesia sul Tramonto, che poi copiò sul quaderno il giorno dopo. Ecco, ricordo quel giorno di festa, e quelle bambine, la contentezza della più grande. La domenica successiva, invece, eravamo finiti dentro un dramma. Per noi familiari il pensiero che abbiamo è il solito di 30 anni fa, noi non abbiamo bisogno degli anniversari, anche se sappiamo che servono per il ricordo”.