Geografia della Innovazione oltre il Big Gap

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Università degli Studi di Napoli Federico II, CeRITT

Nell’epoca attuale, in cui risultiamo tutti, persone e cose (con l’IoT Internet ofThing) strettamente interconessi digitalmente in rete,si ripropone ciclicamente il tema sulla opportunità della interazione fisica tra soggetti ed entità,

che in ambito scientifico viene declinato rispetto alla valutazione di influenza della variabile nota come Prossimità Geografica nei processi territoriali di co-creazione di valore.

Da alcuni anni, l’incremento della larghezza di banda, che ormai rappresenta una nota a tutti unità di misura della infrastruttura di trasporto delle informazioni, ha generato correnti di pensiero atte a ritenere imprese, lavoratori, università e centri di ricerca (utilizzo un aggettivo abituale in fisica) invarianti per posizione geografica. Nel suo libro Triumphof the CityEdward Glaeser esprime l’affermazione “la geografia è morta”, così come un altro autore, Thomas Friedman, parla di un “mondo piatto”. Tali concetti vanno proprio nella direzione di tale invarianza.

Tali statement sono però, di fatto, smentiti sia da modelli teorici e sia da casi reali di sperimentazione che li validano. Un esempio lampante, utilizzato di sovente, è dato dal fatto che alcune delle principali multinazionali di settori hitech preferiscono corrispondere uno stipendio medio di 170.000 $ ad un analista programmatore nella Silicon Valley piuttosto che pagarne 35.000 $ ad uno stesso profilo professionale in India, dove pure le qualità individuali in campo informatico sono elevate.E’ stato infatti teorizzato esistere quello che prende il nome di paradigma della eco-innovazione

Secondo tale modello non dobbiamo pensare ai nodi di questa rete che ormai, come detto, ci interconnette, come a monadi, a sistemi embedded, in grado di generare innovazione attraverso le sole risorse endogene, ma ritenere che tali nodi debbano poter scambiare energia innovativa verso l’esterno. In tale ottica, il grado di magliatura della rete, nella quale i suoi rami devono essere costituiti dalle interazioni fisiche di scambio sociale e non da quelle digitali, determina il rendimento dello scambio ed anche la sua intensità.

Uno dei princìpi alla base del paradigma della eco-innovazione trova fondamento nel cosiddetto effetto moltiplicatore, in base al quale, mediamente, per ogni nuovo posto di lavoro in un settore ad alta tecnologia, ne derivano 5 nuovi posti di lavoro generalisti (artigiani, insegnanti, avvocati, commercianti, etc..).Tale effetto aveva validità anche in ambiti più tradizionali, come quelli industriali e manifatturieri ma il coefficiente di amplificazione non superva il fattore 3.

Corollario negativo, però, del paradigma della eco-innovazione è la divergenza, o come l’hanno definita gli studiosi americani, la grande divergenza, il Big Gap.Ossia territori, aree geografiche in cui si incrementa la concentrazione di attività ad alta tecnologia,risorse umane qualificate con titoli di studio elevati, diventano sempre più innovative a scapito di altre aree che invece subiscono un trend opposto diventando sempre più povere di risorse umane, materiali, produttive etc.

Con riferimento al trend positivo di sviluppo innovativo legato alla economia della conoscenza,un esempio tipico americano è quello della città di Boston, mentre, purtroppo, come paradigma del trend di decrescita di città rimaste ancorate a vecchi sistemi produttivi, si può pensare alla città di Detroit, una volta faro nel campo del settore produttivo auto motive, che ha dichiarato di recente lo stato di default.

Lo scenario attuale sembra prestarsi, quindi, a correnti di pensiero contrapposte fino al punto di sembrare antitetiche, ma adun’analisi più attenta si capisce che esse sono entrambe veritiere e non in contraddizione, ma valide su scale diverse. In fisica la meccanica classica spiega fenomeni macroscopici che la meccanica quantistica non riuscirebbe a spiegare e viceversa nel campo microscopico.

Quanto sostenuto da autori come Glaeser, trova riscontro, infatti, in quello che è definito un processo di convergenza nel quale l’incremento generalizzato di innovazione tecnologica tende a smussare le difformità tra sistemi sociali, economici e produttivi. Tale effetto però è riscontrabile solo su scala globale: Paesi come la Cina, l’India, alcuni stati dell’Africa, la Polonia (di cui è noto il recente piano di adozione di tecnologie smart in campo trasportistico grazie ai grants dell’Unione Europea ricevuti a seguito di una buona progettazione) e la Turchia, stanno recuperando terreno verso Paesi più industrializzati e tecnologici.

Mentre allo stesso tempo, la grande divergenza trova riscontro su scala locale e si concretizza nei termini di confronto tra città e città, regione e regione, area geografica ed area geografica.