Fotografia, non solo Migrant Mother: tributo napoletano a Dorothea Lange

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A guardare Migrant Mother risulta difficile distogliere lo sguardo. Strano, se si pensa che lo scatto, capolavoro della reporter Dorothea Lange, risale al 1936 e sottolinea la difficile situazione delle famiglie americane colpite dalla durissima depressione di quegli anni. Insomma, non è tema vicino e caro a tutti, quello della Grande Depressione. Nonostante ciò la foto, che all’epoca diede uno scossone all’immobilismo del governo statunitense, risulta attualissima e assolutamente magnetica. Quella sconosciuta coperta di cenci ce la si immagina come una madonna moderna, una chioccia in cui i volti dei figli sprofondano per sfuggire da polvere e miseria. Ecco che cos’è un’icona, il potere trasversale di un’immagine.

 

955px Dorothea Lange Resettled farm child New Mexico 1935Ed è così che Martedì 26 Aprile 2016 il Madre | Museo d’Arte Contemporanea Donna Regina ha aperto le sue porte a La Ricerca Fotografica di Dorothea Lange, conferenza che è andata raccontando lo straordinario lavoro della celebre artista. L’incontro, moderato da Andrea Viliani, direttore generale del museo, e con la presenza di Colombia Barosse, console generale degli Stai Uniti D’America per il Sud Italia, si è articolato sul dialogo tra Mimmo Jodice, uno tra i più amati fotografi italiani, e Dyanna Taylor, nipote della Lange e autrice del documentarioDorothea Lange: Grub a Hunk  of Lightning, di cui sono stati proiettati per l’occasione alcuni brevi quanto intensi  frammenti. Viene fuori il ritratto di una donna forte che guarda in faccia la realtà senza abbellimenti e con un innato senso di umanità. “Sentiva” spiega la Taylor “il bisogno di perdersi, di arretrare per fare in modo che la macchina fotografica vedesse per lei, come se lei fosse cieca. E sentiva, soprattutto, l’esigenza di spogliarsi da ogni pregiudizio per giungere alla verità“. Certo, non era una donna semplice Dorothea e la spigolosità di certi suoi tratti si manifestava soprattutto nel proprio meticoloso lavoro. 

 

Lange MigrantMother02It’s not good enough!” la si sente ripetere in alcune scene del documentario, mentre guarda una suo vecchio scatto. Ma è del resto questo impegno, tale scrupolosità a rendere un fotografo un grande fotografo. A rivelarcelo è Mimmo Jodice: “Chi mi conosce sa che io sono un sognatore e che nel mio lavoro spiriti guida sono per me il surreale e il metafisico. Ma tra gli anni ’60 e ’70 mi sono immerso nella realtà umana e Dorothea Lange è diventata per me un riferimento importante. Credo che Migrant Mother sia una delle immagini più belle della fotografia sociale americana ed internazionale“. Un timelessness, come spiega Viliani, ovvero un’immagine senza tempo che trascende il suo significato originario per assimilarne altri, divenendo una delle fotografie iconiche del XX secolo. Ma il dibattito non è stato solo un’ occasione per celebrare un esempio di grande fotografia, ma anche un preambolo di quella che sarà l’esposizione che il Madre dedicherà a Maggio 2016 a Mimmo Jodice e ai suoi lavori degli anni ’60-’70. E’ sempre così quando si parla di arte, c’è sempre un fil rouge, una traccia, un seme che dal suo albero vola lontano per germogliare altrove.