Formazione vuol dire dare forma intelligente all’azione

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La cipolla La cipolla è un’altra cosa. Interiora non ne ha. Completamente cipolla Fino alla cipollità.Cipolluta di fuori, cipollosa fino al cuore, potrebbe guardarsi dentro senza provare timore. In noi ignoto e selve di pelle appena coperti, interni d’inferno, violenta anatomia, La cipolla La cipolla è un’altra cosa. Interiora non ne ha. Completamente cipolla Fino alla cipollità.Cipolluta di fuori, cipollosa fino al cuore, potrebbe guardarsi dentro senza provare timore. In noi ignoto e selve di pelle appena coperti, interni d’inferno, violenta anatomia, ma nella cipolla – cipolla, non visceri ritorti. Lei più e più volte nuda, fin nel fondo e così via. Coerente è la cipolla, riuscita è la cipolla. Nell’una ecco sta l’altra, nella maggiore la minore, nella seguente la successiva, cioè la terza e la quarta. Una centripeta fuga. Un’eco in coro composta. La cipolla, d’accordo: il più bel ventre del mondo. A propria lode di aureole da sé si avvolge in tondo.In noi – grasso, nervi, vene, muchi e secrezione. E a noi resta negata l’idiozia della perfezione. Wislawa Szymborska


Da una ricerca Asfor emerge che resta alta la fiducia nella formazione e che nel 2014 il 70% delle imprese manterrà stabili o aumenterà gli investimenti nello sviluppo delle risorse interne. C’è anche il riconoscimento del successo dei fondi interprofessionali. Bene, è una buona notizia, d’altra parte è anche ovvio: sviluppo del business e sviluppo del people, sono, per forza, due facce della stessa medaglia. Lo sviluppo del capitale umano è un processo di trasformazione di risorse potenziali (non espresse) in prestazioni (espresse) attualizzate e questo avviene attraverso l’apprendimento che dà una forma all’azione. Una forma che contiene competenza intesa come intreccio di conoscenze, abilità e atteggiamenti di valore rispetto allo scopo del mestiere che uno svolge. Le aziende e i sistemi in genere (tranne la burocrazia e i mondi del privilegio) hanno capito che il vero patrimonio è dato dai comportamenti di qualità e che questi sono ottenibili attraverso la conoscenza in azione ovvero attraverso le prassi. L’apprendimento avviene nel momento in cui c’è cambiamento e solo nella prassi ciò può accadere. L’apprendimento è un saper fare che contiene un sapere, un voler sapere, un voler fare e un voler e saper essere. Il tutto naturalmente in termini complessi e non così semplici come la formulazione appena fatta può indicare. La consapevolezza strategica, quindi, richiede di usare la formazione come fase del processo di sviluppo del sistema, anzi, come elemento indispensabile. La realizzazione strategica dipende dai comportamenti, sono questi che fanno accadere le cose. Nel processo formativo ci sono due stadi interdipendenti: il primo indica le potenzialità ad apprendere del soggetto e il secondo la possibilità di far usare ciò che si è appreso per farlo apprendere veramente: se non si usa, non si apprende e se non si apprende, non si cambia e se non si cambia, non si sviluppa. Tutto questo richiede ripeto, la capacità di pensare strategicamente e in prospettiva, dove processi formativi e processi organizzativi sono «alleati» per, dinamicamente, produrre trasformazioni innovative incrementali o di svolta. Questo avviene in aula e sul lavoro. Fare formazione è facile ma cambiare è difficile perché richiede una ristrutturazione percettiva delle parti del mondo che osserviamo. Richiede la capacità di acquisire modelli interpretativi per spiegare diversamente le cose e la conseguente capacità di modificare abitudini mentali e comportamenti operativi spesso consolidati e anche se inadeguati, tutto sommato rassicuranti. Richiede la rinuncia e la messa in discussione delle sicurezze su cui si è investito, occorre che si sappia accettare il «rischio» del proprio divenire: ciò che non si è più, ciò che non si vuole essere più e ciò che ancora non si è diventati. Che contiene anche la consapevolezza di quello che mai si diventerà accanto a ciò che invece potrà cambiare. Capire questo processo vuole dire accettare la «mancanza» come fisiologica e sopportare che ogni apprendimento, più che «riempire», rileva ed evidenzia quanto vasto sia ciò che manca. La formazione di qualità deve aiutare a far capire il vantaggio di questa mancanza dinamica, tanto più necessaria quanto più si accetta questa come una condizione fisiologica della complessità. Quello che manca, quindi, è uno dei prodotti dell’apprendimento che produce nuovi interrogativi, nuove esigenze, nuove possibilità. La formazione alla mancanza richiede di saper accettare l’urto con il malessere iniziale in chi apprende. Spesso la formazione è mistificatoria: promette acquisizioni definitive, preoccupata com’è del consenso, vuole togliere dubbi e riempire le mancanze. Vuole dare sicurezze e certezze. Non può essere così nel nostro tempo, occorre formare all’incertezza aumentando la sicurezza fondata sull’apprendimento dinamico, consapevoli che il cambiamento, e quindi l’apprendimento, sono permanenti: sono uno stato e non uno stadio tra fasi. Quindi se il cambiamento è permanente, è chiaro che anche l’incertezza lo è, e può essere governata solo da soggetti che imparano e agiscono quello che imparano. Sembra che stiamo andando verso questa direzione, è una buona notizia. Certo, si deve far fuori l’incompetenza qualificata dei burocrati.