Fondi per la cultura, il progetto non è un elenco di azioni

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Il gioco della pignatta (per i diversamente meridionali “pentolaccia”) è cominciato, siamo tutti in attesa della pioggia di euro che la pentolaccia (per i diversamente nordici “pignatta”), una volta centrata, lascerà cadere sulle teste degli italiani. E’ come quando si fantastica sulla vincita alla lotteria. Farò, dirò, eseguirò, migliorerò. I binari sui quali bisognerà muoversi sono tracciati, da tempo, da chi elargirà il debito. Cultura e turismo nel ruolo dei parenti di secondo grado, ma tanto bravi e volenterosi. Il mistero avvolge la politica che sarà attuata per questi settori. Dovunque elenchi di azioni, di misure. I governanti si affannino a ripetere che si attuerà, prima di tutto, la digitalizzazione e valorizzazione dei luoghi della cultura. Sir Biss, il serpentello, sussurrerebbe sardonicamente la domandina-ina-ina: come. Prego fornire elementi di progetto politico.
Il secondo punto della lista dei “farò“ è la realizzazione di piattaforme e strategie digitali per l’accesso al patrimonio culturale. Boom, novità in deflagrazione. I progetti saranno volti a incrementare, organizzare, integrare e conservare il patrimonio digitale di archivi, biblioteche, musei e in generale dei luoghi della cultura. Innovativo, perdinci. In barba a tutte le operazioni di digitalizzazione e informatizzazione di questo patrimonio di cui ogni tanto nel tempo e nello spazio si è annunciato l’avvento.
La determinazione n. 36 del 18 settembre 2017: Digital Library della cultura italiana. L’accordo di servizi ai sensi dell’art. 15. Il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale del 2005 circa. Il luminoso futuro digitale è praticamente dietro le spalle. N.B. Oltre la digitalizzazione c’è anche bisogno di figure professionali in grado di sviluppare politiche “ordinarie” di tutela/gestione del patrimonio culturale esistente. Tutto ciò è però relegato a qualche parola, vago concetto che non esprime un preciso compimento.
E’ prevista, udite udite, la rimozione delle barriere fisiche e cognitive in musei, biblioteche e archivi, Si riservano fondi per curare l’accessibilità. Figo. ll decreto del 28 marzo 2008, da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dispone, sorpresa delle sorprese, linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale. A questo argomento è dedicato l’Ambito VII dell’Atto di Indirizzo, riguardante i «rapporti del Museo con il Pubblico e relativi servizi», che si occupa dell’accesso al visitatore/utente e delle condizioni preliminari di accessibilità e fruibilità (raggiungibilità del sito, parcheggi, superamento delle barriere architettoniche all’entrata e all’uscita e nei percorsi interni), accoglienza, didattica. E poi ancora la rigenerazione dei borghi, sicurezza sismica, patrimonio culturale, rurale e religioso, la rava e la fava. Un critico gastronomico liquiderebbe il tutto definendolo Il minestrone del giorno prima. Futuro di debiti per progetti già vecchi. Quando vincere facile non è solo una pubblicità. I nostri musei hanno nei propri depositi opere d’arte su cui ogni tanto qualche direttore illuminato accende qualche faretto a tempo. Piccoli momenti di notorietà e poi di nuovo il buio delle polverose segrete. Una politica dei beni culturali avrebbe dovuto progettare l’azione per portare tutti questi beni alla luce del sole e alla dignità di un esposizione permanente. Sarebbe una prospettiva politica non azione meccanica da spuntare in un elenco. L’ingegnere idraulico progetta un sistema idrico immaginandone eventuali sviluppi e problematiche ed ha idea teorica del montaggio di un rubinetto e ne detta i tempi.
L’idraulico, che realizza l’impianto, monta tubi, bulloni, rubinetti secondo un disegno, un progetto che studia e realizza. Compiti diversi frutto di preparazioni diverse. Il secondo, seguendo le disposizioni del primo, realizza la sua visione strategica. Con buona pace delle protagoniste dell’antica villanella “ Il canto delle lavandaie “ l’elenco delle azioni previste per il settore cultura altro non è che il promemoria dell’idraulico che deve mettere in opera il progetto. La visione politica per l’utilizzo fondi per la cultura è stata confusa con un elenco. Rotterdam. Ci siamo: sta per aprire il Depot Boijmans Van Beuningen. E’ il primo deposito d’arte accessibile al pubblico in tutto il mondo. I nord europei lo hanno realizzato soddisfacendo in un colpo solo quasi tutti i punti previsti dal PNRR, senza neanche ricorrervi. Si trova accanto al Museum Boijmans Van Beuningen nel Museum Park di Rotterdam. In nessuna parte del mondo esiste un edificio del genere che, oltre a rendere pubblica la collezione del museo, offre anche una visione di ciò che avviene dietro le quinte dello stesso. Il Depot ospita anche collezioni private e aziendali. Opera d’arte totale, un Totaal kunstwerk per dirla con gli olandesi del meridione. Un icona della città. Il segno che resta non solo come costruito ma come simbolo del cambio di passo della cultura. Standing Ovation. Digitalizzazione, architettura sostenibile, autonomia energetica e rispetto del’ambiente. C’è tutto il famoso elenco, non manca nulla, ma tutto è coordinato in un progetto, che non è solo quello architettonico, ma quello della nuova cultura che si interseca con quella più antica da non dismettere mai. La costruzione ha la forma di un mezzo uovo sulla cui copertura ci sono, a 35 metri di altezza, un ristorante e un boschetto pensile con 75 betulle, un’oasi verde che contribuisce alla qualità dell’aria in città. La struttura è interamente rivestita di specchi che riflettono lo skyline di Rotterdam. I visitatori possono vedere 151000 oggetti raccolti insieme in vani portaoggetti con 5 climi diversi. Nell’edificio sono esposte tutte le attività che concorrono alla conservazione e alla gestione di una collezione. Magnifico esempio di politica per i beni culturali. Il tutto con basso consumo di energia, potevamo dubitarne. Gli impianti climatici manterranno costanti i livelli di temperatura e umidità funzionando con un sistema geotermico di sfruttamento del calore immagazzinato nel sottosuolo. Pannelli fotovoltaici di grandi dimensioni, installati sul tetto e quindi sempre esposti al sole, per garantire il fabbisogno di energia elettrica. E se il venenum è sempre in caudam, in fundo c’è il dulcis: due cisterne sotterranee per il recupero dell’acqua piovana, che sarà immagazzinata per irrigare, l’area verde circostante il Museo. Una vecchia pubblicità proponeva un solo prodotto per l’intera famiglia. Un unico progetto per tutte le esigenze dell’innovazione. Un intesa finanziaria fra pubblico e privato, che ha visto collaborare insieme il Consiglio comunale di Rotterdam, il Museo Boijmans Van Beuningen e lo Stichting De Verre Bergen – un’organizzazione filantropica che dal 2011 sostiene progetti per il miglioramento della qualità della vita in città -, oltre a donatori privati. Questi gli attori della realizzazione che potrebbe intitolarsi: l’unione fa la forza. Gli italiani del pubblico litigano con quelli del privato ed alla fine c’è il demiurgo che per far piacere a tutti non accontenta nessuno. A Rotterdam si è fatta politica. Invece di portare nelle nostre sale museali il contenuto dei depositi, curare di essi l’allestimento e l’accesso e, in quelle fasi, cablare digitalizzare e modernizzare il tutto. Il deposito diventa museo e factory. Warhol applaudirebbe. Un biglietto per il Depot costa 20 euro. Non c’è alcuna possibilità di entrare gratis. Il museo deposito produrrà ricchezza, lavoro e inciderà positivamente su tutta la vita cittadina e sul suo turismo. E i soldi non saranno stati una mancetta ma un vero investimento.