Flat tax vs imposta progressiva: e se la soluzione fossero entrambe?

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Il sistema fiscale è al centro dei progetti di riforma di ogni governo italiano che sia succeduto da qui a 50 anni. Dietro le diverse forme di imposizione si cela una sfilata di ideali e convinzioni politiche radicati nel tempo: un sistema connotato da progressività è il cavallo di battaglia della sinistra moderata e non, fin dagli anni ’80; l’imposta piatta, o flat tax, invenzione dell’americano Milton Friedman, Premio Nobel per l’Economia, è invece contraddistinta dal criterio della proporzionalità, ed è la panacea alle inefficienze del sistema tributario attuale consigliata dai governi di centrodestra (oggi riproposta dal leghista Matteo Salvini, ma provò già a stabilirla nel 2004, ma senza successo, l’allora Ministro dell’Economia del Governo Berlusconi Giulio Tremonti). La verità è che il criterio dell’efficienza, che dovrebbe distinguers i in ogni ambito dell’apparato statale, prescinde dalla scelta di un criterio di imposizione piuttosto che di un altro, poiché il benessere sociale non dovrebbe, consentitemi il condizionale, avere colore politico. L’attuale sistema impositivo si basa sull’utilizzo di cinque scaglioni di reddito (foto 1), accompagnato da una serie di detrazioni che dovrebbero garantire, assieme alle aliquote medie crescenti, proprio la progressività, ossia l’aumento del cuneo fiscale all’aumentare del reddito del contribuente. Sennonché il sistema fiscale a scaglioni mostra oggi più che mai le sue debolezze: l’evasione fiscale è ai massimi storici (180 miliardi di euro, dato Istat 2013), con solo il 4,33 % del reddito dichiarato proviene dal lavoro autonomo – come se tutti gli italiani lavorassero in fabbrica – il risparmio privato si è sensibilmente ridotto e i grandi e medi investimenti sono drasticamente calati, come dimostra la contrazione del PIL.

Intuitivamente, quando le aliquote medie degli scaglioni di reddito più alti sono troppo elevate, e quando la differenza impositiva tra uno scaglione e l’altro è così marcata, un soggetto razionale tenderà a trasformare il proprio lavoro con il tempo libero, ritenuto ora più conveniente, potrebbero dire gli economisti, utilizzando concetti come l’elasticità dell’offerta di lavoro o l’effetto sostituzione; oppure deciderà di dichiarare un guadagno inferiore a quello effettivo, che è quello che molto probabilme nte accade al giorno d’oggi. Ed è qui che interviene la soluzione dell’imposta piatta: la flat tax è un’imposta proporzionale in vigore perlopiù nei sistemi fiscali dei paesi a destra del globo (foto 2, in Europa su tutti i paesi dell’Est e quelli baltici), che presenta un aliquota media identica, e più bassa rispetto alla più alta di quelle del sistema a scaglioni, per tutte le fasce di reddito. Il carico fiscale è così ridistribuito in maniera equa, ma solo dal punto di vista matematico, e non sociale: i contribuenti con redditi posizionati nelle fasce basse del sistema impositivo si ritroverebbero così a sopportare un cuneo fiscale maggiore, e iniquo dal punto di vista verticale, rispetto a quello con il sistema a scaglioni. Di primo acchito il lettore potrà cogliere come entrambi i sistemi presentino peculiarità positive e non altrettanto, per cui, a rigor di logica , e ove fosse possibile, sarebbe da auspicare una sorta di “mixtum” tra i due: l’utilizzo di una flat tax a doppio scaglione, con aliquota media del 27,5 % da 17.500 a 75.000 euro, e del 35% dai 75.000 euro in su, con la compresenza di una no tax area per la fascia di reddito 0-17.500, ridurrebbe le inefficienze dell’attuale sistema: la progressività resterebbe in vita grazie all’esistenza di due scaglioni, e non di una sola aliquota come vuole la tradizionale flat tax, e alla no tax area, dove l’imposizione fiscale è zero nei limiti della fascia di reddito prescelta, e si incoraggerebbero allo stesso tempo così nuovamente risparmio e investimenti, come si ottiene sostituendo un sistema di deduzioni ad uno di detrazioni; d’altro canto, con l’abbassamento dell’ultima aliquota media e dell’avvicinamento dei due scaglioni, si renderebbe più sconveniente l’evasione. Non ci vuole di certo uno studioso della materia economica a dimostrare che l’evasione è nient’altro che un bilanciamento tra benefici e costi: da una parte il risparmio fiscale, dall’altra l’eventuale sanzione economica e penale, sommata alla probabilità di essere scoperti e all’avversione al rischio di un singolo individuo. Se si rende più conveniente pagare le tasse, e se non si creano grosse disparità tra le diverse possibilità di imposizione, il risparmio fiscale dell’evasione si abbassa, e dunque la sua desiderabilità.

“In medio stat virus” dicevano i filosofi scolastici medioevali, che sia anche questa volta quella mediana la soluzione giusta?