Farmaci e “fabbrica di proteine”, i 10 anni del Biogem. Zecchino: Eppure ci isolano

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Alla metafora del deserto ci è abituato ma non rassegnato. Renato Dulbecco del resto glielo ripeteva sempre, soprattutto nei non rari momenti di sconforto, “non conta il luogo, contano le persone, a fare la differenza sono solo i ricercatori”. A dieci anni dalla sua nascita il Biogem dimostra che anche nella campagna di Ariano Irpino è possibile fare ricerca biotecnologica avanzata. “Ieri sera mi ha chiamato il prorettore della New York University per confermarmi il loro interessamento a due nostri brevetti, uno sulla psoriasi l’altro sui farmaci chemioresistenti. Come tanti, dopo una breve visita, se ne era andato di qui dicendomi che non avrebbe mai immaginato di trovare una struttura così attrezzata”. Ortensio Zecchino, fondatore e presidente del Biogem, conserva l’entusiasmo degli inizi per una ragione molto semplice: “la scommessa si sta rivelando vincente”.   

Il valore della produzione del Biogem, tra servizi e prodotti, è passato dal milione e mezzo di euro del 2006 ai 6,5 milioni di oggi, i ricercatori da 14 a 52, gli studenti dei corsi di perfezionamento da 20 a 250. Alla vigilia della nuova edizione del meeting internazionale “Le Due Culture”, che dal 7 all’11 settembre vedrà scienziati (tra cui due Nobel) e intellettuali interrogarsi sui confini sempre più sfumati tra mondo umano e mondo animale, Zecchino pensa al lavoro svolto e, soprattutto, al da farsi. Non senza polemiche nei confronti di una politica distratta sulla ricerca e sul Sud. 

 

Presidente Zecchino, un centro di biotecnologie avanzate in funzione lontano dai grandi centri universitari e logisticamente quasi isolato è un miracolo di per sé. Dovesse indicarne solo uno, quale l’aspetto che lo rende competitivo?
Lo stabulario. Come ha sottolineato qualche anno fa il Nobel Mario Capecchi, le nostre strutture per l’allevamento e la produzione di modelli murini per la ricerca medica sono le migliori d’Europa. Siamo in grado, unici nel Mezzogiorno, di produrre modelli transgenici in grado di soddisfare tutte le esigenze della ricerca preclinica. Ci stiamo inoltre affermando come una Protein Factory.

Il Biogem produce proteine?
Sì, abbiamo un’unità dedicata alla produzione di proteine ricombinanti per scopi farmaceutici. I metodi di clonaggio consentono di inserire le sezioni di Dna di interesse in vari vettori e sulla base delle esigenze dei committenti. Per esempio, produciamo tre diversi ceppi murini recanti mutazioni nel gene che codifica per una proteina che nell’uomo, quando mutata, è responsabile della psoriasi. Per queste produzioni abbiamo il  marchio Glp (good laboratory practice), una sorta di certificazione che ci consente di interloquire con le industrie farmaceutiche di più alto livello.

Il Salk Institute è stato realizzato nel deserto, ricordava Dulbecco. Ariano Irpino non è il deserto ma periferia urbana e accademica sì. Quanto costa questo esser periferici?
Costa, e minimizzare sarebbe da stupidi. Basti pensare ai problemi logistici per gli stessi ricercatori. Tuttavia siamo nel tempo in cui le distanze sono annullate e le relazioni risolte nella rete globale. Detto questo, rimane il problema più ampio del neo-centralismo.

Cosa intende per neo-centralismo?
Il prosciugamento di servizi primari dalle aree periferiche. Ad Ariano, ad esempio, una volta c’erano ferrovia e tribunale. Oggi viviamo in un contesto molto difficile che si inserisce in una realtà, come quella campana, già di per sé squilibratissima su Napoli. Che bisogna fare, trasferirsi tutti nelle grandi metropoli?

Ma scusi, la presenza di un centro come il Biogem in un contesto territoriale isolato potrebbe invece rappresentare un plus proprio in una logica neo-centralista. Invece di replicare offerte ci si specializza su un mercato altamente qualificato. Piuttosto che essere calati dall’alto, servizi e annessi seguono così la presenza effettiva di una realtà che produce valore.
Beh, me lo auguro. Intanto scelte come quella dello Human Technopole, il centro di eccellenza nella ricerca biotecnologica insediato nell’ex area Expo di Milano, non mi fanno ben sperare. Leggo in tutto questo una eccessiva attenzione nei confronti di aree che non ne avrebbero bisogno, sacrificando così una sana politica di investimenti al Sud. In ogni caso spero che lo Human Technopole diventi un punto di convergenza di attività che possono essere svolte anche in altre sedi.

A proposito di attività, state sviluppando una ricerca sul monitoraggio ambientale che potrebbe risultare molto utile anche nelle misure di prevenzione per la cosiddetta terra dei Fuochi. Ci sono accordi di collaborazione con la Regione? 
L’attività di monitoraggio ambientale che stiamo sperimentando si caratterizza per il fatto di andare ben oltre l’analisi del livello della diossina. Riusciamo infatti a registrare anche gli effetti prodotti dall’inquinamento sulla popolazione nel corso del tempo. Si tratta di una tipologia di analisi in grado di restituire anche una previsione dello stato di salute delle future generazioni. E’ evidente la possibile applicazione nella Terra dei Fuochi, eppure dalla Regione nemmeno una risposta.

 

Come se lo spiega? 
Le analisi sono costose, vero, ma per la salute dei cittadini sono spesso stati investiti moltissimi soldi senza raggiungere grandi risultati. Un’altra ragione del silenzio, vista la profondità di risultati cui può arrivare questo tipo di monitoraggio, è che qualcuno abbia paura si sollevare un velo sotto cui potrebbero esserci cose sgradite.

 

Dal Tempo al Dubbio, dall’Oblio alla Bellezza, i temi discussi dal meeting annuale dedicato all’incontro tra saperi umanistici e scientifici sono sempre molto suggestivi. Quest’anno al centro delle discussioni ci sarà il rapporto tra uomo e animale. La scienza ci ha spiegato che l’uomo, per dirla con Darwin, non è che “una scimmia modificata”. Da cattolico, cosa ne pensa?
La tesi evoluzionistica è un dato di fatto e nessuno in ambito scientifico può sognarsi di metterla in discussione. L’evoluzionismo, però, spiega il corso della vita non la sua origine. Sull’origine rimane il mistero su cui solo lo spirito religioso e quello filosofico possono meditare. E così anche per la mente, la differenza tra noi e le antropomorfe sta infatti nel linguaggio. Il “tutti gli animali, io pure, si esprimono” di Popper rischia di trarre in inganno. Chiarisce infatti Popper che la frase, non sua, ma del suo maestro Karl Bühler, va letta in un’approfondita analisi delle differenze tra linguaggio umano e linguaggio animale. 


Anche gli animali si esprimono. 
Certo, ma il loro linguaggio si ferma alla funzione comunicativa, per esempio i gridi di allarme o i segnali di richiamo per attirare il partner sessuale. Manca agli animali la possibilità di attingere alla terza funzione, quella che Popper definisce di “rappresentazione, la quale consente di descrivere cose completamente astratte, come la matematica”. La base della cultura umana sta proprio qui: nella possibilità di formulare linguisticamente queste cose. E questo è un altro mistero.