Export, rapporto Sace: nel 2023 raggiungerà i 600 mld. La quota di mercato nel mondo stabile al 2,7%

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La corsa dell’inflazione globale potrebbe tradursi nel 2022 in una crescita dell’export italiano di beni del 10,3%, un aumento a doppia cifra spinto in larga parte dal fattore prezzo, più che dal volume, che esprimerà invece solo un +2,6%. Nel 2023 le tensioni sui costi dovrebbero ridursi e valori e volumi dell’export potrebbero ‘convergere’ con una crescita rispettivamente del 5% e del 4%, mentre il nostro export raggiungerà i 600 miliardi di euro, consentendo all’Italia, ottavo Paese esportatore nel mondo, di mantenere pressoché invariata la sua quota di mercato a livello globale, pari al 2,7%. Sono alcuni degli elementi che emergono dallo scenario di base formulato da Sace e incorporato nel Rapporto Export 2022, dal significativo titolo ”Caro export. Sfide Globali e il Valore di Esserci”. Nella analisi, giunta alla sedicesima edizione e presentata a Roma – fra gli altri – dal Presidente Sace Filippo Giansante e dall’a.d. Alessandra Ricci, assieme a diversi imprenditori – si sottolinea come le nostre aziende debbano affrontare un contesto di inedite incertezze con strategie innovative, potendo contare tuttavia su tutti gli strumenti messi in campo anche da Sace per tenere accesi i motori dell’export, che si conferma un importante fattore di crescita economica. Questo sarà tanto più importante nel 2023 quando – osserva Sace – “sarà la resilienza delle aziende a dare impulso alle vendite oltreconfine, grazie anche al supporto di una gamma sempre più ampia di prodotti e servizi assicurativo-finanziari e di accompagnamento offerti dal Gruppo Sace”.
Come detto le cifre fornite si riferiscono a uno scenario di base, che sconta una lenta e progressiva risoluzione del conflitto nel corso del prossimo anno con condizioni di domanda ancora relativamente favorevoli a livello globale e, nel caso specifico dei Paesi Ue, delle risorse messe a disposizione dal programma Next Generation EU. Sul fronte delle esportazioni italiane di servizi, il 2022 rappresenta l’anno del recupero (+19,9%), con un ritorno pressoché ai livelli pre-Covid grazie soprattutto al comparto del turismo che rappresenta il 9,1% del nostro Pil. Il buon andamento proseguirà anche nel 2023 a un ritmo del 9,8%, che permetterà di superare i livelli del 2019. Anche per i diversi settori di export si dovrebbero registrare quest’anno ampie crescite in valore, mentre gli aumenti in volume rimarranno generalmente più contenuti. Questo è particolarmente evidente per i beni intermedi, specie i metalli e la chimica, con un export che cresce una crescita a doppia cifra, grazie sia all’andamento dei prezzi che alla dinamica degli investimenti. I piani economici di rilancio, in chiave infrastrutturale e green, saranno, infatti, alla base della crescita anche dei beni d’investimento, trainati in particolare dai mezzi di trasporto e dalla meccanica strumentale, che tuttavia quest’anno risentiranno delle attuali incertezze. Il ritorno dell’inflazione globale si riflette, inoltre, in un calo del potere d’acquisto delle imprese e delle famiglie più in difficoltà, che potranno ridurre le risorse destinate agli acquisti di beni di consumo, specie se differibili nel tempo, come ad esempio la gioielleria e i prodotti in pelle; l’effetto prezzi spinge, comunque, anche tale raggruppamento quest’anno, per poi attenuarsi il prossimo. Nonostante il rincaro dei processi produttivi lungo tutta la filiera, nel 2022-2023 proseguirà la buona performance dell’agroalimentare, che già dall’anno scorso sta beneficiando anche della ripartenza del turismo.
A livello geografico i Paesi dell’Est Europa, più vicini al conflitto ucraino, sono fisiologicamente le economie che soffrono maggiormente e sono destinate a subire più a lungo gli effetti del conflitto. Quanto all’Europa occidentale sta scontando le criticità dell’approvvigionamento di input, in particolare quelli energetici, e le difficoltà lungo le catene globali, ma la struttura economica dei Paesi permette loro di mitigare, almeno temporaneamente e in alcuni casi parzialmente, tali effetti. L’aumento dei prezzi energetici invece ‘avvantaggia’ Medio Oriente e Nord Africa, seppure, soprattutto in quest’area, con differenze significative tra Paesi esportatori e non. L’Asia-Pacifico è influenzata dalle politiche ”zero Covid” attuate specialmente in Cina, oltre che da una differenziazione di geografie a seconda del grado di dipendenza dall’import di materie prime energetiche e alimentari dalle zone del conflitto. Oltre allo scenario di base Sace ha comunque anche elaborato due prospettive differenti, Nella prima, la più ‘pessimistica’ (con l’intensificazione del conflitto e con una crescita economica globale più debole e un’ulteriore impennata dell’inflazione)le nostre esportazioni crescerebbero quest’anno a un tasso del 9,1% (-1,2 punti percentuali rispetto allo scenario base) e registrerebbero un incremento solo di poco superiore allo zero nel 2023 (+0,5%; -4,5 punti rispetto al baseline). In un secondo scenario alternativo, che Sace riconosce come ‘meno probabile’, il conflitto si risolverebbe a breve con una soluzione condivisa da entrambe le parti, l’allentamento delle distorsioni sul mercato energetico e il conseguente calo dell’inflazione: in questo caso l’export italiano di beni crescerebbe dell’11% nell’anno in corso (+0,7 punti rispetto al baseline) e addirittura dell’8,3% nel 2023 (+3,4 punti) per poi tornare in linea con lo scenario base nel biennio successivo.