Lo scorso agosto, all’età di novantatrè anni, è morto Ernst Nolte, famoso filosofo e storico tedesco, oggetto di feroci polemiche per le sue idee sul nazismo e sull’Olocausto, accusato di revisionismo , travolto da accuse diffamatorie ingiuste e ingenerose per aver scatenato il cosiddetto “Historikerstreit”, ossia la controversia degli storici sul <<passato che non vuole passare>>. In realtà, Nolte volle spiegare il passato al di fuori delle lenti troppo deformanti dell’ideologia e del politicamente corretto. Tra i suoi acerrimi nemici vi fu Jürgen Habermas, Elie Wiesel lo definì addirittura una <<figura torbida e spregevole della storia contemporanea tedesca>>, ma in coloro che, come me, hanno avuto la fortuna di ascoltare quest’illustre docente di Storia contemporanea dell’Università di Berlino presso l’Istituto per gli Studi filosofici di Napoli, vi è la consapevolezza che la sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile nel panorama intellettuale contemporaneo, anche per la sua affabilità e le sue doti umane. Allievo di Heidegger, dottore di ricerca in filosofia teoretica con Eugen Fink, nel 1963 pubblicò “I tre volti del fascismo” in cui la riflessione filosofica predominava su quella storica e entrò a far parte della schiera dei più autorevoli studiosi del fascismo.
Il suo era un approccio storiografico diverso e nuovo che partiva dalla certezza assoluta che senza marxismo non ci sarebbe mai stato il fascismo e che non esiste fascismo senza la sfida del bolscevismo. Tale tesi diventò ancora più radicale nel famoso testo del 1987 “La guerra civile europea 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo” ove la propria lettura della guerra civile e del rapporto tra nazionalsocialismo e bolscevismo diviene paradigma storiografico, ossia versione storico-genetica della teoria del totalitarismo, grazie alla quale è possibile intravedere un nesso causale tra Gulag e Auschwitz. Lo sterminio di classe dei bolscevichi fu il prius logico e fattuale dello sterminio di razza dei nazionalsocialisti. Il bolscevismo è “più originario” del nazionalsocialismo nel senso che lo precede e lo genera come risposta antagonista. Hitler attribuì agli ebrei la responsabilità del processo di crisi economico-finanziario che aveva gettato i tedeschi nel panico, uno stato emotivo incontrollabile, irrefrenabile, cogente che scatenò la reazione e lo slittamento dell’originario concetto di annientamento dei bolscevichi da una dimensione sociale (i kulaki russi) ad una dimensione biologica (gli ebrei). “Classe” e “razza” divennero interscambiabili purché fosse annientato il nemico attraverso l’elaborazione di un’ideologia radicale. Si determinò una sorta di antagonismo imitativo tra nazismo e bolscevismo, vi furono processi circolari e reciproci di condizionamento, che iniziati nel 1917 con la Rivoluzione d’Ottobre si conclusero con la Seconda Guerra mondiale. In tal senso lo sterminio di razza degli ebrei è in esplicita connessione con gli stermini di classe bolscevichi e stalinisti. L’epoca del fascismo diviene con la lettura noltiana, che si discosta da quella classica del totalitarismo, l’epoca della guerra civile europea. Nel 1917 con i bolscevichi, nel 1922 con i fascisti italiani, nel 1933 con i nazisti tedeschi si crearono “Stati della guerra civile” perché i partiti, comunista, fascista, nazionalsocialista, furono partiti “rivoluzionari” nel senso elementare che per raggiungere il loro obiettivo ricorrevano alla violenza armata. Quando Nolte parla di ideologia, pone in primo piano le dinamiche imitative e le patologie cognitive. L’ideologia è sinonimo di “emozione di fondo” o fondamentale, sono proprio queste emozioni che sovente hanno il carattere della terribilità e per antagonismo portano all’eccesso. A Nolte non interessa la solidità politica del partito comunista ma le emozioni collettive che riuscì a suscitare: la paura, l’effetto imitativo, rafforzativo e generatore di contro- movimento che produsse nel nazionalsocialismo.
Non è importante stabilire che la rivoluzione comunista sia una possibilità reale o una mera fantasia. Reale fu senz’altro il terrore che produsse. I critici hanno tuttavia evidenziato lo scarso peso che ebbero nella sua analisi la socialdemocrazia tedesca e l’anti- bolscevismo della Repubblica di Weimar. La teoria Noltiana punta essenzialmente alla dipendenza genetica del nazismo dal bolscevismo in base alla quale l’antisemitismo nazionalsocialista fu una straordinaria riduzione ed esagerazione dell’anti- bolscevismo. Per Nolte l’Unione Sovietica, nonostante l’arcipelago Gulag, era intimamente più vicina al mondo occidentale di quanto non lo fosse il nazionalsocialismo con Auschwitz, perciò una riunificazione con l’Europa non era impossibile. Il nazismo era totalmente assorbito dal suo biologismo razziale di natura regressiva e arcaica che, annientando ogni differenza culturale, etnica, condusse all’autodistruzione la stessa nazione germanica. Di contro il comunismo staliniano che aveva sterminato individui, classi ed etnie in numero assai maggiore dei nazisti, presentava una “decisione per il progresso” che lo fece diventare la personificazione della volontà di sopravvivenza e autoaffermazione di tutti i popoli dell’Unione: una dittatura aperta al futuro. In estrema analisi la soluzione finale fu un “misfatto metafisico”, una decisione contro il progresso, la folle ricerca di un nuovo ordine per invertire una tendenza storico-mondiale verso realtà progredite. Il filosofo Augusto Del Noce che si rifiutò sempre di considerare il fascismo o anche il nazionalsocialismo come l’opera di una banda di criminali, ebbe un lungo rapporto epistolare con Nolte e si disse convinto che negli anni 1917-1945 ci fu davvero una guerra civile europea durante la quale comunismo, fascismo, nazismo furono strettamente interrelati. Ernst Nolte divenne l’icona del revisionismo storiografico al pari di altri studiosi come Renzo De Felice e Francois Furet. “Revisione” nel senso di rivedere posizioni sclerotizzate o ideologicamente faziose, per giungere veramente a comprendere la storia europea del Novecento: questo l’intento autentico di Nolte al di là di polemiche politiche. Fare storia” significa sempre “rivedere” criticamente le narrazioni e le analisi precedenti, diventate più o meno canoniche, anzi la critica storica dovrebbe essere per definizione aperta al revisionismo. Infine, per Gian Enrico Rusconi non ci si può limitare a considerare Nolte come uno storico delle emozioni collettive perché sarebbe davvero troppo poco per chi ha contribuito come pochi a presentare con parole nuove il Novecento come il secolo delle ideologie totalitarie comunitarie.