Quale motivo l’ha spinta a lavorare a Napoli 25 anni fa? Alla fine degli anni ‘80 desideravo cercare le fondamenta della mia cultura mediterranea. Cercavo Quale motivo l’ha spinta a lavorare a Napoli 25 anni fa? Alla fine degli anni ‘80 desideravo cercare le fondamenta della mia cultura mediterranea. Cercavo un tema, una città, un evento che si prestasse a questa ricerca. Sentii per caso una trasmissione radiofonica sulla musica napoletana, Gesualdo, Pergolesi, Cimarosa… e O’ Sole mio! Mi son detto che una città che aveva tirato fuori contemporaneamente questa ricchezza intensa e colta e questa viva sensualità, poteva essere il territorio della mia ricerca. Così sono arrivato a Napoli, scoprendo che era ancora più ricca di quello che avevo pensato, che vi si sovrapponevano mitologia greca, romana e cristiana, ma che anche i problemi quotidiani vi erano esasperati. E’ a Napoli che Francesco Rosi tratta di alloggi e problemi fondiari, è a Napoli che si trovano siringhe come ex voto. Il Vesuvio, l’Eneide, la Solfatara, Di Sangro, i ricordi della peste, i terremoti fanno sì che in questa città si sentono più che in ogni altro luogo armonie essenziali che si forgiano tra gli uomini e i miti, tra la vita e le rappresentazioni della vita… e della morte. Su questo le mie immagini si interrogavano, insieme alla propensione napoletana a venerare le donne. Parliamo di Napoli, come l’ha trovata al suo ritorno? Devo essere onesto, sono rimasto colpito dal poco rispetto che hanno oggi i napoletani della loro città, non conoscono e non capiscono il patrimonio che li circonda. I muri sono pieni di scritte spry, lo spry penetra nei muri e lascia dei segni indelebili. Perché la scelta della carta, un materiale tanto fragile per delle opere così complesse? In primo luogo perché la carta non resta piatta ma si nutre della texture della parete entrando in essa. La fragilità poi è l’elemento chiave, suggestivo, che fa si che l’immagine scompaia, creando un desiderio quasi fisico che ciò non avvenga. E poi amo questa contraddizione tra un elemento tanto fragile e la pesantezza della pietra che lo supporta, pesante nel vero senso del termine, ma anche carica di storia e riferimenti. Qual è la prima opera che ha incollato a Napoli? Si tratta della citazione da Davide e Golia di Caravaggio, che si trovava dietro Cappella Sansevero. Qui ero stato colpito dal colore rosso del muro che mi ricordava allo stesso tempo la Villa dei Misteri ed il rosso borbonico. Si tratta di un lavoro che sembra Caravaggio avesse dipinto nel suo ultimo periodo napoletano, ritraendosi nella testa di Golia come martire, un simbolo dal momento che aveva chiesto la grazia papale. Io ho voluto aggiungere nell’altra mano di Davide una testa di Pasolini, accomunando i due artisti, poiché entrambi avevano lavorato sui racconti biblici rappresentando le persone di strada. Il ritratto di Pasolini è poi preso dal suo Decamerone che fu girato proprio a Napoli in Santa Chiara. Questo è il mio modo di lavorare, utilizzando immagini del luogo. Come ha accolto il video girato dal collettivo Sikozel? All’inizio, quando ho incontrato Luca Avanzini la prima volta ero scettico, pensavo che non avrebbero trovato più nulla dei miei lavori, invece il suo film mi ha rivelato quanto le miei immagini siano rimaste nella memoria della popolazione. E’ stata una piacevolissima sorpresa. Il lavoro fatto a Napoli è per me quello più importante, quello che è andato al di là di ogni mia aspettativa iniziale. Le mie opere non erano solo semplicemente attaccate al muro, ma dialogavano con gli spazi e le persone.