Enrico Giovannini. “Per salvarsi dai nazionalismi, Ursula e i suoi facciano il salto di qualità verso gli esclusi”

In foto Enrico Giovannini

TESTO di Angela Mauro – Special Corrispondent on Eur0pean Affairs and Political Editor

“L’Unione ha sempre dimostrato di saper fare un salto di qualità nelle, e grazie alle, crisi”. Ma adesso, con così tanti nazionalisti in campo, l’Ue non ha alternative alla maggiore integrazione se non vuole “frantumarsi”, auspica Enrico Giovannini, economista e statistico, ex ministro dei governi Draghi e Letta, co-fondatore e Direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. “Von der Leyen – argomenta Giovannini in questa intervista per Huffpost – ma soprattutto i leader del Consiglio europeo che rappresentano a vario titolo le varie anime della maggioranza, sono chiamati a un salto di qualità straordinario per andare incontro, anche come Europa, alle fasce sociali che si sentono escluse e pensano di trovare risposte rivolgendosi alle destre. Serve un salto da statisti, altrimenti al prossimo giro, se non prima, le maggioranze si sposteranno decisamente verso le ali estreme e l’Unione verrà scardinata”.

Dopo le europee la maggioranza Ursula sembra reggere, ma il campo delle destre si sta riorganizzando, intorno al nuovo gruppo di Orbán. Come può sopravvivere l’Ue rispetto a questo assedio?

L’Unione ha sempre dimostrato di saper fare un salto di qualità nelle crisi. Lo ha fatto in pandemia, con il Next Generation Eu, e anche con la guerra in Ucraina. Ora l’Ue è ancora una volta di fronte a un bivio, e il fatto che all’interno del Parlamento europeo si sia compattata non solo la classica maggioranza a tre, popolari, socialisti e liberali, ma che si stia pensando ad un allargamento ai verdi, eliminando così le ali estreme, potrebbe segnare un cambiamento importante, a patto che i quattro soggetti rinuncino a pezzi importanti dei loro programmi e trovino nella maggiore integrazione europea la base dell’azione comune, come indicato dal Parlamento europeo a fine 2023. Von der Leyen, ma soprattutto i leader del Consiglio europeo che rappresentano a vario titolo le varie anime della maggioranza, sono chiamati a un salto di qualità straordinario per andare incontro alle fasce sociali che si sentono escluse e pensano di trovare risposte rivolgendosi alle destre. Serve un salto da statisti, altrimenti al prossimo giro, se non prima, le maggioranze si sposteranno decisamente verso le ali estreme e l’Unione europea imploderà. 

Non pensa che l’eventuale accordo del Ppe con i Verdi punti solo a mettere in sicurezza von der Leyen nel voto del 18 luglio a Strasburgo, ma poi, sotto la pressione di ben due gruppi parlamentari nazionalisti, la maggioranza si sposterà comunque a destra? Del resto, nella seconda parte della passata legislatura è già successo sul Green deal.

Certo, un rischio di questo tipo c’è sui singoli provvedimenti. Ma la vera domanda è se il Ppe e gli altri partiti della maggioranza Ursula vorranno fare il salto che ho indicato prima per ‘salvare la pelle’ nelle varie elezioni nazionali che ci saranno nei prossimi 2-3 anni, le quali saranno molto più rilevanti delle scaramucce al Parlamento europeo. In altri termini, o l’Europa sostiene e aiuta i governi nazionali guidati dalle forze politiche di maggioranza europea a rispondere, con politiche adeguate, la domanda di sicurezza e di futuro ‘per tutti’ che viene dalle società europee, oppure il rischio di essere travolti è molto elevato ed è qui che entra in gioco la questione delle regole fiscali. Perché le regole fiscali del nuovo Patto di stabilità e crescita sono certamente un passo avanti rispetto al vecchio sistema, non tanto sui saldi quanto sulla modalità di spesa e danno più spazio fiscale per fare investimenti sociali che simultaneamente stimolano la crescita e riducono le disuguaglianze. Nell’ultima riunione il Consiglio Epsco ha approvato le linee guida per valutare positivamente gli investimenti sociali (vale a dire per la formazione, la cura dei bambini, la lotta alla povertà, ecc.) nell’ambito del semestre europeo e delle nuove regole fiscali. E’ un chiaro segnale della politica europea che bisogna investire di più per rispondere alle istanze dei soggetti che, sentendo di non avere un futuro, si affidano alle destre o all’estrema sinistra. E solo una spesa pubblica ”moderna”, basata anche su investimenti sociali, può dare risposte convincenti in questa direzione. 

Lei vede come inevitabile la creazione di strumenti comuni di investimento europeo anche se negli Stati membri crescono i sovranisti, fortemente contrari?

Esattamente sì, anche perché il nuovo Patto di stabilità dice che i fondi che vengono dall’Europa e anche i cofinanziamenti nazionali dei fondi europei sono esclusi dai vincoli della spesa pubblica. Quindi, nel momento in cui l’Europa decidesse di creare un nuovo ‘Next Generation’, quei fondi potrebbero essere spesi dagli Stati senza vincoli fiscali, anzi addirittura varrebbero doppio, perché anche i fondi nazionali che andassero in quella direzione non verrebbero limitati dalle regole fiscali. Insomma, delle due l’una: o i partiti del Ppe, ma anche i liberali, continueranno a pensare che i singoli paesi possano, con le scarse risorse nazionali, vincere le prossime elezioni rispondendo alla domanda di sicurezza e futuro, ma non mi sembra veramente possibile; oppure dovranno riconoscere che solo un bilancio europeo potenziato possa esercitare quella forza trasformativa in grado non solo di salvare i governi nazionali, ma anche, tra cinque anni, la maggioranza europea. E il nuovo Patto di stabilità prevede già un meccanismo che rappresenta un forte incentivo a creare nuove risorse europee. 

Non teme che la propaganda nazionalista, con il suo portato di irrazionalità, possa prevalere?

Credo che l’insoddisfazione che porta a votare per l’AfD, piuttosto che per altri movimenti di destra, non sparirebbe semplicemente perché non si aumenta il debito europeo. Quell’insoddisfazione può essere curata soltanto da politiche pubbliche molto più attente alle categorie che sentono di non avere un futuro e i nuovi quadri fiscali europei, guarda caso, puntano a investire esattamente in quelle aree. Ovviamente, per cambiare l’opinione verso l’Unione bisognerebbe che le popolazioni beneficiarie degli interventi riconoscessero l’origine ‘europea’ (e non solo nazionale) di questi ultimi. Pensiamo al programma SURE che ha finanziato cassa integrazione e sussidi di disoccupazione durante la pandemia: si trattava di un programma europeo, ma i beneficiari non ne hanno mai avuto coscienza.    

Quale impatto l’Ue deve temere dalle legislative francesi, posto che chiaramente non sappiamo come va a finire, però si profila una situazione di possibile instabilità, con il Rassemblement National al primo posto tra i partiti? 

Qualora Macron riuscisse a formare un governo escludendo la destra estrema avrebbe tutto l’interesse a percorrere la strada che ho appena descritto. I tedeschi avrebbero lo stesso interesse per poter arrivare alle elezioni del 2025 con risultati da esibire. Se invece vincesse Le Pen si aprono scenari assolutamente inediti che però, di nuovo, dovrebbero spingere gli altri paesi europei ad andare nella direzione di cui parlavo prima, e in tempi rapidi. Per questo, in un modo o nell’altro, per convinzione o per costrizione, credo che questa sia l’unica strada possibile, peraltro in linea con le regole fiscali europee appena decise.

In Gran Bretagna ha vinto il Labour. Starmer rischia di rimanere isolato, vista la crescita delle destre in Europa e la possibile vittoria di Trump negli Stati Uniti? 

Guardando ai numeri, il Labour ha avuto un aumento limitato (dal 32 al 34 per cento) dei consensi e il crollo dei seggi attribuiti ai conservatori è legato soprattutto all’avanzata di Farage e del suo raggruppamento. Come si dice nello sport, dopo aver vinto Starmer dovrà anche convincere il suo elettorato con politiche innovative, che magari saranno d’ispirazione anche di altri Paesi europei del G7. Ovviamente, non sappiamo cosa produrrà un nuovo mandato di Trump, vista l’imprevedibilità del personaggio, anche se dobbiamo ricordare che c’è una continuità forte a livello di politica estera, almeno storicamente, tra presidenti repubblicani e presidenti democratici. Quello che secondo tutti gli esperti accadrà è che gli Usa concentreranno le loro attenzioni più sull’Asia che sull’Europa. E di fronte a un eventuale scenario di questo tipo, l’Europa dovrà decidere, anche nel campo della politica estera e di difesa, se fare il salto di cui abbiamo parlato o frantumarsi. Io spero che faccia il salto di qualità.

Orbán è uscito dall’isolamento, sta fondando un nuovo gruppo politico, ha rotto il protocollo andando a Mosca da Putin per preparare il terreno alla vittoria di Trump negli Stati Uniti. L’Ue protesta, ma non rischia di fare la figura dell’ultimo che non ha capito come sta girando il mondo, salvo allinearsi a Trump se rivince le presidenziali, perché resterà comunque un alleato Atlantico?

Sulla politica estera, l’Europa deve sviluppare una capacità politica molto più coerente e forte rispetto al passato. E aver scelto come Alto rappresentante per la politica estera l’estone Kaja Kallas, una persona che conosce bene i rischi dell’attuale politica russa, è una buona cosa perché avremo una persona competente, che dedicherà un’attenzione speciale al fronte orientale dell’Europa. Anche in politica estera, la leadership europea dovrà provare a fare il salto di qualità perché, se Trump si interesserà meno dello scacchiere europeo, a quel punto l’Unione dovrà trovare una maggiore compattezza, e non è un caso che l’impegno a rafforzare la difesa europea è presente in tutti i programmi elettorali della maggioranza del Parlamento europeo. E come si fa ad avere una difesa europea più forte senza una politica estera comune? 

C’è però un altro elemento da tenere presente: gran parte del futuro dell’Europa si gioca in Africa. Il recente G7 ha lanciato piccolo segnale di maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti nell’Africa, che però bisognerà vedere se una nuova amministrazione, Trump o non Trump, confermerà. Dunque, la politica estera europea deve avere una forte attenzione all’Africa, con un forte potenziamento dei fondi per un suo sviluppo, anche nella direzione della sostenibilità. Se, dunque, guardiamo a questi due fronti strategici con un’ottica di medio termine, l’iniziativa di Orban, finito il semestre di presidenza europea, verrà presto dimenticata. 

Che Ue si immagina tra due anni, dopo le elezioni in Germania l’anno prossimo?

Tra due anni saremo anche vicini alle prossime politiche in Italia. Si dovrebbe infatti votare a settembre del 2027, ma probabilmente si voterà dopo quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura (quindi verso aprile), termine oltre il quale i nuovi parlamentari maturano il diritto alla pensione, come accaduto anche nell’ultima legislatura. Dunque, i prossimi due anni saranno rilevanti per le politiche nazionali in tre dei quattro grandi paesi europei, e se si vuole provare a fare il salto di cui abbiamo parlato, la rapidità di azione è decisiva. Aggiungo un altro elemento che non possiamo trascurare: la mobilitazione politica “dal basso” ha dimostrato, in Francia, in Gran Bretagna ma anche altrove, una ritrovata capacità di fare fronte comune. Inoltre, in Francia, come in Italia e in altri Paesi europei, nelle elezioni europee i giovani hanno mostrato, in nome della transizione climatica e della lotta alle disuguaglianze, una preferenza decisa per le forze di centro-sinistra, mentre adulti e anziani prediligono partiti di centro-destra. Non so se questa frattura generazionale prefigura un nuovo ’68 trans-europeo, ma è un aspetto importante da osservare con attenzione. 

In Germania però i giovani votano a destra

È proprio il punto dove volevo arrivare. L’ideale europeo, che tipicamente è più forte nelle generazioni Erasmus, riuscirà a stimolare una risposta anche culturale e politica trans-europea delle giovani generazioni che possa fronteggiare visioni come quelle emerse in Germania? Al di là di ciò che succede nella politica e nella bolla brussellese, bisognerà analizzare con attenzione la loro reazione alle scelte europee dei prossimi mesi, perché esse potrebbero condizionare molto i futuri comportamenti di voto dei giovani e quindi i risultati delle elezioni nazionali nei prossimi due anni.