Ennio di Tornatore, nel docufilm su Morricone un lungo cammino attraverso il tempo e nella musica

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di Erika Basile

Il battito di un metronomo a scandire il tempo della musica e dei ricordi. Comincia così la lunga e meravigliosa immersione nel mondo di Ennio. I 150 minuti del docufilm di Giuseppe Tornatore inducono in uno stato di ebbrezza, che avvolge lo spettatore in una vertigine di emozioni e suggestioni profonde. È inesprimibile l’effetto domino che il sapiente intreccio di musica, immagini e parole riescono a provocare. Una sorta di viaggio sulle montagne russe della nostra vita. Un viaggio intimo e collettivo. Non è facile dipanare la matassa di sensazioni che continuano a essere metabolizzate a lungo, dopo aver abbandonato il buio della sala. La musica si ascolta, non si spiega. Il film è così armonicamente sincronizzato che potrebbe, paradossalmente, essere solo ascoltato. Ogni suono e ogni parola evocano immagini. E quelle che appaiono sullo schermo sono le stesse a cui penseremmo, se chiudessimo gli occhi. Ennio Morricone ci permette di entrare, in punta di piedi, nel suo mondo, attraverso un racconto di vita intenso e lucido, mostrando una sensibilità e una sincerità disarmanti.
Nel corso della lunga intervista, si susseguono testimonianze di musicisti, compositori, artisti e registi, che aggiungono ricordi, aneddoti e considerazioni. Intervengono, tra gli altri, Bruce Springsteen, Pat Metheny, Bernardo Bertolucci, Quentin Tarantino, Dario Argento, Liliana Cavani, Nicola Piovani, Carlo Verdone, Gianni Morandi, Roland Joffé, Silvano Agosti, Caterina Caselli, Gino Paoli, Alessandro De Rosa. A queste voci, si aggiungono le scene tratte dai tanti film, a cui il Maestro ha collaborato, e alcuni preziosi documenti tratti dall’Archivio storico dell’Istituto Luce.
“Non ho mai pensato che la musica fosse il mio destino”: la storia ha inizio. Dal sogno d’infanzia di diventare medico alla passione per gli scacchi. Fino all’imposizione paterna perché intraprendesse, come lui, il “mestiere” di trombettista. “Do il pane a voi con questo strumento e tu farai lo stesso con la tua famiglia e con te stesso”, gli dice. E così gli compra una tromba usata e lo iscrive al Conservatorio di Santa Cecilia.
Ricorda che da ragazzino, durante il periodo dei tedeschi e poi degli americani, suonava la tromba in un’orchestrina, passando da un hotel all’altro, senza essere pagato. Solo per mangiare. E che, dopo l’esame di tromba, il M° Roberto Caggiano, insegnante di armonia complementare, gli suggerisce di studiare composizione. Egli sceglie, come Maestro, Goffredo Petrassi, uno dei grandi compositori classici del Novecento. In quegli anni, gli viene trasmessa la passione per Igor Stravinskij ed è “nutrito a pane e Palestrina, pane e Monteverdi. Per cui conosce il contrappunto come nessuno al mondo”. Ed è proprio il contrappunto a determinare quella leggerezza che caratterizza la sua cifra stilistica, spezzando “l’aspetto rigido, perentorio, di un’armonia verticale, fatta di accordi pieni, e distendendola piuttosto in orizzontale, facendola scaturire dall’intreccio di diverse voci che si susseguono”.
Non era solito per un trombettista seguire quel percorso. E, per di più, avendo umili origini, per molto tempo è stato discriminato e sottovalutato dal mondo accademico del Conservatorio. Contemporaneamente, studia e suona la tromba al Sistina in tutte le riviste, con Walter Chiari, Ugo Tognazzi, Renato Rascel, Totò, Macario. Comincia a fare gli arrangiamenti per le orchestre Rai, distinguendosi per il suo approccio, già molto moderno e sperimentale. E a suonare nelle orchestre dei film.
“Sono un compositore vario e contrario a se stesso, ho una faccia doppia”, confessa.
Nel corso degli anni ’60, segue due percorsi paralleli. Da una parte, firma il suo primo contratto con la RCA. Compone e arrangia brani di musica leggera indimenticabili: Se telefonando (Mina), Quello che conta (Luigi Tenco), Abbronzatissima (Edoardo Vianello), Sapore di sale (Gino Paoli), Il mondo (Jimmy Fontana), Il barattolo (Gianni Meccia), In ginocchio da te (Gianni Morandi). Solo per citarne alcuni. Dall’altra, incuriosito dalla musica d’avanguardia, con cui entra in contatto ai Corsi estivi di composizione per la Nuova Musica di Darmstadt, aderisce al Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza di Franco Evangelisti. Si affaccia su un modo nuovo di fare musica, basato sull’improvvisazione e sulla ricerca di “suoni traumatici”, che, di fatto, bandisce la melodia. Ma nella stessa musica melodica, che in quel periodo si produce in Italia, egli riesce a inserire sonorità nuove, colorandola con elementi estranei, con rumori inconsueti: un barattolo che rotola, la macchina da scrivere che viene diretta come se fosse uno strumento musicale oppure lo splash della canzone Pinne, fucile ed occhiali, ricreato attraverso l’uso di una semplice bagnarola. Confessa che l’illuminazione per la musica di Se telefonando è arrivata mentre si stava recando a pagare la bolletta del gas: pensa a “tre suoni usati in modo del tutto non convenzionale. Perché in un tempo di quattro quarti l’accento tonico non capita mai sullo stesso suono”. Ha rivoluzionato il modo di concepire l’arrangiamento, mirando all’essenzialità e costruendo temi su pochissime note. “La dignità del compositore che il mio Maestro mi aveva insegnato – spiega – sentivo il dovere di inserirla nella professione più semplice […], riscattandola con i principi della musica dodecafonica trasposti nella musica tonale. […] Cercavo di mettere nell’arrangiamento qualcosa di superiore alla canzone stessa, ma non pensavo di essere innovatore”. Morricone sa bene che Petrassi e i suoi colleghi non apprezzano la sua musica prestata al cinema e alle canzonette. Per un musicista accademico è considerato un tradimento, un disonore, “equivalente alla prostituzione”. Ed è per questo che preferisce servirsi di uno pseudonimo (Dan Savio) quando accetta di collaborare ai primi western della sua lunga carriera, Duello nel Texas e Le pistole non discutono.
Il senso di colpa e il dolore, per essere stato isolato e trattato da infedele, lo hanno accompagnato a lungo. E si esprimono in momenti di commozione, a stento trattenuta. È attraverso la sua scrittura che, nel tempo, ha ottenuto una rivincita su questa colpevolezza. “All’uscita del Conservatorio ero come un compositore nudo di fronte al tempo che viveva. Volevo difendermi da questa solitudine”.
Il federale di Luciano Salce è il primo film per cui ha composto la musica da film con il suo nome. Ma il destino ha voluto che sia stato “Dan Savio” a condurre Sergio Leone da Ennio Morricone. Così accade che, inconsapevolmente, due compagni di classe si ritrovino, uno di fronte all’altro, e che, dopo essersi riconosciuti, diano vita a un sodalizio che durerà vent’anni, elaborando un paradigma entrato a far parte della storia del cinema. “Con Sergio, il primo accordo si raggiungeva quando mi raccontava il film”. Da Per un pugno di dollari (con cui vince il suo primo premio, Il Nastro d’Argento) all’indimenticabile C’era una volta in America. A partire dalla trilogia del dollaro, infatti, la musica diventa protagonista alla stregua delle immagini e degli attori. Si trasforma in un complemento poetico, rivelando il tratto inconfondibile del Maestro. I primi 20 minuti di C’era una volta il West sono privi di dialoghi. Si sentono solo rumori della ferrovia, riprodotti in studio. Il vento che soffia, il ronzio di una mosca, una porta che si apre, il cigolio del mulino, il ritmo snervante e ripetitivo delle gocce d’acqua che cadono su un cappello. Progressivamente, quei rumori perdono la loro valenza diegetica e amplificano l’effetto di sospensione e di tensione drammatica. Le contaminazioni, i virtuosismi, l’armonica, il celebre fischio eseguito da Alessandro Alessandroni che riproduce la melodia, le “svolazzate” della tromba, la voce di Edda Dell’Orso, la chitarra elettrica, la campana, l’ululato del coyote tradotto in musica, il flauto di Pan suonato da Gheorghe Zamfir in Cockeye’s Song: Ennio Morricone ha ideato un nuovo lessico. Gli attori recitano ascoltando i temi che risuonano durante le riprese. Per lui, “la musica è l’elemento non realistico del cinema. […] Arriva da un altrove indefinito, da un luogo astratto che possiamo benissimo identificare con un punto di fuga dell’immaginazione”. Ed è per questo motivo che esige il suo spazio per espandersi. Come in Indagine al di sopra di ogni sospetto. Basta ascoltare le prime note del tema, per essere inghiottiti dall’universo ossessivo e squilibrato rappresentato dal capolavoro di Elio Petri. I suoni stonati di un pianoforte, lo scacciapensieri, il contrabbasso elettrico, il mandolino suonato come un clavicembalo, il sax soprano diventano tutt’uno con il protagonista, traducendone instabilità e nevrosi. E generando, nello stesso tempo, un effetto straniante. Pasolini lo cerca per cinque delle sue pellicole. Ironici e geniali i titoli di testa cantati da Domenico Modugno di Uccellacci e Uccellini: “Creai una ballata molto eterogenea, che riassumesse tutti i contenuti musicali del film. Con l’aggiunta di una piccola risata alla fine del mio nome”.
L’attività di Morricone nel cinema diviene sempre più intensa. I registi lo cercano. Tra i tanti, Gillo Pontecorvo, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Giuseppe Patroni Griffi, Marco Bellocchio, Francesco Maselli, Terrence Malick, Dario Argento, Giuliano Montaldo, Brian De Palma.
E, naturalmente, Giuseppe Tornatore, con cui vince un Golden Globe (La leggenda del pianista sull’Oceano) e stringe una lunga amicizia durata ventisette anni. Lavorano insieme in undici lungometraggi: Nuovo Cinema Paradiso ottiene l’Oscar e il Golden Globe come miglior film straniero e Morricone riceve il David di Donatello e il BAFTA per la migliore colonna sonora. Nel 2016, per Hateful Eight di Quentin Tarantino, gli assegnano finalmente l’Oscar, dopo quello alla carriera nel 2007. E un gran numero di nomination, come per Mission di Roland Joffé.
“Quando stavo componendo la musica per […] The Hateful Eight, mentre leggevo la sceneggiatura, ho riconosciuto la tensione che cresce silenziosamente tra i personaggi, e ho pensato a quella come ai sentimenti che si sviluppano durante il corso di una partita a scacchi. A differenza di quanto accade nei film di Tarantino, né lo spargimento di sangue né il danno fisico fanno parte di questo sport. Tuttavia – confessa in un’intervista ad Alessandro De Rosa non c’è niente di distaccato negli scacchi. Al contrario, questo gioco è dominato da una tensione spasmodica e silenziosa”.
Al gioco degli scacchi riconosce il potere di insegnare la resistenza alle avversità, la voglia di migliorarsi, la determinazione a combattere facendo leva sul talento e sullo studio.
Chi ha conosciuto Ennio Morricone, ha ammirato la sua abilità nel comporre, immaginando la musica senza suonare. In piedi, davanti al pianoforte, guardava i tasti e scriveva le note, sentendole nella testa. Istintivo e intuitivo, ha dimostrato una capacità incredibile di adattarsi e di modificare la sua grammatica musicale. Elaborando, senza deviare dal profondo rigore matematico, impostogli dalla formazione accademica e dal proprio sentire, variazioni e linguaggi, che consentono di riconoscere immediatamente la sua firma.
“Ha deciso il destino della musica”, sottolinea Bruce Springsteen. Che non è il solo, tra i tanti artisti rock, pop e metal (Roger Waters, Metallica, U2, Dire Straits, Clash, Massive Attack, Muse) ad aver apprezzato e omaggiato il grande compositore. Per essere stato un precursore e aver “fuso insieme prosa e poesia”, musica applicata e musica assoluta.
Caterina Caselli ricorda il legame fortissimo con Maria, “madre, moglie, compagna di vita, che ha vigilato sul suo talento, in un modo straordinario. Era il suo primo applauso”. Il suo parere era vincolante per Morricone. A un certo punto, decide che potevano essere ascoltati dai registi solo i temi che piacevano a lei. Una donna sempre sorridente, che è riuscita a circondarlo in “un perimetro di difesa affinché il suo genio fosse libero”.
Ennio è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani: “Una partitura per immagini che ci porta letteralmente dentro al lavoro di Ennio Morricone, al farsi stesso del cinema come ‘montaggio delle attrazioni’. Giuseppe Tornatore supera ogni intento agiografico in un documentario che, a dispetto del linguaggio tradizionale, diventa laboratorio di invenzioni e scoperte plurime”.
Dopo più di due ore, ci si sente quasi smarriti, per le innumerevoli sollecitazioni emotive ricevute. Si ha la sensazione di aver percorso un lungo cammino, attraverso il tempo e dentro la musica. Una musica che, parafrasando Bergman, “bussa alla porta dell’inconscio, per attraversare la camera crepuscolare della nostra anima”.